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  Inchieste


 

Totti e il pallone d'oro

di Dario Castaldo - Nov.2001

Sarà perché quando mancano le certezze ci si affida alle sensazioni che da un po' di tempo il naso parla del prossimo Pallone d'Oro con più profitto del cervello. Dice che non sarà una lotteria senza logica ma anche che non andrà al migliore perché un migliore in assoluto non c'è stato, che non sarà un plebiscito perché sulla carta a contenderselo sono una decina di interpreti e che la lista comprende Totti e Batistuta. Sebbene la tiritera che vuole il capitano della Roma in possesso di quei 4 chili e mezzo di metallo prezioso cominci a stordire i sensi, il naso azzarda anche che Francesco Totti non lo vincerà. Ci andrà vicino, questo sì, e porrà le basi per sollevare quello del 2002, Mondiale permettendo. Ma per ora dovrà accontentarsi di essere nominato a più riprese e di specchiarsi in un prestigio che ha sfondato le barriere del Raccordo anulare per approdare sulle coste di Israele e infilarsi nelle gelide insenature dell'Islanda. I sensi non arrivano a spiegare perché mai non basti lo scudetto, la continuità di rendimento e i conseguenti squilli di trombe, i gol in campionato e Champions League, la leadership riconosciuta di una delle quattro migliori Nazionali del mondo e le tante perle per essere lì in pole position davanti ai quadrumvirato di senatori Figo-Zidane-Rivaldo-Batistuta, ai quartetto di giovani Raul-Shevchenko-Owen-Henry e a Beckham, che galleggia tra le due generazioni e gode dei privilegi di entrambe. Per una risposta è necessario capirne di più andando alla fonte, alle porte di Parigi. Rer C, direzione Versailles, fermata Issy-val-de-Seine. Cinquanta metri più in là c'è il palazzo di vetro delle edizioni Amaury, il gruppo che include Le Parisien e L'Equipe oltre a quel France Football che organizza il premio. Al quinto piano la redazione, semivuota all'indomani di una notte di Champions League che ha incollato i redattori alle rispettive scrivanie fino all'una. In una stanzetta tappezzata da copertine del giornale siede Denis Chaumier, quarantacinquenne capo redattore del bisettimanale parigino cui va il merito di aver capito nel remoto 1956 che uno degli sport di squadra per eccellenza avrebbe finito per diventare vetrina di solisti, il pubblico per identificarsi con il campione prima ancora che con la squadra, il calcio uno show e i calciatori attori. Pronti a cambiare casacca e palcoscenico per parcelle più allettanti, a diventare intercambiabili icone per un pubblico sempre più vasto e assetato di spettacolo e di diversivi, a prescindere dalla maglia. E che un riconoscimento pensato per i protagonisti della scena avrebbe finito per stuzzicare l'immaginario dei tifosi e per valere nella carriera di un giocatore al pari di un titolo conquistato con la propria squadra. Gente lungimirante, insomma. Gabriel Hanot e Jacques Ferran, del resto, erano gli stessi che con il direttore dell'Equipe - Jacques Godet - l'anno prima avevano ideato e messo nero su bianco il primo regolamento della Coppa Campioni. Alle pecche del meccanismo hanno rimediato 6 anni fa Chaumier e il direttore di FF, Gérard Ernault, introducendo una lista di 50 nominations per arginare i rischi di giudizi partigiani da parte dei giurati, e la possibilità di votare anche i giocatori extraeuropei che militano da noi: "Un'evoluzione necessaria - ammette Chaumier - e arrivata francamente in ritardo. Maradona, Zico e Falcao non hanno mai vinto il premio anche se l'avrebbero meritato. Del resto lo spirito del PdO è di ricompensare un calciatore per quello che fa, a prescindere dalla sua nazionalità. Per questo i giornalisti che compongono la giuria devono essere riconosciuti per fama, competenza e obiettività. Bisogna che non siano attaccabili, che siano il più possibile professionali".
E se non lo fossero?
"Nessuno è mai stato espulso, ma non molto tempo fa qualcuno è stato richiamato perché il suo voto non rifletteva assolutamente la realtà. Ai nostri giurati diciamo che il mondo intero li guarda e ci guarda, che in ballo c'è il nome di France Football e l'autorevolezza del PdO, ma per il resto lasciamo loro carta bianca. A volte non si capisce che France Football organizza ma non ha alcun controllo sui voti. Il PdO ambisce ad essere un premio trasparente, democratico e il più possibile obiettivo".
