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  Interviste


 

Una vita da Damiano

di Daniele Lo Monaco - Gen. 2000

Dieci anni. Quando al massimo la paura che hai è quella del buio: "Non dimenticherò mai quando lo vidi arrancare in bicicletta: di solito ci teneva a starmi davanti, quel giorno rimase indietro, mi girai e lo guardai sorpreso, proprio non ce la faceva". Dieci anni. E tra Big Jim e il pallone, Goldrake e la geometria, nella vita di Luca entrò l'Intruso: Leucemia mieloide acuta. Ci misero mezz'ora a pronunciare quelle tre parole: "Io rimasi a casa mentre lo visitavano per capire perché si sentiva così stanco, mia moglie dopo un po' mi chiamò: "Guarda che devi venir su subito. "Occhei, risposi, finisco di mangiare e arrivo". No, è meglio se vieni subito". Andai subito, mia moglie piangeva, i medici tutt'intorno le parlavano, io non li sentivo, ma capii lo stesso". Leucemia mieloide acuta. Dieci anni. Spacciato.

Ora, immaginate l'orco più nero, lo squalo più spaventoso, una tigre famelica che sta per spiccare il salto, un gruppo di nazisti incazzati col fucile spianato, o Stalin in persona, se vi viene più facile, impaziente di premere quel grilletto. Questa è la leucemia mieloide acuta. E vostro figlio è lì, scelto dal destino quale bersaglio impotente di tanta durezza, e puoi piangere, disperarti, ripararlo, bestemmiare o pregare, tanto è uguale, è spacciato, è condannato, siamo nel Duemila e non serve, è finito, fi-ni-to, ancora un po' e sarà spazzato, annientato, dimenticato nel mucchio. Ora immaginate l'angelo più dolce, il suo intervento morbido e deciso, e l'orco adesso lecca vostro figlio, lo squalo non ha neanche più i denti, la tigre fa le fusa, i nazisti finalmente sorridono e gli regalano un pallone, e Stalin si mette in porta. E tutto questo non è un sogno e neanche un miracolo, tutto questo è semplicemente un Donatore. L'angelo di Luca si chiama Chiara, è sua sorella maggiore, il suo midollo era compatibile, in poche ore l'ha donato, in poco tempo l'hanno trapiantato nell'anima di Luca che oggi, a ventiquattro anni, sorride alla vita e continua a giocare a pallone: "E l'unico rapporto che ha oggi con l'infermeria - finisce il racconto suo papà, il professor Umberto Teolato - è quando s'infortuna giocando".

Damiano Tommasi - eccolo il nostro collegamento tra la Roma e questa storia, e se non ha avuto problemi lui a uscire un po' dal recinto del calcio, non sarete mica voi che leggete a farne, vero? - conosce bene la storia del professor Teolato, professore nel senso che insegnava a scuola ai ragazzi a diventare grandi, lui che a un certo punto sembrava convinto che proprio suo figlio Luca grande non sarebbe mai diventato. E invece è bastato un Donatore, uno, uno solo, ogni malato di leucemia avrebbe diritto ad averne uno, solo che c'è ancora qualcuno che ci pensa, o magari proprio non ci pensa, qualcuno che avendo dai diciotto ai trentacinque anni potrebbe salvare una vita e non lo fa solo perché teme che donare il midollo significhi magari entrare in un mattatoio e lasciarsi squartare la pancia. Non sa che per salvare una vita basta prenotarsi presso uno qualsiasi dei centri a questo delegati (vedi riquadro a parte), sottoporsi a un semplice prelievo di sangue (tipizzazione, si chiama) e poi attendere di essere convocati, tra dieci giorni, un mese o un anno, solo quando servirà effettivamente salvare una vita, e a quel punto donare appunto il midollo, che è meno doloroso che donare mille lire e soprattutto costa meno. Entri in una struttura specializzata, ti metti il pigiamino, sali sul lettino, ti addormentano con una punturina, con un'altra ti prelevano la quantità necessaria di midollo da un osso del bacino e tu dopo mezz'ora ti svegli, ti rivesti e torni a casa. E domani potrai riprendere a fare quello che facevi fino a ieri, che sia giocare a pallone, come Luca o come Damiano Tommasi, o andare a scuola, o lavorare in banca, alle poste o al mercato, o come commercialista o avvocato o casalinga. O come tutto. E mentre tu riprendi a fare tutto, per l'altro, l'ex condannato a morte, comincia la risalita verso la luce. Ma ormai il peggio è passato, all'ottanta per cento anche lui potrà tornare a fare quello che faceva magari non il giorno prima, ma due, tre, cinque o anche dieci anni prima, dieci anni prima che qualcuno lo mettesse di fronte a un destino atroce e spietato.

Il professor Teolato e suo figlio, e la signora, e la figlia, sono passati in quel tunnel e oggi indicano la luce a chi sta ancora dentro. Teolato guida la Dimos, una delle più grandi (e solerti) associazioni che regolano e sostengono la donazione del midollo osseo e Damiano Tommasi ne è uno dei testimonial più convinti. Non solo a parole: "Io sono un potenziale donatore: con mia moglie Chiara, e Zago, qualche settimana fa ci siamo sottoposti al primo prelievo, alla tipizzazione, ora sono in attesa di poter effettivamente salvare una vita". Anche Rinaldi presto seguirà il loro esempio, mentre Antonioli, Di Francesco e Mangone l'hanno già fatto da tempo. E' bello ascoltare Tommasi mentre dice le Cose Giuste: "Io non faccio niente di speciale, altri miei colleghi s'impegnano come e più di me, lo faceva già Minotti qualche anno fa, forse oggi io sono il più ascoltato, chissà perché. Chissà perché a me fate domande che ad altri miei colleghi non fate o forse lo fate perché le mie risposte non sono convenzionali. Insomma, io rispondo e sono contento, eppure sono sempre convinto che non se ne parli mai abbastanza; ad esempio, quando siamo andati a Setubal a giocare in coppa Uefa nessuno si è soffermato sulle continue manifestazioni di solidarietà dei portoghesi nei confronti delle popolazioni di Timor Est e forse s'è parlato poco anche dello striscione in curva sud il giorno del derby in cui si invocava rispetto per Paparelli. Io provo a fare il mio, con questi piccoli atti mi sento un uomo migliore, anche se il mio gesto ha lo stesso peso di quello di un qualsiasi altro ventenne che decide di testa sua di diventare donatore. E poi a me serve anche d'allenamento perché presto o tardi anch'io tornerò dall'altra parte del palcoscenico, a fare lo spettatore. E a quel punto non avrò più la possibilità di fare da esempio. Devo sbrigarmi".

