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  Inchieste


 

Maciniamo kilometri - Giu.2001

L'altra faccia di Juventus-Roma ha i lineamenti tesi di almeno trecento persone partite per Torino con il biglietto in mano, ma che il prato del Del Alpi l'hanno visto solo in televisione. Di chi, nonostante l'urlo liberatorio per il decollo di Montella, non ce la fa a porgere l'altra guancia di fronte a certe vessazioni e pretende di vedere riconosciuti i propri diritti. È il volto telegenico che di solito i media non si lasciano sfuggire, che esibiscono con pseudo obiettività partecipata per qualche giorno, finché il quadretto apocalittico fatto di disservizi e ingiustizie con contorno di malessere sociale riesce a trainare uno sdegnoso effetto scandalistico. Stavolta neanche quello. I melodrammofagi mediatici non hanno concesso né una riga né un'immagine - che poi parlarne significa conferirne i crismi della popolarità, i connotati della realtà - a questa brutta storia, persa nella melassa dell'imminenza del tricolore prima e dei festeggiamenti poi. Una vicenda che, dietro la forma di disservizio e disorganizzazione, si rivela nella sostanza l'ultimo atto di un'annata difficile per chi è andato in trasferta con la sciarpa rossogialla, con la sola, gioiosa esclusione della gita a Bari. Per trecento ragazzi, quell'incubo che sono stati i primi dieci minuti di Juve-Roma è durato una serata intera. Vissuta tra la frustrazione di non poter assistere all'incontro e i vorrei ma non posso davanti ai musi duri dei poliziotti in assetto anti-sommossa. Ed è poi proseguito fino alla mattina successiva, quando a casa hanno scoperto che la loro vicenda era stata ingoiata dal più buio silenzio. Per dare voce ai protagonisti-vittime di questa storia, c'è voluta tutta l'ostinazione di Danilo Cipressi. Gladiatore nell'aspetto, con quel metro e 95 e due spalle così a forza di palestra e pallanuoto, Don Chisciotte nelle ambizioni che varcano il confine del pragmatismo, Danilo ha presentato una denuncia alla società di piazza Crimea e alle forze dell'ordine di Torino per "tentata strage". Una formula forte, volutamente eccessiva, che dipinge il panico vissuto da non pochi romanisti al Delle Alpi, e che questo ventitreenne membro del Consiglio direttivo dell'Airc nonché "capo-pullman" di Punto Roma si è impegnato a portare alla luce del sole. "Siamo partiti da Piramide alle 8 - racconta con l'eloquio di chi è abituato a comunicare - con due pullman, in tutto circa cento persone. I controlli alla partenza sono stati più ferrei del solito. La polizia ha registrato i documenti di tutti quelli che salivano a bordo e verificato che ogni persona fosse in possesso del biglietto per la partita. Poi, dopo un altro controllo alla barriera di Fiano, ci hanno aggregati ad altri automezzi e abbiamo imboccato l'autostrada a 60-70 chilometri all'ora. Il che non solo ha reso il viaggio una specie di traversata oceanica, ma ha aumentato anche le difficoltà di mantenere l'ordine all'interno del mezzo e raffreddato i rapporti con la polizia. Come se non bastasse, gli agenti hanno pure chiuso tutti gli autogrill nei quali ci siamo fermati". Fin qui, tutta o quasi routine (sic!) di una stagione nella quale la partecipazione numerica alle trasferte è stata inversamente proporzionale al loro comfort. Poi la situazione è precipitata a Torino. "Siamo arrivati nel parcheggio dello stadio solo alle 8 meno 5 - ricorda alzando gradualmente il tono del racconto - ma non ci hanno fatto scendere se non dopo un ulteriore controllo dei biglietti. Sarebbe bastato prendere nota dei pullman già controllati e non si sarebbe perso tutto quel tempo. Alle 20 e 25 hanno aperto le porte e si è scatenato il parapiglia. Molta gente si è fatta male nel tentativo di entrare in fretta nello stadio. Tutto inutile. Appena varcati i cancelli dello stadio ci siamo accorti che le rampe di accesso alla tribuna ospiti erano piene di gente all'inverosimile. Chi cercava di entrare spingeva, chi non ce la faceva più a restare dentro provava ad uscire. Il risultato era una calca impressionante e delle scene di panico mai viste. Alcuni