C'è un contrasto evidente tra il titolo scelto per il secondo lavoro degli
Standard e le inquietudini musicali suscitate dal loro indie-rock
malinconico, contorto e sfuggente. L'agosto vissuto da questi cinque ragazzi
di Portland, Oregon, è squarciato da nubi funeste e temporali improvvisi
che giungono a rompere l'apparente calma dell'ambiente circostante. August
segue a poco più di un anno di distanza l'esordio di World's Greatest,
con cui la band era stata frettolosamente inserita nella lunga coda delle
esperienze post-grunge. Il passaggio alla prestigiosa Touch and Go, svela
qualche segreto in più sulla formazione. Il leader e chitarrista Tim
Putnam assesta la line-up aggiungendo un nuovo tastierista (Gail
Buchanan) caratterizzando ulteriormente gli arrangiamenti. In questo
modo le radici punk degli Standard, a tratti sfiorate da un attegiamento
glam (Behind The Screens), si stemperano in sonorità eteree, lussureggianti,
strizzando l'occhio a certo rock progressivo di impronta sinfonica. Prova
ne siano brani dall'impostazione sontuosa, travolti da continui cambi
di tempo e nervose lacerazioni elettriche, quali la lunga suite The
Five-Factor Model o Bells To The Boxer, che sembrano scontrarsi
con il passo rallentato di alcune depresse ballate a metà strada tra attitudine
post-rock (A Year of Seconds) e strutture più classicamente pop
(la dolce Angelicate). La sensuale produzione di Jeff Saltzman
(già all'opera con Stephen Malkmus) non fa che accrescere le caratteristiche
della band, spingendo i loro cerebrali intrecci verso soluzioni molto
spesso indigeribili, specie il finale al rallentatore di When Everything
Went North e The Quiet Bar. Almeno che non siate fervidi estimatori
di un moderno alternative-rock da salotto, vi riuscirà difficile sopportare
i loro languidi attegiamenti.
(Fabio Cerbone)
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