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  Interviste


 

Mazzone si racconta
"Io il Trap dei poveri"

di Gianluca Magro - Dic. 2001

Un tifoso romanista che intervista Carlo Mazzone. Potrebbe essere una cosa normalissima per chi, affezionato a rosso&giallo come alla sua sciarpa domenicale che porta bene allo stadio, ha deciso di iniziare a leggere questo articolo. Ma la cosa normale non è, per tanti motivi. Primo perché il sottoscritto ha l'onore (sì, l'onore) di mettere per la prima volta la sua firma su questo giornale. Secondo perché a Brescia, di giornalisti che seguono le rondinelle e sono tifosi della Roma (tifosi è la parola esatta, di quelli che si fanno cinque ore di treno per i biglietti di Roma-Real e poi non li trovano), ce ne sono due, credetemi sulla parola. E forse non è un caso che entrambi si chiamino Gianluca. Ecco perché questa intervista è diversa, perché è fatta da un bresciano dal cuore rossogiallo ad un romano che probabilmente non poteva avere il cuore di colori diversi. L'ho pensato tante volte, fin dal luglio del 2000, quando il Sor Carletto venne presentato come nuovo allenatore del Brescia. Erbusco, paese a trenta minuti di auto dalla città, è la sede degli allenamenti degli azzurri ma anche un posto dove le vigne regalano un buon vino, di quelli che riappacificano con il mondo. Sono al campo, e aspetto Mazzone. Baggio arriva con la sua Jeep e vola in palestra a curare quel ginocchio che sta facendo soffrire più i tifosi che lui. Arriva Guardiola, "il colpevole", il "dopato" per tutta l'Italia, ma non per i supporters del Brescia, che penso crederanno sempre alla sua innocenza, perché hanno conosciuto più l'uomo che il calciatore. Arriva Mazzone e sorride, come capita spesso nella conferenza stampa del martedì. Sì, come ama dire lui, il martedì è il fratello buono, quello che fa durare la chiacchierata con i giornalisti anche un'oretta, perché in campo c'è il fido Menichini, che probabilmente in un'altra vita è stato suo fratello gemello, perché lui e Carletto si capiscono con lo sguardo, a volte non hanno bisogno di parlarsi. E Mazzone, il martedì, è tutta un'altra persona rispetto al sabato, alla vigilia. Lì è già subentrato il "fratello ignorante de sette generazioni" (sempre una sua espressione, non mi permetterai mai), quello che sente la partita dieci volte più dei giocatori, tanto da avere la forza di correre sotto la curva dei tifosi atalantini a gridare di tutto, e quando Menichini gli dice "guarda che ti squalificano", risponde "che me frega, che me fregaaaaa". Il sabato Mazzone è così, è quello che arriva davanti ai giornalisti esordendo con un "facciamo presto che nun c'ho niente da dì", anche se continua ad essere convinto che la metamorfosi tra fratelli avvenga la domenica, verso le 12. Ma si sbaglia. Il martedì però è tutto diverso, c'è spazio per le battute, come quando gli si chiede che effetto fa andare due volte all'Olimpico in sette giorni, tra Coppa Italia e campionato. "Ci facciamo una bella trasferta lunga - risponde con il soriso, rigorosamente con una erre sola - stiamo un po' nella mia città. E poi venite anche voi, vi fermate così andiamo al Puff, dal mio amico Lando Fiorini, a Trastevere, e ci facciamo una bella magnata e due risate". Si parla tanto in conferenza stampa: dalla sconfitta del Brescia a Verona (e gli brucia, ma quanto gli brucia!!!) dell'Inter che deve arrivare al Rigamonti. Insomma, di tutto un po'. Io aspetto, perché il mio turno arriva alla fine, quando gli altri se ne vanno a vedere l'allenamento. Sono stato due giorni a pensarci, a ben vedere ho fatto il giornalista fino in fondo. E così eccomi qui, con il mio bel fogliettino sul quale ho scritto le domande che gli voglio fare, alle quali non so nemmeno se risponderà. Perché Mazzone è fatto così, e se anche noi bresciani siamo "duri come i sassi" (definizione sua, dopo il secondo derby perso con l'Atalanta nella scorsa stagione), certi suoi comportamenti li abbiamo metabolizzati. Ma mentre lo ascolto, mi viene spontaneo scrivere un pensiero, che attraversa la mia mente come un lampo: dato per certo che Mazzone poteva diventare solo tifoso rossogiallo, come lo è diventato? Tra me e lui c'è quasi una vita, potrei essere suo figlio. Carletto è del '37, io del '73: quasi uno scherzo, perché i numeri sono invertiti. Ma quando sono venuto alla luce, stava per iniziare la sesta stagione da allenatore. Ovviamente ad Ascoli e non una stagione qualsiasi, perché avrebbe vinto il campionato di B portando i bianconeri in serie A. Al compimento del mio secondo anno, nell'agosto del '75, era già passato alla Fiorentina, avendo però salvato i marchigiani. Io, padre milanista e nonni juventini, innamorato della Sampdoria e di Francis alle elementari (la mia ragazza si chiamava Francesca) fui folgorato da Bruno Conti ai Mondiali di Spagna e da quel momento la Roma divenne una ragione di vita. Ma lui, Carletto, perché a scelto la Maggica? E, alla fine, diventa questa la mia prima domanda a Mazzone.

