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  Inchieste


 

Leeds United, un anno dopo.

di David Rossi - Gen. 2000

Inutile stare a raccontare il gesto di stizza dei tifosi romanisti alla notizia dell'accoppiamento con il Leeds per gli ottavi di finale della Coppa Uefa. Il ricordo delle due difficili partite dello scorso anno non ha abbandonato i supporters rossogialli, soprattutto quei fedelissimi che nell'occasione si recarono in Inghilterra per difendere lo striminzito 1-0 dell'andata. E invece bisognerà traversare ancora una volta la Manica e gran parte dell'Inghilterra per arrivare fino all'Elland Road, da oramai un secolo casa dello United. La squadra di quest'anno non è molto diversa da quella affrontata dagli uomini di Zeman nella scorsa edizione dell'Uefa: stesso allenatore, l'irlandese David O'Leary, stesso schema di gioco, un 4-4-2 offensivo, sostanzialmente stesso livello tecnico della squadra, anche se un'ondata di giovani talenti approdata alla corte di O'Leary ha portato un miglioramento generale nella rosa dei bianco-giallo-blu. Ma andiamo per ordine.
Il tecnico. A Leeds benedicono il giorno in cui George Graham, considerato uno dei migliori allenatori della Gran Bretagna, l'anno scorso, a stagione iniziata, decise di tradire Kewell e compagni per andare a sedere sulla prestigiosa panchina del Tottenham, scatenando polemiche a non finire e lasciando il Leeds nell'imbarazzante situazione di rimpiazzarlo con un nome di prima fascia. Una vera e propria impresa, data la situazione. La prima scelta cadde su Martin O'Neill, gettonatissimo allenatore della rivelazione Leicester City. Ma non se ne fece nulla, O'Neill non riuscì a liberarsi dalle morse del contratto che lo legava alla propria squadra. Altri sondaggi non diedero gli effetti sperati, quindi si optò per la soluzione fatta in casa: la guida del Leeds venne affidata a David 0'Leary, fino a qualche giorno prima assistente di Graham. Uno dei primissimi impegni che il tecnico irlandese dovette affrontare fu proprio il turno di Coppa Uefa contro la Roma. In campionato, lo United vivacchiava a metà classifica, senza grosse pretese di piazzamento finale, ma la cura O'Leary diede effetti insperati. Un gioco spumeggiante, basato sul dinamismo tipicamente inglese e una elasticità tattica molto più continentale, secondo la quale soprattutto i centrocampisti riescono ad arginare i diretti avversari e a riproporsi in avanti creando una pericolosa superiorità numerica, l'utilizzo in prima squadra di una gruppo di sbarbatelli che il buon O'Leary aveva ammirato nel settore giovanile: questi i segreti del successo del Leeds nella scorsa stagione, giunto quarto alla fine di un girone di ritorno davvero esaltante, che ha addirittura lasciato sperare i tifosi per un arrivo sul podio.
La stagione in corso. Dopo il buon lavoro effettuato l'anno scorso, l'allenatore del Leeds ha potuto pretendere dei rinforzi alla propria dirigenza, ben contenta di supportare le idee innovative di questo sorprendente personaggio. Così sono arrivati altri giovani, uno su tutti Darren Huckerby dal Coventry City, ventiduenne attaccante di grido della Premiership chiamato a sostituire sul campo e nel cuore dei tifosi l'"olandese volante" Jimmy Floyd Hasselbaink, convinto dalle sirene dell'Atletico Madrid a trasferirsi in Spagna. Altri giovani talenti sono stati promossi in prima squadra, secondo i crismi del "teorema O'Leary" che punta tantissimo sulla voglia di affermarsi dei campioncini in erba e sulla loro completa obbedienza negli allenamenti e nell'applicazione dei dettami tattici. Un teorema che quest'anno sta ancor più mostrando la sua validità: il Leeds cavalca da un paio di mesi la testa della massima divisione inglese, regalando bel gioco, tanti gol e qualche preoccupazione in più a mostri sacri del calibro di Manchester United, Arsenal, Liverpool e Chelsea. Tra partite da recuperare e un probabile logorio psicologico che assalirà i ventenni furetti dell'Elland Road, è molto probabile che a marzo, quando la Roma sarà di scena da quelle parti, la squadra di O'Leary non sarà ancora davanti a tutti, ma sicuramente lotterà fino in fondo per ottenere un posto nella Champions League della prossima stagione. E difficilmente mollerà la presa nella FA Cup e in Coppa Uefa, quindi davvero un brutto cliente per i rossogialli.