erano spiaccicati contro le protezioni, e un ragazzo si è persino appeso alle ringhiere e lasciato pendere nel vuoto per paura di restare schiacciato. Lo abbiamo tirato su per la maglietta, altrimenti avrebbe fatto un volo di 10 metri... Abbiamo capito subito che la partita non l'avremmo proprio vista, ed in ogni caso quando si rischia di farsi male a me passa pure la voglia di calcio". È lì che il tifoso ha deposto l'ascia e consegnato la scena al cittadino animato da ansia di giustizia. "Avevamo pagato il biglietto e ci eravamo attenuti a tutte le disposizioni della polizia, quindi avevamo il diritto di assistere alla partita. È stato compiuto un sopruso enorme ai nostri danni. Dopo un quarto d'ora dall'inizio della gara la situazione era ancora bloccata, così sono sceso ai piedi del settore per chiedere agli agenti di intervenire aprendo un cancello. Avevamo ormai rinunciato a vedere l'incontro, l'obiettivo era di far defluire quella massa di gente. In risposta mi sono beccato una serie di insulti da parte dei rappresentanti delle forze dell'ordine". I tifosi a Torino dovevano essere 3500, tanti quanti i biglietti messi a disposizione dalla Juventus. Il Questore del capoluogo piemontese aveva annunciato che a Torino non ne sarebbe arrivato uno di più. Ed invece, agevolati dal treno speciale sul quale i controlli sono stati meno inflessibili di quanto garantito alla vigilia, sono stati molti i tifosi partiti da Roma sprovvisti di biglietto o muniti di tagliando, consapevolmente o no, falso. E molti quelli che a Torino hanno acquistato il biglietto di un altro settore ma che sono poi entrati nello spicchio di stadio destinato agli romanisti. Per questo nel settore ospiti c'erano molti di più dei 3500 giallorossi annunciati. A riprova del fatto che i controlli ai cancelli del Delle Alpi avevano fatto acqua, insomma, quando gli ultimi pullman della carovana romanista sono arrivati davanti all'impianto, i posti erano già esauriti da tempo. E il libro del difficilissimo rapporto stagionale tra i tifosi della Roma in trasferta e le forze dell'ordine deputate ad accoglierli si è arricchito di un nuovo capitolo. Ma Danilo, che in curva ci va ed esibisce lo stendardo "Stamo 'n fuga", rivendica il diritto di protestare per non aver visto la partita, senza processi sommari e a prescindere dalle responsabilità. "Eravamo almeno in 50 a cercare di far valere le nostre ragioni. Abbiamo chiesto ai poliziotti di parlare con un loro superiore. Niente. Abbiamo chiesto di essere accompagnati in Questura per deporre la denuncia. Niente. Abbiamo domandato di fornirci le loro generalità. Niente. Anzi, gli agenti ci hanno pure preso in giro ed è mancato poco che si arrivasse allo scontro. C'è voluta una buona dose di autocontrollo e di senso civico per mantenere la calma. Avevamo pagato per un servizio pubblico e per uno spettacolo e non stavamo avendo né l'uno né l'altro". Capito che dalla protesta in loco non avrebbe ricavato nulla, Danilo ha tentato l'unica strada apparentemente percorribile per ottenere perlomeno giustizia a posteriori: "Ho preso il telefonino ed ho chiamato le redazioni del Messaggero, del Corriere dello Sport, della Repubblica e del Tempo denunciando l'accaduto". Alla fine il 2-2 potrebbe avere un effetto boomerang sull'esito della vicenda. "Noi lì sotto eravamo ancora più arrabbiati di quelli che stavano guardando la partita; normale che al gol di Montella si siano verificate scene di gioia incredibili, tanto più che era l'unica forma di rivalsa nei confronti di quei poliziotti in assetto da guerra. Eravamo felici e incazzati neri, cantavamo a squarciagola. Il pareggio è servito pure a mantenere la calma all'interno del pullman durante il lunghissimo viaggio di ritorno, ma è inevitabile che dal punto di vista della battaglia che vogliamo portare avanti contribuisca a far passare in secondo piano l'episodio". Solo il giorno seguente Danilo ha infatti scoperto - senza riuscire a darsi o a ricevere una spiegazione esauriente - che quelle 130mila lire spese per chiamare le redazioni dei giornali romani erano state perfettamente inutili: "Sull'omertà