Eppure davanti all'albo d'oro qualche volta si storce il naso: 1986 Belanov, 1996 Sammer...
"Nel 1986 lo doveva vincere Maradona, ma il regolamento era inadatto. Belanov era uomo di punta di un'Urss superba e di una Dinamo Kiev capace di conquistare la Coppa delle Coppe in una splendida finale a Lione contro l'Atletico Madrid. Mentre Sammer era stato il leader della Germania campione d'Europa".
Sarà, ma pensare che Baresi non l'ha mai vinto e Maldini non lo vincerà mai...
"È ingiusto. Baresi l'avrebbe certamente meritato per il contributo sotto forma di classe e di carisma dato all'Italia e al Milan. Ma è capitato in un periodo nel quale c'erano Gullit e Van Basten ed è stato paradossalmente vittima dei suoi stessi compagni di squadra. Poi non dimentichiamoci che i giornalisti sono influenzati dal pubblico e sono pubblico a loro volta; e gli spettatori verranno sempre, inevitabilmente, attratti da un attaccante o da un centrocampista offensivo più che da un difensore".
E dove finisce l'autorevolezza, la presunta capacità dei giurati di essere più forti dell'opinione pubblica e indipendente rispetto alle "esigenze di mercato"?
"In teoria dovrebbe essere così, ma oggi il vero problema è la mancanza di personalità tra i difensori. Sarà perché il calcio è cambiato, ma a parte Nesta, Thuram e Desailly non vedo grandissimi difensori. Al contrario trovo tante personalità tra i giocatori d'attacco".
Scorrendo i nomi dei recenti vincitori saltano alla mente due considerazioni. La prima è che negli ultimi anni il PdO sembra il premio per il miglior fantasista e viene il dubbio che sia un'efficace macchina per la produzione di campioni nei quali il pubblico possa identificarsi, come se FF fosse testimone e complice di questa trasformazione del calcio.
"Probabilmente fa parte del ruolo dei media. FF come qualsiasi altro giornale ha bisogno di mettere in luce certi giocatori per le loro qualità ma anche per il loro impatto mediatico. Una copertina con Zidane attira più di una con Thuram, come immagino che Totti renda meglio di Cannavaro. Oggi predomina la cultura di chi segna, ma a prescindere dall'esito finale, nella lista dei 50 c'è tutto (nel 2000 figuravano 21 attaccanti, 19 centrocampisti, 7 difensori e 3 portieri ndr). Un fatto ineluttabile è che il gol è lo scopo del calcio, e chi segna avrà sempre più vantaggi di chi difende. Nessuno può impedirlo".
Seconda considerazione: un tempo c'era anche chi vinceva il trofeo 3 volte, adesso si fa fatica ad arrivare a due. Come se nel bisogno di allargare la base di popolarità e di alimentare passioni e speranze si tendesse a premiare tutte quelle individualità che aiutano a rendere il calcio uno spettacolo universale. E in quest'ottica è meglio avere nell'albo d'oro Zidane-Rivaldo-Figo piuttosto che 3 volte Zidane.
"La risposta è duplice: effettivamente si va verso una starizzazione dei giocatori perché il calcio sta diventando uno sport individuale nel quale c'è bisogno di vedettes. Il mio pronostico è che sarà sempre più difficile vincere 2 volte il PdO per la concorrenza sempre maggiore".
E Ronaldo?
"L'unico che aveva il potenziale per vincerlo 3 volte. Ma a forza di giocare senza sosta, il suo corpo di atleta non ha più risposto e la macchina si è rotta. E adesso è un grande punto interrogativo".
Come il nome del prossimo vincitore.
"L'anno scorso si poteva intuire che il confronto sarebbe stato tra Figo e Zidane, quest'anno si deciderà tutto all'ultimo voto dell'ultima scheda e fare un pronostico è molto difficile".
Proviamoci.
"In un anno dispari, senza Mondiali e Europei che focalizzano l'attenzione, si guardano le coppe europee, poi campionati nazionali e le qualificazioni Mondiali. I criteri per la valutazione dei giocatori sono tanti: le vittorie, la personalità, il fair-play, l'influenza del singolo sulla squadra, la tecnica. Ma in anni come questi direi che la carriera conta più del solito".
