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Intervista con Cafu

di Daniele Lo Monaco - Gen. 2001

Ha delle belle mani, Marcos de Morais Cafu, dita lunghe e affusolate, dorsi forti e nervosi, unghie curate. E nella bella foto di Gianni Giansanti, la foto utilizzata per il calendario di cui parleremo tra un po', le mani le tiene belle alte, ma non in segno di resa, tutt'altro. È un segno di reazione piuttosto, col sorriso sulle labbra, come suo costume. Sorridono tutti, Cafu e i bimbi che gli sono attorno, tre sono i suoi figli - Danilo, Wellington e Michelle - gli altri sono cuccioli del mondo, non importa chi e non importa da dove, il senso del messaggio è proprio questo: "È un'iniziativa, una delle tante, ma una in più. Questo per me è importante". Dunque: la foto è diventata un poster-calendario che chiunque può acquistare in edicola in allegato con una videocassetta su Cafu sapendo di contribuire a finanziare progetti e strutture di assistenza per i bambini disagiati e le persone bisognose. Un'idea semplice ed efficace, come tutte le idee semplici. Il romanista si è prestato volentieri, anzi, ha ispirato lui stesso l'iniziativa con l'amico Ivano Antinelli e con la collaborazione del fotografo Giansanti. Nel calendario c'è uno slogan che è anche un gioco di parole "VinCA il FUturo" e poi una frase di Nelson Mandela, leader sudafricano da sempre simbolo della lotta contro l'Apartheid e tutte le discriminazioni razziali: "I bambini sono la nostra principale ricchezza". Cafu Mandela l'ha conosciuto davvero: "Fu dopo i Mondiali del '98, due anni fa. Una persona straordinaria, carismatica, affascinante. La nostra nazionale fu ospite del presidente della Repubblica Cardoso ad un ricevimento a cui partecipava anche Mandela. Lo avvicinai, gli regalai la mia maglia, fui capace di dirgli solo poche parole. Gli feci i complimenti, più che altro. Che vuoi dire di più ad un uomo così?". Non ha voglia, Cafu, di parlare di Roma. Non sarebbe neanche giusto, in questa sede, in questo momento, per questa occasione. Si consente una leggera digressione solo perché proprio su queste colonne, tre mesi fa, rilasciò un'intervista che fece davvero discutere. Fu subito dopo la contestazione che i tifosi della Roma riservarono a lui e ad altri giocatori della Roma in seguito all'eliminazione di coppa Italia per mano dell'Atalanta, intervista sulla quale peraltro siamo stati costretti a tornare anche nello scorso numero di rosso&giallo a causa di una pseudosmentita riferita dalla Gazzetta dello Sport: "Io smentite non posso averne date a nessuno perché non parlo quasi mai con i giornali e sicuramente non ho parlato con la Gazzetta dello Sport. Informalmente posso aver detto a qualcuno che non è vero che per me il calcio è morto e che il concetto che intendevo era che il mio calcio fatto di allegria e divertimento non esisteva più". Sottigliezze verbali, dunque, altro che smentite. Resta uno stato d'animo difficile da cancellare: "Quello che è successo è successo. Adesso è tutto passato. Non è stata una bella esperienza, ma è passata. L'abbiamo dimenticata tutti". Anche Assunçao? "Anche Assunçao". E Cafu va che è un piacere e sembra tornato sui livelli di grazia che ne hanno fatto il terzino destro più forte della storia del Brasile, mica dell'Islanda: "Ma io sono sempre lo stesso, ho sempre giocato in questo modo. Solo che adesso la palla va dentro e diventa tutto più facile". Sarà così fino in fondo? La Roma è davvero la più forte? "Non è la più forte. Per adesso è una delle più forti. La più forte è quella che alla fine sarà davanti a tutti". Stona anche a noi fargli domande sulla Roma mentre gli occhi si posano sul calendario, in fondo non capita tutti i giorni di parlare con un calciatore di argomenti di respiro più ampio. Di solito certe incombenze toccano a Tommasi, che poi poverino si limita a rispondere alle domande. Forse ad avere certi schemi chiusi in testa siamo noi che facciamo le domande. Eppure