degli organi di stampa mi sono fatto un'opinione triste. Spero sia dipeso dalla concomitanza con la campagna elettorale per le elezioni politiche, ma non ci credo troppo. D'altra parte voglio evitare con tutto me stesso che della vicenda non si parli solo perché quest'anno va bene e non si perde. Bisogna alzare un polverone, fare in modo che il caso non venga archiviato. L'Italia deve sapere cosa è successo, perché c'è gente che straparla di quanto accade negli stadi senza la minima cognizione di causa. Vorrei impedire che episodi del genere si ripetano e che qualcuno si svegli solo quando ci scappa il morto. Di fronte a soprusi di questo tipo è importante non abbassare la testa e pretendere di essere tutelati". Tanto per cominciare, lunedì stesso Danilo ha contattato (anche lì senza successo) le redazioni di Striscia la Notizia e di Mi manda Raitre, si è rifatto vivo con i quotidiani già avvisati e ha confezionato la denuncia a carico della Juventus e delle forze dell'ordine presenti allo stadio, che il giorno seguente ha presentato al comando dei Carabinieri di Acilia, che peraltro Danilo ci ha fornito e che non pubblichiamo solo per problemi di spazio. Mercoledì Radio Incontro gli ha finalmente messo a disposizione un microfono per raccontare la vicenda e lo stesso è accaduto giovedì sulle frequenze di Disco Radio e Radio Radio. Ora, ottenuta e sfruttata la possibilità di rendere pubblica la storia, gli obiettivi si fanno inevitabilmente più astratti: "In collaborazione con l'Airc stiamo cercando di organizzare una manifestazione di protesta e un convegno". Oppure assumono i toni ambiziosi di certi slogan elettorali che sfiorano e forse superano i confini del realistico, almeno nell'immediato: "La collaborazione pacifica tra Forze dell'ordine e tifoseria civile per cambiare le cose". Resta non solo l'intenzione sacrosanta di veder riconosciuto il diritto ad assistere ad uno spettacolo per vedere il quale si sono sborsati un bel po' di soldi, ma anche la nobiltà di uno scopo ulteriore: "Se sarà necessario ci appelleremo al Codacons per vedere tutelati i nostri diritti di consumatori. Ma ci tengo a precisare che l'eventuale risarcimento simbolico verrà interamente devoluto a Valentia Cilio, una ragazzina di 14 anni affetta da un tumore osseo che ha bisogno di 300milioni per un'operazione negli Stati Uniti". Don Chisciotte torna poi Gladiatore, smette i panni un po' formali e sorseggiando una birra intona la base di una canzone da discoteca e abbassa ulteriormente il tono della voce: "Noi ti sosterrem, tu combatterai. Forza Roma, forza forza Roma, dai... Questa è un'idea mia, e presto tutta la curva lo canterà". In attesa dell'esito della denuncia, sulla quale rosso&giallo vigilerà, la prima battaglia è vinta.

Ieri siamo partiti per Napoli alle 9,20 e sono rientrato a casa all'una di notte. Mai così felice di essere a Roma come ieri notte. 14 ore di follia pura. E l'ansia di mia moglie, le sue solite rimostranze - sei un professionista, hai una famiglia, etc. etc. - l'umiliazione per quello che abbiamo dovuto soffrire e l'umiliazione per i titoli dei giornali di oggi ed i servizi in tv. Un titolo in particolare voglio citare: "Vergogna Ultrà", sul Messaggero. Io sono stato ultrà e non me ne vergogno. Essere ultrà è differente dall'essere un tifoso normale. Ed è differente dall'essere un teppista. Mi vergogno piuttosto di essere cittadino di questo paese, per quello che ho visto ieri. Scriverò cose scomode e so che molti storceranno il naso, ma solo chi è stato lì può sapere. E la mia speranza è che rosso&giallo almeno voglia rompere l'omertà e la falsità del coro del mass media. È una flebile speranza, ma davvero ieri abbiamo raggiunto di indecenza che nemmeno in Tailandia o in Colombia ti aspetteresti. Lo dico brutalmente: il contegno del reparto Celere di Napoli è criminale. L'organizzazione dell'ordine pubblico a Napoli è stata criminale. L'accoglienza della mobile di Roma a Terricola riservata ai tifosi della Roma che viaggiavano in treno è stata criminale. Siamo arrivati a Napoli con il secondo treno e siamo rimasti nel piazzale antistante Campi Flegrei