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Intervista con Flora Viola

di Francesca Ferrazza - Gen. 2001

Si dice che dietro un grande uomo ci sia sempre una grande donna. Quella del calcio è una realtà soprattutto maschile: dirigenti, allenatori, presidenti, giocatori. Eppure, in alcuni casi, le forti personalità che muovono il pallone celano accanto a sé presenze femminili fondamentali, senza le quali, probabilmente, il calcio avrebbe scritto pagine diverse. Una di queste presenze discrete, ma, allo stesso tempo, necessarie, è Flora Viola, moglie del compianto presidente dell'ultimo scudetto giallorosso. Proprio da lei vogliamo iniziare l'avventura di rosa&giallo, proprio da questa donna dolce ed elegante, proprio in questo Gennaio 2001, mese nel quale ricorrono i dieci anni dalla morte di Dino Viola. "Se ci penso mi sembra impossibile che siano passati già dieci anni". La voce è bassa, gli occhi lucidi, ma il ricordo nel cuore di Flora Viola è ancora vivo e presente. "Mi manca moltissimo mio marito, mi manca tutto di lui. Il nostro è stato un grande amore". Non si può rimanere insensibili al fascino di questa signora distinta, non si può non rimanere catturati dal suo sguardo profondo e malinconico. Flora Viola è una di quelle persone alle quali si vuole immediatamente bene, e la gente questo lo percepisce. "È incredibile come ancora i tifosi mi dimostrino affetto. Quello che ha fatto mio marito per la Roma non è stato dimenticato, me ne accorgo quando esco per strada e mi riconoscono e mi parlano con amore di lui". Già, lui, il presidente più amato dalla gente, il presidente che ha consentito alla Roma di arrivare dove non era mai arrivata. È forte la presenza di Dino, nelle parole della moglie e nello splendido appartamento, nel cuore dei Parioli, condiviso con la famiglia per più di quarant'anni. "Siamo sempre vissuti qui - spiega - casa nostra è piena di ricordi. Qui sono nati e cresciuti i nostri tre figli, Riccardo, Ettore e Federica. Qui venivano giocatori e procuratori per discutere dei contratti. Ricordo ancora quando arrivò Falcao e venne a casa nostra. Vede là, vicino quella scrivania? Lì c'era Cerezo, lo ricordo ancora benissimo". Mentre Flora parla sembra di vedere i personaggi di cui rievoca la presenza. Sembra di sentire le loro voci, mentre ridono e conversano con Dino. "Mio marito - continua - per i calciatori era presidente e padre, si preoccupava dei minimi particolari, li aiutava e gli stava vicino se avevano problemi personali, per questo loro si legavano a lui e gli volevano bene". È strano come un luogo possa racchiudere in sé così forti emozioni, è strano come l'appartamento, nel quale ci troviamo a conversare con Flora, trasmetta attraverso i suoi mobili, le foto, i ritratti attaccati al muro, la sensazione netta di un passato ancora presente. E Flora, foulard sulle spalle, elegante, come sempre, si integra perfettamente nel contesto che ha intorno, ne fa parte proprio come quei quadri e quelle foto. "Vede, di là c'è lo studio di mio marito, a volte provo a riordinare le foto, testimoni di tanti momenti vissuti, ma poi devo interrompermi, mi intristisco, non riesco a proseguire". Flora e Dino si sono conosciuti, nei primi anni '40, in villeggiatura in Toscana. Entrambi liguri, nel 1942 si sono sposati e sono venuti a vivere a Roma. "Si può dire che sia stato un colpo di fulmine". Un colpo di fulmine che è durato tutta una vita. "Dino - ricorda - è praticamente cresciuto a Roma, la sua famiglia si è trasferita nella capitale quando lui era piccolo. Si è laureato in ingegneria alla Sapienza, si può dire che sia romano d'adozione. Io sono rimasta stregata immediatamente da Roma, d'altronde come avrebbe potuto non essere così?". Flora e Dino sono stati uniti anche dall'amore per lo sport e, in particolare, per il calcio. "Quando ero ragazza praticavo il tiro con l'arco, sono anche venuta a Roma a disputare i campionati d'atletica. Poi mio fratello mi portava sempre a vedere lo Spezia, squadra della città nella quale sono nata. Sono sempre stata una sportiva". Flora ha sempre condiviso le scelte del marito, presenza discreta, mai invadente. "Mio marito aveva un carattere molto forte, al primo impatto poteva sembrare scorbutico, in realtà era generoso. Se devo trovargli un difetto, bè, forse non riusciva mai a godersi i momenti positivi, le vittorie. Lui doveva subito pensare al futuro, al dopo. Ricordo quando la Roma si aggiudicò lo scudetto a Genova. Non ebbe il tempo di esultare che, finita la partita, andammo di corsa a Milano. L'allora presidente dell'Inter, Fraizzoli, aveva fatto un'offerta a Falcao, così ci siamo precipitati da lui per chiarire la questione. Anche in un giorno storico e bello come è stato quello dello scudetto, il suo primo pensiero è stato rivolto al futuro, non voleva lasciarsi sfuggire Falcao". Il presidente Viola seguiva la squadra in tutte le trasferte. "Soffriva troppo a rimanere lontano dai suoi ragazzi, così prendevamo la macchina e li raggiungevamo in tutte le parti d'Italia. La Roma lui l'aveva nel sangue, faceva parte della sua vita, già prima che l'acquistasse. 