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Intervista a Biscardi

di Daniele Lo Monaco - Dic. 2000

Ha accettato. Senza tentennamenti. E anche dopo aver letto le durissime parole che su rosso&giallo gli avevamo dedicato. Quando ho chiamato il responsabile del suo ufficio stampa, Antonio Provenzano, inoltrandogli una richiesta che poteva apparire bizzarra (chiedere un'intervista a Biscardi dopo aver scritto cose gravi tipo che è autore di una trasmissione vergognosa) mi aspettavo, nell'ordine, una risata fragorosa, una minaccia di querela, un insulto risentito, una snobistica risposta di circostanza, persino un cortese rifiuto. Non mi aspettavo invece che il Gran Capo, ricevuta richiesta e rivista, accettasse senza riserve, dedicandomi due ore e quattordici minuti consecutivi, comprese strette di mano e pacca sulle spalle finale, oltretutto deviando linee telefoniche e staccando il cellulare, accortezza questa che nessuno dei precedenti comunicatori di primo livello mi aveva riservato. E alla fine, lasciato l'austero ufficio di piazza della Balduina, il dubbio che avevo s'è tramutato in certezza: Biscardi non ci fa, ci è. E nel corso di un colloquio in cui dimostra di essere un incassatore che neanche Marvin Hagler, regala gemme di vivido valore ("Io sono come Joyce, Pascoli, Leopardi e Pasolini, è il destino dei grandi poeti essere dileggiati"), notizie di spessore giornalistico ("Se Sensi e Capello dicono che non c'è problema per il rinnovo del contratto perché non firmano? Io lo so, perché Capello per il prossimo anno è già d'accordo con il Barcellona"), rivelazioni di carattere personale ("Una volta, sulla barca di Ferlaino, Cannavò mi ha confidato di essere geloso della mia popolarità"), e di carattere sociale ("Altro che istigatori dei teppisti, se non accadono più fatti particolarmente violenti negli stadi è merito del Processo, che ha costretto questori e ministri dell'Interno ad annunciare pubblicamente decisioni che non dovevano essere più rimandate"). Insomma, due ore e quattordici minuti di divertimento puro, di fronte a un totem immutabile nella certezza della sua missione, impermeabile a tutte le accuse ("Certi rilievi li smonto in due minuti"), persino ossequioso alla fine ("Il tuo attacco non mi dà fastidio: ti sento puro e genuino nel tuo risentimento. La maggior parte dei tuoi colleghi che mi accusa, invece, lo fa solo perché non li invito mai al Processo o per invidia"). Due ore e quattordici minuti da ricordare. E da raccontare. La premessa, caro Aldo Biscardi, è obbligatoria: io sono qui su mandato dei nostri lettori, ma anche a titolo personale per contestarle in toto il suo modo di fare televisione. E se lei ha accettato è segno che le va di parlarne. Il Processo nacque, come racconta a parte, nel 1979 e per quei tempi l'intuizione fu davvero straordinaria: lei regalò popolarità ai giornalisti sportivi, fece diventare comuni le facce di tanti dirigenti, allenatori e giocatori, portando davanti alle telecamere una verve polemica ancora sconosciuta nella tv di stato. "Non ti dico le lotte, allora anche nelle Tribune Politiche vigeva la legge della clessidra, tre minuti a testa e via. Non c'erano trasmissioni di approfondimento sul calcio, a parte la timida moviola inventata da Eros Vitaletti e Carlo Sassi. Io mi inventai il moviolone e sconvolsi il calcio con le polemiche. Per aver detto che la Juve aveva rubato lo scudetto alla Roma pagai sette anni di boicottaggio della società bianconera, Sergio Zavoli mi rivelò ai funerali di Willy De Luca tutte le pressioni ricevute dagli Agnelli. Se avessi avuto allora il Moviolone di oggi, avrei fatto dieci milioni di ascolto con il gol annullato a Turone. E poi in Rai, insomma, qualche merito l'ho avuto pure nelle assunzioni, ma nessuno me lo riconosce mai. Ho portato Varriale, Cerqueti, Nesti, Ivana Vaccari, Floriana Bertelli, Carlo Paris, Stella Bruno e Marco Mazzocchi. Insomma il rinnovamento della Rai si deve a me". Fece sensazione la puntata dopo lo scudetto della Roma con Viola che