in attesa del terzo treno. Dai palazzi contigui pioveva di tutto, anche bombe carta. I celerini ci apostrofavano con epiteti che variavano da "stronzi" a "bastardi, la festa ve la facciamo noi". Ad ogni modo, il tragitto verso il San Paolo non ha riservato particolari problemi. Meno fortunati i tifosi giunti in pullman o in macchina, che hanno dovuto raggiungere il nostro settore senza scorta. All'ingresso, ordinaria amministrazione: ingiustificate cariche di alleggerimento, poi si è entrati tutti, senza alcun controllo di biglietti e senza perquisizioni. Questo alla faccia di chi aveva fatto le file all' Olimpico per comprare i biglietti e alla faccia del preteso dovere di controllare l'ordine pubblico. Dentro allo stadio, pioggia di sassi ed altri oggetti provenienti dalla curva A e nuovi disordini tra una ristretta frangia di tifosi ed un reparto Celere romano. Risultato: lacrimogeni in tutto il settore inferiore. Ma il vero casino è scoppiato all'uscita. Quella era Beirut, non Napoli. Caricavano tutti quelli che uscivano dallo stadio. Inspiegabilmente, non ci hanno tenuto molto dentro nel dopopartita, ma hanno ben pensato di allietare la nostra attesa e di mantenere gli animi tranquilli ricoprendoci di lacrimogeni. All'uscita il caos, come diceva prima. Invece di organizzare il corteo come per il tragitto di andata (sarebbe stata la soluzione più razionale) hanno deviato il percorso verso sinistra in una piazzetta che era chiusa ad imbuto con diversi mezzi della Celere. Perché, perché chiuderci in un imbuto? Da dove avremmo dovuto defluire verso la stazione o il parcheggio degli autobus? Conosco Napoli per cui, uscendo dallo stadio, ho chiesto ad uno di loro perché ci facessero prendere quella strada, perché ci volessero chiudere, tutti quanti, sia quelli che dovevano prendere il treno che quelli in bus. La risposta è stata che ci avrebbero portato loro cogli autobus. La risposta vera è che volevano massacrarci. Cariche su cariche, teste spaccate indistintamente, tanti quarantenni, non di certo ultras, coi volti sanguinanti. Lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo ed ovviamente, controcariche dei romanisti. Eravamo attaccati contro il muro, a destra la muraglia di mezzi blindati, a sinistra le cariche della celere, ancora più a sinistra i romanisti che contrattaccavano. Praticamente eravamo tagliati fuori, poteva essere un nuovo Heysel, perché la gente terrorizzata poteva scappare solo contro il muro. Decidiamo di arrivarci da soli alla stazione, rimanendo in quell'imbuto ci avrebbero massacrati. L'unico modo era saltare un muro di un paio di metri di fronte a noi e poi correre per cinquecento metri fino alla stazione. Quelli più esperti tra noi hanno guidato il gruppo. Saltato il muro, attraversiamo in gruppo la pazza sottostante, prima del viale che porta alla stazione. Lì siamo stati selvaggiamente attaccati dai Carabinieri. Allucinante. Nuovi lacrimogeni e cariche, le donne tenevano le mani in alto e imploravano di non essere colpite, ne ho visto più d'una cadere sotto le manganellate. Un paio ne ho prese anch'io, ma non mi sono fermato. In certi frangenti l'ultima cosa da fare è fermarsi. Ho corso con tutta la forza che mi rimaneva verso la stazione, tra cariche incrociate, lacrimogeni, e pioggia di ogni tipo di oggetti. Entriamo in stazione e prendiamo il treno. Siamo stati tra i primi. Fuori continuava la guerriglia urbana. Un solo "treno merci" per raccogliere tutti i tifosi arrivati con tre treni a cui si sono aggiunti molti tifosi rimasti senza pullman (pare che molti pullman si siano dileguati nel nulla, anche questo incredibile). Niente acqua, ammassati come bestie, aspettiamo la partenza per ore, tra cariche dentro al treno e controcariche. Alla fine si parte e l'arrivederci di Napoli ha qualcosa di grottesco: Carabinieri e Celere schierati sul binario ci tirano pietre contro il treno. Ad ogni modo, sconvolto dalla fatica, da tutto quanto visto e subito, e chiaramente dal risultato della partita, mi sento sollevato. Penso che il peggio sia passato, in fondo non è la prima volta che viaggio in un treno bestie, senza nemmeno