A vederli vicini, Teolato e Tommasi sembrano padre e figlio, stessi toni, stessa mitezza, stessa serenità, e la piccola Beatrice, che si divincola dispettosa sulle gambe di Damiano, si rivolge al signore sconosciuto con la familiarità che si ha col nonno. Poi viene attratta dai colori di una rivista poggiata lì davanti: "Ha visto Capello in fotografia - interviene Damiano - anche in tv lo riconosce sempre". Si ride, è una piccola e lieta comunità (c'è anche Matteo che scatta e Patrizia e Antonella interessate all'argomento), forse davvero fare o parlare del bene alleggerisce il peso di un millennio nuovo che pare trascinarsi i problemi del vecchio, problemi che attecchiscono nella vita e nello sport. E Tommasi ricomincia con le Cose Giuste: "Io quando vedo certi atti violenti in uno stadio mi sento responsabile non come calciatore, ma come cittadino. Tutti dovremmo fare qualcosa di più, chissà magari arriverà davvero il giorno in cui qualcuno di noi si rifiuterà di giocare una partita dopo aver letto il contenuto offensivo di uno striscione. O forse non servirà neanche questo, forse farebbe comodo a chi li dovrebbe sequestrare, certi striscioni. Forse basterebbe solo che i ragazzi che vanno a scuola imparassero ad ascoltare la storia così come la tramandano gli insegnanti. Io ho imparato molto dai miei insegnanti a scuola, e vi garantisco che se ascolti la storia dell'Olocausto, poi non ti viene in mente di fare striscioni razzisti. Eppure certe volte mi rendo conto che la violenza fa parte della nostra vita, ormai. Zago, ad esempio, è un ragazzo eccezionale, io lo conosco bene. E con la storia dello sputo a Simeone è stato umiliato dagli stessi tifosi della Roma: è accaduto il giorno dopo il derby, io ero in macchina con lui, sapevo quanto stava male per quello che aveva fatto. Così quando quel tifoso s'è avvicinato per ringraziarlo dello sputo, anzi, per rimproverarlo di non aver sputato anche agli altri, Antonio s'è sentito davvero ferito. Io certi eccessi di tifo non li capisco, non riesco a credere che ci sia qualcuno che tratta male la moglie solo perché la Roma o la Lazio o il Milan o la Juve hanno perso una partita. Magari anche questi tifosi fanno la nostra fortuna, per l'equazione maggior interesse= maggior denaro, ma io rinuncerei volentieri a una parte del mio ingaggio se tutto l'ambiente fosse ridimensionato. Ecco, se qualcosa vorrei cambiare del mondo del calcio è proprio l'enfatizzazione e poi l'ipocrisia su cui si reggono certe parole, certi rapporti, la falsità di certe dichiarazioni".

E' bello ascoltare le Cose Giuste, capire da dove arrivi la serenità che ne regola il flusso: "La mia serenità proviene dalla Fede Cristiana, ma questo ha importanza solo per me. Credo che in qualsiasi religione ci sia la consapevolezza che un uomo non è solo carne e ossa. Per me la Fede è un aiuto, un sostegno, mi fa essere ottimista". Non lo fa reagire in campo, forse, lo ha fatto sopportare le critiche più feroci, forse: "L'ho detto, mi aiuta. Reagire non serve a niente, ormai il fallo l'ho subito, reagire con durezza servirebbe solo ad alimentare le tensione del pubblico. E le critiche, poi, anche quelle c'erano un paio d'anni fa e non avevo altra scelta che sopportarle. Ero disposto anche ad andar via a un certo punto. Sentivo di impegnarmi al massimo, se non veniva apprezzato il mio contributo semplicemente non era un problema mio". Oggi nel suo mondo il doping è una piaga devastante: "Io mi stupisco dello stupore. Che si faccia ricorso alla scorciatoia del doping è acclarato, ormai". Anche nel calcio? "Io non ho mai avuto riscontri diretti. Però nel ciclismo è evidente. Ma se dovessi scoprire che anche il calcio è stato contaminato non mi stupirei davvero, visto il livello ormai altissimo degli interessi economici. Casomai vedo che quest'anno, soprattutto a Roma, si parla di meno di doping. Forse perché non c'è più Zeman, non fa più notizia. Colpa nostra se senza Zeman non teniamo alta l'attenzione. A me Zeman manca, lo dico chiaramente, mi manca la sua coerenza, mi manca da tifoso del calcio". E lo dice convinto, con la serenità di chi sa di non offendere nessuno per questo, neanche Capello, con la serenità del papà di questa splendida Beatrice e della piccola Camilla, del marito di Chiara, dell'amico e "portavoce" del professor Teolato e di tutti gli uomini giusti che non hanno bisogno di alzare la voce per far sapere qual è la direzione da prendere. Andiamo, Damiano. E grazie.