Dieci nomi. Raul.
"È uno straordinario goleador. Ha solo 24 anni ma è già un vecchio protagonista della scena continentale. Nel 2001 non ha raggiunto la finale di Champions League, ma ha vinto la Liga ed ha contribuito alla qualificazione ai Mondiali che la Spagna ha ottenuto con un cammino che non ha eguali nella storia".
Beckham.
"Il Manchester United continua a vincere, l'Inghilterra pure. Di lui si parla da 5 anni, ma oggi è un giocatore maturato, che ha compiuto l'atteso salto di qualità. Si vede che in campo ha più esperienza, che il suo gioco non è più monocorde come un tempo. E poi resta impresso quel gol alla Grecia che ha portato l'Inghilterra ai Mondiali a tempo scaduto".
Owen.
"Il Liverpool ha conquistato 5 coppe, come mai un club inglese era riuscito a fare. È molto giovane, ma in questa impresa ha giocato un ruolo importante. Poi ha contribuito alla qualificazione inglese ai Mondiali con quella tripletta a Monaco contro la Germania. E sono cose che contano".
Shevchenko.
"Altro grandissimo goleador, che meritatamente si è classificato terzo negli ultimi 2 anni. Quasi da solo ha riportato la Dinamo Kiev ai fasti di un tempo, e appena arrivato in Italia ha vinto la classifica cannonieri. Nel 2001 gli è mancata la Champions League, ma se l'Ucraina elimina la Germania negli spareggi Mondiali può guadagnare ulteriore credito internazionale, lasciare il segno. Mi viene in mente di quando nel '92 Van Basten impressionò l'opinione pubblica con 4 reti in Coppa Campioni al Goteborg e fu grazie a quell'exploit che superò sul filo di lana Stoitchkov, che già si sentiva in tasca il PdO".
Henry.
"Era già era lì l'anno scorso, quando è arrivato quarto. Nell'Arsenal segna tanti gol, giocando in un campionato enormemente seguito. E poi è stato protagonista sia a Francia '98 che a Euro 2000, insomma è giovane ma ha già una certa immagine internazionale".
Tre ex vincitori. Zidane.
"Nel 2001 non ha vinto niente, ma anche Figo non aveva successi nel 2000. Rappresenta un simbolo del calcio moderno e non è un caso che in Italia sia stato eletto dai calciatori di serie A come il migliore. Può pagare il fatto che alla Francia è mancata la vetrina delle qualificazioni Mondiali, ma è stato pur sempre il leader della squadra campione del Mondo e d'Europa, insomma può essere tra i primi".
Figo.
"Due dati: ha vinto la Liga con il Real e ha qualificato il Portogallo ai Mondiali in un gruppo non facile, eliminando l'Olanda".
Rivaldo.
"Classe e tecnica strepitosi, ha già vinto un PdO con ampio margine, e se il Barcellona non ha brillato e se il Brasile è andato malino non è certo colpa sua".
Batistuta.
"Comincio dalle voci 'contro'. Non ha vinto il titolo di capocannoniere e non ha giocato in Nazionale, due macigni sulla carriera in prospettiva PdO. D'altra parte finalmente ha giocato in una squadra forte che gli dava più chances della Fiorentina, e alla prima occasione ha vinto lo scudetto segnando 20 reti. È un attaccante unico, di razza, carismatico, ossessionato dal gol, è il migliore al mondo per come sente la porta. Un giocatore superbo che senza dubbio lo meriterebbe".
Totti.
"Italia qualificata, Roma campione. Sarà lì a giocarsela"
Ma…?
"Non si vince mai lo scudetto per caso. Ci vogliono organizzazione, un allenatore preparato e grandi campioni. La Roma ha segnato la stagione: è un ottimo collettivo con alcune individualità notevoli, come Batistuta e Totti. D'altra parte a livello europeo i club italiani sono visti in calo per i risultati degli ultimi due anni e Totti è ancora un fenomeno recente, esploso da non più di 2-3 stagioni".
