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  Inchieste


 

Dall'Argentina con amore

di Dario Castaldo - Gen.2002

Manuel tifa per l'Inter, ma si tradisce solo quando un compagno di stanza estrae dal cassetto del comodino la sciarpa nerazzurra di solito tenuta in bella mostra sopra il letto. Non che si vergogni della sua fede calcistica, Manuel, ma siccome nel reparto di pediatria dell'Umberto I arrivano gli argentini della Roma, vorrebbe godersi l'avvenimento come tutti gli altri, magari evitando una razione di attenzioni sotto forma di sfottò. E poi è felice come tutti gli altri. Si vede quando calamita ogni poster, rivista e cappellino che l'apertura delle braccia gli consente, si procura un pennarello e nel dubbio pure una penna, e alla fine si mescola allo strascico umano al seguito dei sudamericani nel tentativo di guadagnare posizioni e far man bassa di autografi. Altrove c'è anche chi non è dell'umore giusto e dice chiaramente di fregarsene del Re Leone e di una foto con lui, ma Bati non fa una piega. Abbronzatura e volti rilassati dei freschi reduci da lidi più caldi, lui e Samuel fanno il giro delle stanze del reparto di pediatria e si intrattengono a lungo con tutti i bambini e i loro genitori. Si vede che non è la prima esperienza nel genere: il sorriso fisso ma sincero, lo sguardo dolce che probabilmente nessun difensore o attaccante della serie A ha mai incrociato in campo, la battuta sempre pronta e mai una volta che davanti ad un taccuino scatti il braccino o il rifiuto. Neanche una foto negata al bambino, al bambino con i genitori, ai genitori da soli, alle sorelle, ai fratelli, all'amico con il bambino, all'amico da solo, alle infermiere o ai dottori. E poi ricomincia il giro, con quelli che prima stavano dietro l'apparecchio fotografico. E ancora mille: "Gabriel, puoi venire un attimo al telefono?" - "Chi è?" - "È l'altra mia figlia, sta a casa" - "E che le devo dire?" - "Salutala!" - "Ciao!...Va bene, così?". "Sì, grazie˜Hai sentito amore? Era Batistuta!". Assieme a loro Leandro Damian Cufrè, di cui una buona fetta dei presenti ignora l'esistenza, figuriamoci il nome. Di fronte all'effetto prodotto da tanta grazia del Dio Pallone sembra quasi intimidito. Rispetto agli altri due si direbbe che è uno "normale‰, forse perché non suscita ancora il fascino dell'uomo in grado di condizionare l'umore di milioni di tifosi o perché non fattura ancora come un'azienda di piccole dimensioni. È chiaro che ha meno dimestichezza degli altri con i bagni di folla: non ha il carisma degli altri due oppure, in fondo, quello dell'uomo-copertina non è il suo mestiere. È qui da meno di sei mesi, come il connazionale Cùper, e se il tecnico dell'Inter è il termine di paragone per ipotizzare il suo livello di italiano o se il grado di confidenza con la nostra lingua è proporzionale alle interviste rilasciate, allora siamo freschi. Invece quando arriva il prof. Castello, direttore del dipartimento di pediatria nonché oriundo argentino, il discorso cade inevitabilmente sulla situazione di Buenos Aires, e a domanda in spagnolo maccheronico Cufré risponde in un ottimo italiano: "Le cose in Argentina si stanno mettendo meglio - dice con il tono incerto di chi non sa se è di fronte ad un'intervista e comunque anche se lo fosse non avrebbe imparato ad automatizzare i meccanismi della replica pro forma - ma abbiamo passato un brutto periodo. Il problema è che con la crisi le banche non concedono alla gente la possibilità di ritirare più di 500 euro dal conto corrente - aggiunge, senza neanche soffermarsi a fare i calcoli con la nuova moneta - e il risultato è che nessuno ha i soldi per comprare niente. Le vetrine sono semivuote, i mercati deserti, e in compenso le strade sono piene di gente arrabbiata".

Il passato anche recente dimostra che il passaggio dalla crisi finanziaria alla sommossa sanguinosa non è poi tanto lungo. E se è vero che è limite il caso dell'Albania di 5 anni fa, nella quale circolavano più kalashnikov che (le pur tante) Mercedes rubate in Italia, tra gli argentini rossogialli non ce n'è uno che non sia moderatamente ottimista: "La gente è preoccupata, ma non ho visto scene di povertà o di disperazione - conferma il neo sposo Samuel -. Ora la sensazione è che le cose si risolveranno grazie al nuovo presidente Duhalde; il suo Governo è già intervenuto in maniera decisa per fermare la crisi". "Ci vorrà del tempo - spiega Batistuta con il piglio del leader politico - ma quello argentino è un popolo orgoglioso, ottimista e con voglia di lavorare, perciò usciremo da questa crisi, nella quale ci hanno spinto governanti che prendevano tutto e scappavano ma della quale siamo responsabili anche noi, visto che finché si mangiava lasciavamo correre tutto. Non è vero che noi in Italia viviamo un esilio dorato, soffriamo esattamente come la gente che sta lì, perché abbiamo un mucchio di parenti ed amici, e perché l'Argentina è il nostro Paese". Al gruppo si aggregano anche Cejas e Guigou. E meno male, perché vedere Samuel senza l'uruguayano avrebbe messo in discussione uno degli assiomi portafortuna di Trigoria. I due nuovi arrivati si fermano a lungo nella sala rianimazione. "Terremoto"ha due spalle così e probabilmente un cuore ancora più grande. È anche disposto a parlare della sua Argentina, ma al momento ha altro per la testa. Si avvicina alle incubatrici, chiede, sembra non volersene andare. Un'infermiera tiene tra le braccia una bambina con i capelli lunghi e neri con gli occhi ancora chiusi. Non ha nemmeno una settimana di vita. Racconta la ragazza con il camice che la madre, una donna albanese, l'ha abbandonata dopo averla messa al mondo. "Ti rendi conto? - ripete Cejas all'amico Stefano, uscendo dalla sala - Ma come si fa a fare una cosa del genere ad un bambino?". Guigou raggiunge Samuel e gli racconta la vicenda con lo stesso trasporto. Altro che visita di cortesia.