lo spazio per sedersi. Eppure avevano detto che simili treni non ne avrebbero più fatti, dopo la tragedia dei salernitani. Ma mi sbagliavo. All'altezza di Formia la vera tragedia. Qualcuno, forse esasperato dalla sete o dalla scomodità, tira il freno a mano. I primi scendono per comprare da bere. All'inizio non succede nulla di grave. Poi la situazione degenera, alcuni soggetti, che nulla hanno a che fare con l'essere ultrà e che posso solo definire teppisti, sfondano il bar della stazione. Esce un poliziotto che pistola alla mano spara un paio di colpi, nella bagarre uno dei suddetti criminali gli rifila una coltellata ad una gamba. Riparte il treno, ma ho la morte in cuore perché so che a stazione Termini ci fermeranno e passerà altro tempo prima di tornare a casa. Succede di peggio. Il treno viene fermato a Terricola, un buco nero da qualche parte sull'Appia. Non si capisce nulla. Noi eravamo seduti tra un vagone e l'altro, almeno in dieci. Si apre una porta all'improvviso e parte una sassata che prende un mio amico in piena fronte. È il panico, il fuggi fuggi dentro il vagone. Ci comprimono in pochi vagoni, non sappiamo cosa succede negli altri, tirano pietre contro le finestre per farcele tenere chiuse. Ci volevano asfissiare? Molti si sentono male. Dopo un'ora ci fanno uscire: uno ad uno, tra insulti e percosse, una provocazione per creare il finimondo. Basterebbe una sola parola, un solo accenno. Confesso di provare davvero paura. Per fortuna riusciamo a convincere tutti a non reagire, a non dire assolutamente nulla. Sarebbe stato un macello. Il funzionario - parola grossa per un provocatore-macellaio - mi dice con un accento meridionale "e bravo dottore… colla maglia della Roma, non si vergogna?". Avrei voglia di rispondere, non sapevo che la maglia della Roma fosse reato. Avevo voglia di rispondergli: "e lei non si vergogna, da tutore dell'ordine, a comportarsi così?" Ma davvero non ne vale la pena. Identificato, vengo perquisito, mi viene sottratto il rullino fotografico - paura per le foto che ho fatto in quanto scomode testimonianze? - con le mani sulla nuca, in fila indiana - un celerino mi intima che "se te movi dalla fila te ce rimetto a carci 'n culo" - veniamo trasportati su un autobus e finalmente arriviamo a Termini. Sull'autobus chiacchierando con alcuni a cui è stato sottratto il documento di identità cerco di fargli presente che, a rigore di legge, hanno i loro diritti da tutelare. Non è possibile trattarci tutti così, se è vero che c'era qualche teppista sul treno è anche vero che la maggiorparte era composta da inermi tifosi. Ma la risposta di questi poveri diavoli è "tanto co' quelli c'hai sempre da rimette". L' epilogo di una giornata tutta da dimenticare. Perché questo lungo sfogo dunque? Perché ho una nausea dentro che copre tutto, e francamente, di pensare al viziato miliardario Montella proprio non mi riesce. Non ho scritto per fare una apologia del teppismo o della violenza chiaramente. Per me essere ultrà, vecchia maniera, significa solo essere al fianco della Roma, sempre e comunque, malgrado i pericoli e le scomodità. Per questo sono andato a Napoli, malgrado tutto. Per non farla sentire sola in uno stadio ostile, per spronarla ed incitarla. Ma non è bastato ovviamente. Rimane la violenza di una giornata di guerriglia urbana. Ma la violenza va analizzata, bisogna chiedersi i motivi, bisogna indagare le dinamiche. Altrimenti rimaniamo alle facili generalizzazioni: Bravi ultrà che bella coreografia, vergogna ultrà per i tafferugli. Una cosa è stata la violenza di Napoli, un'altra la barbarie di Formia. Ma alla base c'è sempre una totale mancanza di professionalità delle forze dell'ordine preposte che, soprattutto a Napoli, tendono ad essere parte del problema più che a risolverlo. (...) Dice un proverbio vietnamita,"se hai una tigre in casa il modo migliore per liberartene è di tenere la porta aperta". Chi vuole intendere intenda, e magari porti alla luce il problema e si inizi una discussione seria, un confronto aperto volto alla soluzione del problema. Se no, si continui così, fino alla prossima, inevitabile tragedia.