In Italia ha messo tutti d'accordo, ormai si fa a gara a chi fa il paragone più ardito. Trapattoni lo ha avvicinato ad Eusebio, altri evocano Rivera, Platini ha di recente detto che tra Totti e Zidane è il romanista quello che gli ricorda il suo modo di giocare. Cos'è, propaganda locale?
"La prima cosa da capire è che il Pallone d'oro riflette lo sguardo dell'Europa su un calciatore, non quello della nazione nella quale questo gioca. Se facessimo un sondaggio interno alla redazione di FF per votare il migliore del campionato francese e poi effettuassimo un esperimento analogo all'estero non è detto che verrebbe fuori lo stesso nome. Non escludo ad esempio che a livello europeo Del Piero goda ancora di maggior credito rispetto a Totti"
L'antifona è chiara. Ottimo frutto di un campionato tra i più difficili del mondo, ma che per radicarsi nelle idee degli appassionati del continente deve ancora fare strada.
"È un grande uomo-squadra, e se ha messo d'accordo tutti in un Paese che sul calcio si è sempre diviso - penso a Rivera e Mazzola - significa che è dotato di grande solidità mentale e forza interiore".
Quindi cosa gli manca?
"Ogni giurato vede 70-80 partite intere all'anno, per il resto si deve accontentare di spezzoni di gare o dei gol. Insomma, ad essere sincero per chi come me non vede Totti tutti i giorni viene difficile caratterizzarlo come giocatore. Ci si ricorda delle accelerazioni di Shevchenko, dei dribbling di Figo, delle progressioni palla al piede di Rui Costa, ma avrei problemi a qualificare Totti con precisione"
Vengono in mente gli assist e la capacità di accelerare il gioco, di mettere i compagni davanti al portiere. È uno che fa quasi sempre la cosa giusta con semplicità, segna come una seconda punta ed ha una continuità tale che nel 2001 ha sbagliato 2 partite e se le ricordano tutti. Ma la critica è intuibile: qualità poco televisive. Insomma Totti non è calciatore che tiene incollata su di sé la telecamera per più di 10 secondi e questo ne limita notorietà e capacità di suggestione su chi non può vedere una partita intera.
"Sia chiaro, Totti è un grande campione in un mondo di grandi campioni. Per emergere ha bisogno forse di qualche gol spettacolare in più, gli manca qualche impresa a livello europeo per togliersi di dosso il sapore della novità del calcio italiano"
Opinabile o meno, è tutto chiaro. Uno sguardo d'insieme esclude altri candidati: Crespo e Mendieta hanno spento la luce a giugno, Gerrard è appena svezzato, Trezeguet non ha fatto abbastanza, Kahn, Effenberg e Elber hanno alzato la Coppa Campioni con una squadra che ha l'appeal di un letto d'ospedale, Rui Costa non ha vinto un bel niente e Davids…lasciamo perdere.
"Il problema doping rientra nel fair-play. E alla lista aggiungo Vieira. È stata la vera novità dell'anno. Nella Francia ha preso il posto di Deschamps ed ha completato il salto di qualità. Oggi tutti lo vogliono e nel suo ruolo è il numero uno al mondo".
