Canne al vento


Il romanzo, molto caro all'Autrice, fu elaborato in tempi lunghi e pubblicato nel 1913, prima nell'"Illustrazione italiana" (gennaio-aprile) poi in volume per la casa editrice Treves di Milano. E' considerato da molti critici il migliore della intera produzione deleddiana. Sono infatti di grande rilievo la complessità dell'impianto narrativo, la raggiunta liricizzazione del paesaggio, il rilievo psicologico di un notevole gruppo di personaggi, la caratterizzazione in rapidi tratteggi di figure minori, nonchè uno stile maturo, capace di suscitare sopra l'impianto realistico un'atmosfera sospesa tra presente e passato, un senso di solitudine fuori del tempo, "una vita fantastica di leggenda"; il tono ammorbidito da un'intima tendenza al canto sfuma nel descrittivo le cui linee realistiche sono lievitate da una vena elegiaca, da un senso lirico-panico della natura. La trama si articola in diversi nodi narrativi, tutti incentrati, come suggerisce il titolo, sulla fragilità umana nei confronti del destino e legati tra loro dalla figura del vecchio servo Efix -testimone e protagonista- che proprio abbandonandosi al misterioso fluire degli eventi, riesce a tenere le fila di tutte le vicende. Da anni Efix è al servizio di una nobile famiglia decaduta, ridotta quasi in miseria. Senza neppure essere pagato, provvede all'ultimo podere rimasto e protegge come può le sue padrone, Ester, Ruth e la più giovane Noemi Pintor. Una quarta sorella, Lia, molti anni prima, è fuggita nel continente rompendo l'isolamento cui il padre, don Zame, condannava le figlie. Efix, segretamente innamorato di lei, l'ha aiutata nell'impresa: in quell'occasione, venuto alle mani col suo padrone, ne aveva causato involontariamente la morte, che però è sembrata accidentale. Il terribile segreto, la doppia colpa (l'amore per Lia e l'omicidio) pesa ancora sulla coscienza del vecchio insieme ad una volontà tenace di espiazione, che si esplica in una dedizione assoluta, umilissima alle dame Pintor. All'improvviso il figlio di Lia, Giacinto, torna in famiglia dalle zie ad accrescerne i problemi con una vita sfaccendata e dispendiosa e a sconvolgere la tranquilla e scialba esistenza. Noemi soprattutto è turbata dalla presenza del giovane, suscitatore di remoti, inconfessabili desideri; ma tutte le dame, in modo diverso, subiscono il suo fascino e lo aiutano come possono, fino a vendere l'ultimo podere per far fronte ai suoi debiti e ai suoi imbrogli. Giacinto lascia il paese con l'aiuto di Efix e va a lavorare presso un mugnaio, mentre Grixenda, la fanciulla povera che le zie non gli hanno permesso di frequentare, gli resta fedele consumandosi in un'attesa premiata alla fine del romanzo. Anche Efix, considerato responsabile della cattiva condotta di Giacinto, si sente spinto a lasciare il paese e va elemosinando al santuario accompagnando un mendicante cieco. E' un'altra durissima prova di umiltà, accettata con rassegnazione dal vecchio, la cui mente sembra perdersi tra ricordi, sensi di colpa, superstizioni e aneliti di rigenerazione. Il tema dell'autopunizione, attraverso la scelta volontaria di una segregazione, di un esilio, è già nota al lettore dei precedenti romanzi: basti pensare a Elias Portolu o ad Annesa di "L'edera". La penitenza aspra, a contatto di violenti miserabili descritti con inflessibile sarcasmo, non sarà ancora sufficiente: Efix, come Annesa (e, come, per altri aspetti, Anania di "Cenere") dovrà concludere la sua vicenda solo tornando al luogo d'origine; si ripresenterà, infatti, dalle antiche padrone con molta vergogna, per un ultimo, decisivo, intervento protettivo. Potrà, infatti, contribuire all'attuazione del matrimonio di Noemi con un ricco parente che la donna aveva sempre rifiutato e saprà Giacinto incamminato sulla via dell'onestà e del lavoro, finalmente ricongiunto dalla fedele Grixenda. Consumata così la sua espiazione, potrà morire (proprio il giorno delle nozze di Noemi) finalmente in pace, anche perchè la sua coscienza turbata sembra finalmente placarsi nel riconoscimento dell'intervento provvidenziale e benefico di Dio sul destino degli uomini "canne al vento":

"..Gli sembrava di capire finalmente perchè Dio lo aveva spinto ad abbandonare la casa delle sue padrone e ad andarsene vagabondo: era per dar tempo a Giacinto di discendere nella sua coscienza e a Noemi di guarire dal suo male.."

Nonostante gli esiti positivi dei nodi dellìintreccio: il matrimonio di Noemi, il ravvedimento di Giacinto, il premio alla tenecia affettiva di Grixenda, la pacificazione interiore di Efix, prevale nel romanzo un'atmosfera cupa di pessimismo. Quell'aria di rovine, di rassegnato sfacelo, che alita di continuo nel volume è prova della sensibilità dell'Autrice per il decadentismo. Non certo il decadentismo che sfociò nell'esecrabile estetismo dannunziano, ma quello piuttosto che per vie assai complesse e ancora lontane dall'essere state esaminate e chiarite come pur sarebbe necassario, avrebbe portato ad un rinnovamento del romanzo italiano ad opera di Pirandello, di Svevo, di Tozzi. Ad accrescere l'interesse di questo romanzo contribuisce anche il suo fondo autobiografico certamente più risentito rispetto ad altre opere: sì che appare assai vicino all'ultima prova della scrittrice "Cosima". Generalmente si allude all'affinità di Efix con il vecchio servo dei Deledda; ma ci sembra che la segregazione con cui don Zame condanna le quattro sorelle sia simile a quella sofferta da Cosima-Grazia: analoga a quella di Noemi è la sua ansia di vivere e amare, il suo fantasticare inquieto. Lo rivela il parallelismo di certe immagini, soprattutto quelle riferite a Cosima innamorata di Antonino("era tutta una rete di mistero, uno svolgersi di cose sorprendenti, come se ella galleggiasse in un fondo oceanico") e quelle relative alla passione di Noemi per Giacinto:

"..le sembrava d'essere distesa sotto un'acqua limpida nel fondo in un bosco e di vedere una figura curvarsi a bere, a bere, sopra la sua bocca: era Giacinto, ma era anche lei, Noemi viva, assetata d'amore: era uno spirito misterioso che sorbiva tutta l'acqua dalla sorgente, tutta la vita dalla bocca di lei, tanta sete insaziabile aveva e si stendeva poi nel cavo della fontana, nel folto bosco e formava un essere solo con lei..."

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