I giocatori. In Inghilterra ormai considerano lo United un vero e proprio laboratorio di talenti. é sufficiente scorrere i nomi dei componenti della rosa per capire quale miniera d'oro si trova dalle mani la dirigenza del club britannico: Jonathan Woodgate, difensore, vent'anni il prossimo 22 gennaio, prodotto del vivaio, ha già assaporato la convocazione della nazionale di Kevin Keegan, sempre attento ai nomi nuovi del calcio britannico. Poi i centrocampisti Lee Bowyer (leader dell'Under 21 inglese e anche lui nel giro della rappresentativa maggiore) e Stephen McPhail, rispettivamente 23 e 20 anni. C'è anche il 21enne "canguro" Harry Kewell, numero dieci sulle spalle,tanta velocità e fantasia, capace di galleggiare tra la linea di centrocampo e quella dell'attacco, un vero e proprio eroe per gli spettatori dell'Elland Road. In attacco troviamo, oltre al già citato Huckerby, l'altro neoacquisto Michael Bridges, 21 anni, un fisico robusto e tanti gol lo scorso anno in First Division con la maglia del Sunderland. Ultimo, ma non in ordine di importanza, Alan Smith, 19 anni, il "nuovo Owen" com'è già stato ribattezzato da quelle parti. L'Inghilterra, alla continua ricerca di nuovi volti per la "Three Lions" del futuro, data lo scarso fascino esercitato recentemente da Shearer e soci conta tantissimo proprio su Owen del Liverpool, Cole del West Ham e, appunto Smith del Leeds: un trio che non raggiunge nemmeno i sessant'anni di età. Nel ruolo di chioccia per le nuove leve, oltre che per quollo di portiere titolare O'Leary può contare sul 33enne Nigel Martyn, una vera e propria istituzione nel paese di Blair: se non fosse esistito David Seaman il posto da titolare in nazionale negli ultimi anni non glielo avrebbe tolto nessuno. Da sottolineare, il ritorno a casa base di David Batty, altro nazionale inglese, tornato nella città d'origine a chiudere la carriera dopo gli anni gloriosi al Blackburn e Newcastle. Non va dimenticato il roccioso difensore sudafricano Radebe, una vera e propria sicurezza nel reparto arretrato i 'Leary. Eppoi la colonia tutta norvegese formata da Bakke, Haaland e Halle, che garantiscono dinamismo e fondo alla compagine inglese.
Il gioco. Da tempo il calcio inglese ha subito un processo di europeizzazione, dovuto al notevole flusso di campioni e allenatori continentali. Il Leeds United non è sfuggito a questo processo, trasformando il tipico "kick and run" (volgarmente "palla lunga e pedalare") in un football più attento tatticamente, più interessante sul piano della costruzione del gioco con la palla a terra. Sia chiaro, la corsa e l'aggressività atletica sono ancora le peculiarità di squadre come appunto il Leeds, che pratica un 4-4-2 che spesso si tramuta in un 4-3-3 molto pericoloso, soprattutto in casa. Il giocatore che determina il passaggio da uno schema all'altro è Harry Kewell, una mezza punta che talvolta giostra da esterno sinistro a centrocampo, talvolta da attaccante aggiunto alla coppia Bridges-Huckerby (o Bridges-Smith). In mezzo al campo, macinano gioco e chilometri a turno Bakke, McPhail, Bowyer, Batty (incappato recentemente in un infortunio abbastanza serio) e Haaland, ben gestiti da O'Leary nella migliore tradizione del turn over. Dietro, davanti a Martyn, troviamo i centrali Woodgate e Radebe, inamovibili titolari, ai cui lati troviamo Harte (a sinistra) e Kelly o Mills (a destra).
Complessivamente un ottavo di finale complicato per la Roma, che poteva pescare meglio nell'urna di Ginevra. Per i tifosi più fortunati c'è la consolazione di trascorrere un paio di giorni nella bellissima Londra prima di raggiungere il Nord dell'Inghilterra e invadere ancora una volta gli spalti dell'Elland Road. L'avversario degli eventuali quarti sarà la vincente tra Udinese e Slavia Praga.