Mentre il trenino corre verso il centro transitando sotto il tunnel dell'Alma, il cervello elabora i dati in possesso. Poi tocca ai sensi abbozzare una conclusione. Dieci potenziali Palloni d'Oro. Tra questi Rivaldo, Figo e Zidane non lo vinceranno perché per meritarselo non hanno fatto nulla di più che essere semplicemente se stessi. Sono i Sampras del pallone, e il 7 volte vincitore di Wimbledon chiuderà il 2001 fuori dai primi 10 perché la classe da sola non basta. Finiranno da qualche parte in graduatoria perché di loro non ci si può dimenticare, qualcuno scalzerà anche un collega che lo meriterebbe di più, ma pensare al podio per uno dei tre è ottimistico. Come sembra un'utopia per Henry, e non perché dalla lontana Italia suoni un'eresia l'accostamento agli altri. È l'attaccante campione del Mondo e d'Europa che realizza reti con continuità in Inghilterra e in Champions League con l'Arsenal, ma per quest'anno non gli basterà. Restano gli altri sei, arrivati all'ultimo chilometro con speranze intatte o quantomeno fondate. Anzitutto i grandi favoriti: nella volata Raul se la vedrà con Beckham, partendo con un leggero vantaggio rappresentato dai gol che segna a ripetizione. Per il resto i due si equivalgono a livello di carriera, vittorie stagionali, prestigio internazionale, leadership nelle loro nazionali e unicità nei rispettivi ruoli. Segue Owen, che è forse il vero protagonista del 2001 e compensa i 22 anni con quella partita a Francia '98 contro l'Argentina nella quale fece impazzire il mondo. Ecco, a differenza di Totti, Owen ha giocato un Mondiale grazie al quale è entrato prepotentemente nell'immaginario dei calciofili di tutto il globo e la sua stagione non viene vista quella di una meteora perché la sua consacrazione era attesa. Poi ci sono quella Coppa Uefa e quelle 3 reti alla Germania che danno concretezza ad candidatura forte anche se acerba. Infine i tre portabandiera della serie A, che appendono le speranze ad un filo: Shevchenko è lì da tre anni e ha il potere d'attrazione di un eroe dei cartoni animati, di quelli che da soli trasformano bande di brocchi in squadre vincenti a suon di gol. La gente ("e i giornalisti sono anzitutto spettatori") ama calciatori così. Se Davide-Ucraina batte Golia-Germania, Sheva avrà altre carte da mettere sul tavolo, ma siccome non ha sollevato niente, neanche la simbolica classifica marcatori, difficilmente vincerà. Quindi Batistuta. La sensazione sempre più forte è che se avesse giocato (e di conseguenza segnato) stabilmente con l'Argentina, il PdO non gliel'avrebbe tolto nessuno. Perché il Re Leone è nel calcio contemporaneo il bomber per eccellenza, perché è internazionalmente riconosciuto come un campione unico, perché si aspettava solo che vincesse qualcosa di importante, perché o adesso o mai più, perché all'estero la Roma è di Batistuta (e poi Totti) e non di Totti (e poi Batistuta). E in questi casi l'inversione degli addendi non è una sottigliezza. Insomma, nelle idee di una buona fetta d'Europa, la Roma ha vinto lo scudetto soprattutto perché guidata da un allenatore vincente e condotta sul campo dal carisma del suo centravanti, ed è anche grazie a queste due componenti che è avvenuta la maturazione di Totti. Quest'anno andrà diversamente, ma intanto nelle ultime 18 edizioni solo 4 volte il PdO è andato ad un calciatore che militava nel proprio Paese: non perché nessuno sia profeta in Patria, ma perché meno sei il simbolo di un squadra, meno sei legato ad una maglia, ad una città o a una cultura e più sei adottabile dagli appassionati di tutto il mondo come icona del calcio. Come Ronaldo, per intenderci. Totti all'estero è visto ancora come un prodotto prevalentemente italiano. L'anno scorso è stato votato da 4 giurati, il che non solo dimostra come fosse affrettato oltre che pretenzioso credere che con la corona di Euro 2000 Francesco avrebbe probabilmente vinto il PdO, ma dimostra anche come la sua esportazione all'estero fosse solo nella fase embrionale e Totti non avesse fatto breccia che nelle fantasie di vicini geografici (Malta, San Marino e Liechtenstein) o culturali (Romania, alla quale tra l'altro aveva segnato sia in Belgio che nelle qualificazioni Mondiali). Probabile che quei 4 gli confermino la stima, sicuro che nella cinquina italiana ci sarà un posto importante per lui, possibile che il giurato georgiano non ci pensi due volte ad inserirlo nella scheda dopo quello che gli ha combinato nei due match di qualificazione alla Coppa del Mondo. Ma andare oltre, valutare il grado di penetrazione del prodotto-Totti sul mercato estero, è impossibile. È un dato che il capitano della Roma sia il primo italiano a poter pensare concretamente al PdO dal '94, Baggio secondo e Maldini terzo, e che neanche ai tempi di Conti e Liedholm a Trigoria vantassero due giocatori in lizza (a proposito, nelle 50 nominations dovrebbero trovare posto anche Candela e Cafu). Se il premio arriverà subito - sull'ultimo treno in partenza per Reconquista o sul primo con destinazione Porta Metronia - tanto di guadagnato. Se per vederlo nella Capitale bisognerà attendere un altro scudetto, una coppa europea o un trofeo Mondiale ancora meglio. La sensazione in ogni caso, è che prima o poi quel Pallone d'Oro arriverà.