annunciò davanti ad Andreotti il rinnovo del contratto di Falcao, poi smentito. "Andò così: prima della puntata Viola mi chiese di potersi appartare mezz'ora con Falcao nel mio ufficio. Quando ne uscirono, prima della trasmissione, Viola mi disse: "In diretta ti rivelo che cosa ci siamo detti". Così quando annunciò di aver trovato l'accordo, io ricollegai la notizia con il colloquio e fui contentissimo di aver avuto uno scoop in diretta. Solo che a fine trasmissione io uscii in macchina nascondendo Falcao sotto una coperta nel sedile posteriore per sfuggire all'assalto dei tifosi in festa a via Teulada e con Paulo mi recai ad un appuntamento per la cena con il suo procuratore, l'Avvocato Cristoforo Colombo, a piazza Navona. Arrivammo e lo trovammo in piedi sulla porta del locale, furibondo. Arringò Falcao ("Questa me la paghi. Ma come, vengo dal Brasile per trattare con Viola e tu ti metti d'accordo personalmente?") provocando la reazione del giocatore: "Non ci siamo accordati, ha fatto tutto lui". Immaginate le polemiche successive quando il giorno dopo smentirono l'accordo…". Sui suoi meriti da pioniere non vogliamo discutere, ma oggi, vedere Corno e Melli che si azzuffano su commissione, Mosca sparare impunemente "bombe", come le chiamate voi che solo il titolo provoca ripugnanza, azzeccandone peraltro una su dieci, Menicucci trinciare giudizi morali che se avesse pudore non si guarderebbe allo specchio, per non parlare degli altri… "E no, qui non ci sto più. Dividiamo forma e sostanza. La sostanza dice che chi guarda il Processo può vedere espressi i pareri più diversi sugli argomenti più scottanti. Il Processo, in quanto tale, affronta soprattutto le cose che non vanno riuscendo a far esprimere con le capacità che sono proprie di ognuno degli ospiti le diverse teorie. E su questo nessuno può contestarmi niente. Gli argomenti sono reali e sono quelli di cui si discute in tutta Italia: e non è colpa mia se colleghi anche celebrati, direttori di giornali, magari sulle loro testate li ignorano. Per me la crisi di Del Piero fa notizia, il calcioscommesse fa notizia, il doping fa notizia, se Totti non firma il rinnovo fa notizia (anzi ti avverto, l'ho già detto a Sensi: "Presidè, se non vi sbrigate a firmare ce faccio 'na puntata")". Poi c'è la forma, importante quanto la sostanza. "Beh, qui ognuno usa lo stile che ha". Vuol negare che nel suo furbo circolo vizioso i giornalisti vengono appositamente a far casino perché così sono più popolari, accrescono l'audience così lei li richiama e loro continuano ad arrotondare lo stipendio con i ricchi gettoni di presenza? "Te lo nego perché molti vengono gratis. Zazzaroni viene gratis. E altri. Poi dipende da quanto guadagnano nei loro giornali, comunque il gettone non è altissimo, dipende dal calibro dell'ospite. E non vengono solo giornalisti. Alcuni non vogliono il gettone per motivi fiscali, altri lo pretendono perché magari se la passano male". Recanatesi ha rivelato invece sul Corriere dello Sport che la sua tesi difensiva di fronte ad un giudice che le rinfacciava una querela presentata dagli arbitri italiani è stata: "Caro Giudice, da noi gonfiamo appositamente le notizie per motivi di audience, ma tutti sanno che le notizie da noi non vanno prese sul serio". "Ho querelato Recanatesi per quell'articolo: ha messo tra virgolette cose che evidentemente gli hanno riferito ma che non rispondono assolutamente alla verità. Io dissi al giudice che nella mia trasmissione ogni tesi ha una sua antitesi: così chi sostiene che, ad esempio, Del Piero è bollito trova adeguata risposta da chi dice il contrario. Per cui non si può querelare nessuno per quanto affermato. E il giudice ha convenuto con me su questa teoria. Recanatesi pagherà centinaia di milioni per quell'articolo". Torniamo al teatrino: ci vuol poco, dicevamo, a far azzuffare nell'arena certa gente. "La mia è la trasmissione che ha la più alta partecipazione di specialisti titolati: da me vengono direttori di giornali, prefetti, questori, ministri, presidenti, procuratori