15 o 20 anni prima della sua scomparsa, subì un delicato intervento. Ricordo che dopo l'operazione mi disse che ancora non poteva morire, prima doveva far vincere qualcosa alla Roma". Un legame viscerale che si consolida nel 1979, quando Dino compra la Roma e ne diventa il presidente. A quel punto la società giallorossa comincia, gradualmente, a crescere, ad imporsi nel calcio che conta. "Quante lotte, quante battaglie contro il Palazzo. A fronte di tante gioie, sono stati molti i dolori ed i bocconi amari. Io stavo vicino a mio marito, non mi intromettevo mai, rimanevo in disparte, ma sempre presente al suo fianco. Ricordo quando a Torino lo presero a calci, non era ben visto perché aveva permesso alla Roma di alzare la testa". Lo scudetto, la vittoria più grande della famiglia Viola, un'intera città impazzita, un campionato che entra, di fatto, nella storia del calcio. Poi, l'anno dopo, la finale di Coppa Campioni, la sfortuna si accanisce sui giallorossi ed il Liverpool alza il trofeo. "Un incubo. Per diverse mattine a seguire Dino si alzava incredulo, Chiedendomi se veramente quella finale si fosse giocata. Per consolarlo lo chiamò anche Pertini, allora presidente della Repubblica. Qualcuno ha definito mio marito "fortunato"… Se fosse stato fortunato avrebbe vinto tre scudetti e una Coppa Campioni". L'amore di Viola per la Roma lo porta a soffrire non solo moralmente, ma anche fisicamente, le avversità che si abbattono sulla squadra. "Il periodo più brutto è stato sicuramente quello del doping, quello che ha preceduto la sua morte. Non potrò mai dimenticare le parole di Ottavio Bianchi, all'indomani della squalifica di Carnevale e Peruzzi. Mi disse che vedeva mio marito stravolto, che sembrava gli avessero dato una pugnalata alle spalle. Di lì a poco si è ammalato, improvvisamente, non aveva ancora 75 anni, lui che è sempre stato un salutista e uno sportivo". La voce di Flora diventa tremolante, è doloroso ricordare quei momenti difficili, ma ancor più doloroso è chiedersi da dieci anni un perché che non ha una risposta. Il cuore di Viola ha smesso di battere il 19 gennaio 1991, i tifosi della Roma si sono stretti intorno alla famiglia del loro presidente, con un trasporto ed un amore che, a distanza di dieci anni, continua ancora a percepirsi. "È commovente vedere come la gente che gli voleva bene porti fiori, lettere poesie sulla sua tomba. Dopo il derby del tre a uno ho trovato la pagina del Corriere dello Sport con la foto di Totti e Delvecchio che si abbracciano. È qualcosa di incredibile l'affetto che ancora c'è. Anche ragazzi giovani, che non l'hanno conosciuto, come Stefano Rima, il cantante che ha scritto per lui quella bellissima canzone, "Le gesta del presidente"". Dopo la morte di Viola, Flora, insieme ai suoi figli, ha preso la guida della società, conducendola, prima donna presidente in Italia, alla vittoria della Coppa Italia ed alla finale di Coppa Uefa. "A Genova, quando abbiamo vinto la Coppa Italia, Nizzola mi ha consegnato il trofeo, dicendomi che era mio. Ho alzato con orgoglio quella coppa, ho pensato a mio marito, e poi l'ho passata a Ciarrapico. Sono contenta di aver lasciato la Roma con una vittoria". Quella è l'ultima vincita della Roma, il resto è storia di oggi. La conversazione volge al termine, sono passate più di due ore, lo sguardo magnetico di Flora Viola e le sue parole scandite lentamente, hanno materializzato un passato difficile da dimenticare. La retorica è una trappola nella quale è facile cadere, ma ci sono personaggi per i quali è necessaria. Dino Viola è scomparso da dieci anni, e il vuoto che ha lasciato è disegnato sul volto della compagna di tutta una vita. Chi ha detto che dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna, ha sicuramente conosciuto lei, "donna Flora".