Conosciuti
in occasione dello speciale dedicato qualche mese fa alla Record
Cellar di Philadelphia, i John
Train (a dispetto del nome si tratta di una band, avete inteso perfettamente)
compiono un evidente quanto inatteso balzo in avanti, mettendo a punto
un delizioso gioiello folk-rock, che spicca tra le sorprese più
appaganti di questo pungente inverno. Le tonalità evocative e bucoliche
di Looks Like Up sono tra l'altro l'ideale compendio ad
un tale clima, favorendo probabilmente l'assimilazione ed il lusinghiero
giudizio finale sul disco in questione. Accantonate momentaneamente queste
suggestioni ambientali, va riconosciuto senza mezzi termini che il talento
intravisto nelle note del precedente Angels Turned Thieves
si è trasformato in qualcosa di estremamente concreto, frutto di
una sensibilità interamente attribuibile al bravo Jon Houlon,
chitarra, voce ed autore unico del progetto John Train. Adagiandosi prevalentemente
su sonorità elettro-acustiche, infarcito com'è di mandolini,
dobro e steel guitars, Looks Like Up sposa le antiche radici dei monti
Appalachi con la poesia di un folk-rock dalle reminiscenze seventies,
tra il Bob Dylan di John Wesley Harding, i Byrds infatuati dal
country più rurale e soprattutto l'indimenticabile e monumentale
opera della Band. Senza arrampicarsi in pericolosi ed ingenerosi
raffronti, numerose sono le suggestioni in comune, a partire dalla sezione
fiati in Misery loves company e 500 miles, forse
i due brani più commoventi del disco. Playground attraction
e Lonely next door saltellano invece su dolci melodie country-rock,
episodi tra i più vivaci della raccolta, altrimenti ripiegata sugli
accenti rilassati di un folk rurale tanto struggente quanto intransigente
(ottime If I'm gonna get blamed e Did you come by your bitterness
honestly), dove ogni sfumatura non è lasciata al caso
(Fabio Cerbone)
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