e calciatori. Se poi si azzuffano che colpa ne ho io?". Ma su, se l'hanno inquadrata persino mentre con ampi gesti della mano invitava i suoi ospiti a far più casino… "E qui torniamo alla forma. Quello fa spettacolo. Ma la sostanza è inalterata. Questo è giornalismo, chi sostiene il contrario dovrebbe fare l'impiegato del catasto". Mura, ergo, dovrebbe fare l'impiegato del catasto? "Mura dice che non verrebbe mai al Processo? Mura potrebbe dirlo se io l'avessi mai invitato al Processo. Ma non mi risulta… Sia chiaro, Mura è bravissimo nel suo mestiere, ma in tv sarebbe un disastro". Insomma, chi l'attacca lo fa perché non viene invitato? "No, tra i miei contestatori c'è anche gente qualificata, tipo Aldo Grasso. Mi massacra, anche se in un'enciclopedia della tv ha scritto un panegirico sul Processo". Scusi, Biscardi: ma lei pensa mai all'utente finale? Non crede che certi concetti espressi con quell'ardore, quell'enfasi, quell'odio, istighino alla violenza? Non pensa che la contrapposizione Roma-Milano così esasperata potrebbe portare qualche testa calda a cercare giustizia a modo suo per un eventuale torto subito? "E che sono un educatore, io? Io faccio il giornalista. Il calcio è contrapposizione, entra in un bar e senti i discorsi che fanno. Solo che da me li fanno direttori di giornali e dirigenti qualificati. Il calcio non sono certo le formulette tattiche dei commentatori di oggi, quattrotrettré o tredduedue, mi fanno ridere, il calcio è passione. Roghi di calcio non capiva niente, ma era uno straordinario comunicatore di passioni". Anche lei fa parte di questa categoria? "No, io ci capisco di calcio". Per lei Sacchi e Zeman sono due dementi da internare. "Sacchi parla di cultura, ma che ne sa lui che vendeva le scarpe? Lasci a Bobbio la cultura e lui pensi al calcio. Zeman poi ha il record degli esoneri. E poi i ct…". Che c'entrano i ct? "Sono tutti matti. Anzi no, tutti no. Trapattoni no. Voglio dire, se l'intero popolo italiano vuol fare giocare Baggio, tu lo devi far giocare. Non devi pensare che solo perché sei ct la Nazionale è roba tua. No, è degli italiani". Mah. Potremmo discutere a lungo, ma sarebbe inutile. Lei è davvero convinto di quello che dice. "Io vado avanti per la mia strada, sono popolare, ho successo, mi offrono pure di fare da testimonial pubblicitario, ma ho rispetto della mia professione e poi me ne frego, sono una star, ho i miliardi, che me frega di vendere le lavastoviglie. Ho solo fatto quella pubblicità del corso d'inglese, quella in cui dicevo "Deng iu", perché aveva finalità didattiche, insomma era attinente con il giornalismo". Insomma, lei è un benemerito. E continua ad essere attaccato. "E invece ultimamente c'è una sorta di revisionismo critico nei miei confronti. Sono stato intervistato dalla Stampa, da Sette, dall'Espresso e tutti mi hanno riservato frasi carine. C'è più accettazione". La chiamerei rassegnazione, casomai. "No, non è indifferenza. Mi vogliono davvero più bene". Ma che ascolti fa? "2 milioni di media, che in proporzione valgono i 3.6-3.7 che facevo in Rai. Il Processo fa in due ore quello che Tmc fa in media in una giornata, ma questo mi dispiace". Per lei conta solo l'Auditel. "Non solo, conta anche la qualità. E infatti invito i direttori. Ce ne sono anche di più moderati. So bene che quando parla Cucci magari l'ascolto cala di 100-200.000 unità, ma lo tollero. Anche perché quando lo attaccano personalmente s'incazza e allora vedi che picchi…". La Roma è puntualmente massacrata al Processo. "Da Milano, ma da Roma la difendono. Ma che ci posso fare io, se i tifosi sapessero che sono romanista…". Lei è romanista? "Sì, ma non lo scrivere, lo smentirei persino in punto di morte. L'altro giorno Teotino m'ha fatto incazzare: "Aldo, ma lo sai che sono le 11.03 e non abbiamo ancora parlato di Roma?". Io me la sono presa: "I tifosi della Roma devono sperare che non ne parleremo più fino alla fine dell'anno, questo è un Processo, dopo vent'anni ancora non l'avete capito?". Triste, il destino degli incompresi.