altre ronzano per la testa. Ci incuriosisce sapere, ad esempio, se al chiuso di uno spogliatoio, o negli incontri extracalcistici tra "colleghi", argomenti di sfondo sociale vengano discussi: "No, capita di rado di parlarne. Ma di sicuro tutti i giocatori della Roma sono stati molto solidali con noi quando c'è stata la contestazione a Trigoria. Sul razzismo non si scherza". Cafu l'ha già detto altre volte: non crede nelle manifestazioni plateali di cui potrebbero rendersi promotori i giocatori di serie A, magari con il coordinamento dell'Associazione Italiana Calciatori: "Noi siamo pagati per giocare e non possiamo fermare una partita per un coro razzistico. Però fuori dal campo ognuno di noi può fare qualcosa per spingere alla riflessione". E le ventilate squalifiche del campo prospettate dagli organismi internazionali in caso di plateali intemperanze a sfondo razzistico? "Mah, dipende: certo che bisognerebbe almeno fare una distinzione numerica. Se qualche decina di persone fa un coro è un conto, come puoi esercitare il controllo sulla totalità dei tifosi? Se invece il coro parte da una curva intera allora sono d'accordo sulla squalifica del campo". Ecco l'esempio che può arrivare dal campo, da uno stadio, da un calciatore. Ma il problema che va risolto riguarda solo in minima parte gli aspetti calcistici: "Naturalmente: bisogna far riflettere la gente comune, non solo chi va allo stadio. La piaga del razzismo, negli stadi conosce solo la sua manifestazione più evidente. Ma i problemi maggiori accadono fuori". Cafu non ha mai provato sulla propria pelle scura certe umiliazioni: "No, a me non è mai accaduto. Ma conosco molte persone che invece hanno subito e continuano a subire discriminazioni. Dev'essere terribile. Davvero un'umiliazione". E Cafu padre come si comporta con i propri figli riguardo certi argomenti? "È presto per parlare con loro di queste cose, sono ancora piccoli, ancora puri. Quando sarà il momento gli dirò di non credere a chi fa distinzioni di razza. Siamo tutti uguali e sarebbe un mondo davvero migliore se tutti vivessimo in pace. Leggo e seguo le vicende di Israele, resto sconvolto. Ma non posso far niente". È una persona semplicissima, Marcos Cafu. Non lo conosciamo così a fondo da poter dividere i pregi e i difetti. Ma due cose accadute nel corso di questo colloquio fanno indubbiamente capire che lo stereotipo del calciatore un po' snob e convinto di essere al centro del mondo è molto lontano dal suo modo di essere. Il primo è stato appena entrati nel bar che ha ospitato questa intervista. Eravamo in cinque (Cafu, l'amico Ivano, due ospiti e il sottoscritto), Marcos s'è diretto subito alla cassa, poi è passato al bancone, si è fatto dare il vassoio su cui ha messo le ordinazioni raccolte e infine lui stesso ha portato tutto al tavolo. Sarà banale, ma ci ha colpito. L'altro episodio è stato invece quando alla fine della chiacchierata gli abbiamo chiesto di commentare la meravigliosa giocata effettuata nel derby ai danni del laziale Nedved. Cercavamo un commento magari ad effetto e sorridendo compiaciuti gli abbiamo posto la domanda. Ma lui, subito, si è sottratto: "Qualsiasi cosa dicessi per commentare quella giocata suonerebbe come un'offesa per Pavel Nedved, che secondo me resta il più forte giocatore della Lazio. Non è stata una cosa che mi ha dato particolari soddisfazioni. Solo che in quel momento è stata la cosa più ovvia da fare. Ecco, è stata solo una giocata. Niente di speciale". Giusto, così deve dire l'autore di questi passi di "samba artistica". Ma noi rimaniamo estasiati. E per non farci mancare niente abbiamo pensato di riproporre tutta la giocata, fotogramma per fotogramma, in queste due pagine. Cafu non lo sa e magari se la prenderà pure un po'. Ma per noi resta il gesto tecnico più bello degli ultimi tempi. E se a realizzarlo è stato un giocatore che forse Roma non ha ancora apprezzato come si dovrebbe, doppia è la soddisfazione che proviamo nel riproporlo