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  Interviste


 

Roberto Pruzzo: "Così purgai il Dundee"

di Daniele Maria Monti

Era un caldo pomeriggio di fine aprile, la folla allo stadio rumoreggiava impaziente, le televisioni erano tutte sintonizzate sullo stesso canale, la città silenziosa aspettava con ansia il risultato di quella partita. C’erano due gol da recuperare, c’erano due gol che dividevano la Roma da una storica finale di Coppa Campioni, c’erano due gol che solo lui, il Bomber, poteva segnare con la naturalezza di chi è abituato a certe prodezze. Quel pomeriggio Roberto Pruzzo lo stadio Olimpico se lo ricorda bene: "Fu subito un’emozione incredibile entrare in campo e vedere l’entusiasmo di tutti quei tifosi che ci chiedevano solo di conquistare la finale. Era un’atmosfera surreale e solo chi l’ha vissuta direttamente può capire. Ricordo che il pubblico ci incoraggiò dall’inizio alla fine della nostra grande impresa". E, in effetti, gli ottantamila dell’Olimpico risposero alla grande, specie dopo le dichiarazioni del tecnico scozzese McLean che li immaginava lontani e silenziosi. Evidentemente non conosceva proprio le armi della squadra di Liedholm. "Se c’è una cosa che da sempre aiuta la Roma, quella è il tifo. Noi consideravamo il pubblico il dodicesimo uomo in campo, sempre pronto a darci una mano nei momenti più delicati. Ancora oggi molte squadre lo invidiano perché riesce a far dare sempre il massimo a chi è in campo". Il Bomber si emoziona ancora quando pensa a quel pomeriggio di aprile, che avrebbe consegnato alla storia un momento indimenticabile per un’intera città. Nella partita di andata a Dundee qualcosa non aveva funzionato a dovere e quella era l’unica occasione di riscatto per dare un senso ad una stagione che vedeva la Roma ormai lontana dalla lotta scudetto. "Per me, oltretutto, c’erano delle motivazioni particolari. All’andata avevo giocato male come tutta la squadra e le critiche della stampa nei miei confronti erano state feroci. Quando si andava a giocare in Inghilterra era difficile per gli attaccanti mettersi in mostra, anche perché loro giocavano con lanci lunghi a scavalcare il centrocampo. Le indicazioni di Liedholm per la partita dell’Olimpico erano state precise: aggredire gli avversari con saggezza, sviluppare il nostro gioco d’attacco e impedire loro di metterci in difficoltà con i lanci".
A giudicare dall’andamento dell’incontro i consigli del Barone erano stati seguiti alla lettera, ma i due gol dell’andata pesavano come macigni, e anche un solo errore poteva definitivamente compromettere l’appuntamento con la finale.

Tutti a Roma, comunque, erano convinti di farcela, dai giocatori ai tifosi, da Liedholm alla stampa. "Il tecnico ci disse di giocare alla nostra maniera, ché i gol sarebbero venuti da soli. La nostra paura era quella di subire una rete che ci avrebbe impedito la rimonta. Per il resto eravamo tranquilli, consapevoli della nostra forza e soprattutto di essere superiori al Dundee. A mente fredda dico che eravamo troppo più forti degli scozzesi e che se avessimo rigiocato quella partita per dieci volte, anche su un campo neutro, non avremmo mai perso". Certo recuperare due gol non è mai facile, ma quella Roma era capace di tutto e a quei tempi lo stadio Olimpico era conosciuto per la famosa "legge del tre". Ne sapevano qualcosa i tedeschi dello Zeiss di Jena e della Dinamo di Berlino, gli inglesi dell’Ipswich e gli svedesi del Goteborg, tutti sconfitti con l’identico punteggio: 3 a 0, appunto. Quel 25 aprile le condizioni c’erano tutte e anche il sole era sceso in campo per aiutare la squadra di Liedholm. "Era un pomeriggio caldissimo che sicuramente ci avvantaggiava, ma io non amavo giocare col caldo, mi dava fastidio, non riuscivo ad esprimermi al meglio". A sentire queste parole quasi non ci si crede. L’eroe, quel caldo pomeriggio di festa, era stato proprio lui, Roberto Pruzzo detto Bomber, e per l’occasione addirittura killer. Da solo, infatti, era riuscito a liquidare gli scozzesi e a regalare alla Roma una delle pagine più belle e più sfortunate della sua storia. Che sarebbe stato un giorno speciale se ne accorsero subito tutti. L’urlo dell’Olimpico strozzato in gola per il gol annullato a Conti era solo il preludio per il successivo gol di Pruzzo. "Il primo è stato forse il più importante. È stato bravo Bruno a battere velocemente un calcio d’angolo, io sono andato incontro alla palla e ho anticipato i difensori". Ma il vero capolavoro della partita fu il secondo gol di Pruzzo, specialmente se si ricorda che la retroguardia del Dundee era anche quella titolare della nazionale scozzese. "Il secondo gol è stato certamente uno dei più difficili della mia carriera. Ero marcato da due difensori, quando mi arrivò una palla spizzata di testa da Maldera che riuscii a stoppare di petto e a girare al volo, centrando l’angolino lontano. Quel gol ci fece capire che saremmo arrivati in finale". Anche nella terza, decisiva rete, firmata su rigore dall’indimenticabile Agostino Di Bartolomei, ci fu lo zampino del Bomber, abile a procurarsi il rigore. Ma l’emozione più grande Pruzzo la provò al momento di uscire dal campo: "Mancava circa un quarto d’ora alla fine della gara, avevo i crampi e non riuscivo più a giocare. Sentire l’applauso della gente e non poterlo ripagare rimanendo in campo fu tremendo. Ricordo che fu una sofferenza incredibile assistere dalla panchina senza poter fare nulla per aiutare i miei compagni".

D’altronde quella era la Roma dei campioni, dei Falcao, dei Conti, dei Tancredi, senza dimenticare tutti gli altri, ma era anche la Roma del collettivo. Un collettivo che Liedholm aveva saputo amalgamare a dovere, dove l’amicizia era più forte di tutto il resto e dove l’allegria e la voglia di divertirsi fornivano gli stimoli necessari per essere grandi. "Prima che compagni di squadra eravamo amici" ricorda Pruzzo. Questo era il vero segreto di quella squadra definita da molti "italobrasiliana" per le sue caratteristiche di gioco: possesso di palla, tecnica sopraffina, fantasia e possibilità di segnare con qualsiasi giocatore. Quella era la Roma che faceva sognare, alla quale la sorte ha voluto negare la realizzazione di un sogno. "Non ho avuto nessun rimpianto per la finale. Giocammo quella partita con tutte le nostre forze, ce la mettemmo tutta dando il massimo, alla fine non ci riuscimmo, ma non avevamo nulla da rimproverarci". Oggi Roberto Pruzzo, dopo essere stato il capo degli osservatori della Roma, ha deciso di provare la carriera di allenatore, portando il Viareggio a disputare un ottimo campionato di C2 e a salvarsi. Poi il divorzio, dettato da differenti piani per il futuro. "La società voleva valorizzare determinati giocatori, io avevo altri progetti, ma ci siamo lasciati in ottimi rapporti". Osservatore o allenatore, per noi Roberto Pruzzo resterà per sempre il Bomber, centravanti sornione e un po’ indolente, capace di infiammare i tifosi con una sola giocata e capace quel caldo mercoledì di aprile di regalare a tutti un pomeriggio indimenticabile.