"Sono nato nel cuore di Trastevere - mi dice sorridendo - in una famiglia dove tutti tifavano per la Roma. È stato naturale avvicinarmi ai colori giallorossi, a quel campo di Testaccio. Ho fatto la trafila nelle giovanili, ho fatto spesso il raccattapalle quando la squadra giocava in casa. E poi è la società che da calciatore mi ha fatto esordire in serie A. Alla Roma sono legato a doppio filo, per questo quando sono stato chiamato per allenarla mi pareva tutto un sogno". Dei tre anni rossogialli ricorda due cose: l'eliminazione dalla Uefa per mano dello Slavia Praga (e ancora, quando ne parla, la rabbia non gli è passata), ma soprattutto una data: 27 novembre 1994, Roma-Lazio 3-0. "Prima di quel derby - ricorda Carletto - sono stato umiliato. Qualche tuo collega, nella settimana precedente, mi ha massacrato dicendo che ero un allenatore provinciale e non meritavo di allenare la Roma. Non contenti, se la presero con la squadra, dicendo che tutti i miei giocatori erano delle pippe mentre quelli de là, della Lazio, erano tutti scienziati e fuoriclasse. Beh, abbiamo vinto 3-0 e ad ogni gol mi sentivo felice con un bambino. Il minimo che potevo fare, essendo un uomo 'di sangue', che per giorni cova tanta rabbia come avevo fatto io, era andare sotto la Sud a fare festa con la mia tifoseria".
Rabbia: Mazzone usa proprio questo vocabolo. Rabbia. E allora visto che siamo in tema di date, per me, che seguo il Brescia per lavoro (e passione) e la Roma perché sono tifoso e basta, rabbia vuol dire 30 settembre 2001, Brescia-Atalanta 3-3, Mazzone che corre sotto la curva dei bergamaschi e li spiazza, li annichilisce, perché rimangono ammutoliti. Non parla molto volentieri di quell'episodio, perché le cinque giornate di squalifica dategli dal Palazzo (come lo chiama lui) proprio non gli sono andate giù. Ma qualcosa dice: "Io sono andato per difendere la mia romanità, me stesso e la mia famiglia, che è stata insultata per tutta la partita. Glielo avevo promesso a quei tifosi, al secondo gol di Baggio: "se pareggiamo vengo lì sotto". Io ce l'avevo con loro, non con Bergamo città né con i suoi abitanti, che rispetto. Ma qualcuno ha voluto strumentalizzare tutta questa faccenda. Mi piace però sottolineare una cosa: quando la Roma è stata a Bergamo, poco più di un mese fa, so che i tifosi giallorossi hanno fatto cori e striscioni di sostegno al sottoscritto, ma anche che i tifosi atalantini mi hanno insultato per tutta la partita. Il sindaco di Bergamo, così veloce e bravo nell'accusarmi dopo Brescia-Atalanta, non ha fatto una piega ed è rimasto zitto. Eppure due righe di scuse il sottoscritto le avrebbe accettate volentieri".
Mister, ma anche a Verona si sono sentiti cori tutt'altro che da "Zecchino d'Oro". "Eh, ma poi si sono calmati, forse perché Frick ha fatto due gol e li ha fatti vincere". Ed anche a Brescia, alla vigilia delle partite con la Roma, non è mai mancato qualche coro poco simpatico. "Infatti mi dispiace, perché quando lo sento ci resto male, ma qui mi dicono che la rivalità esiste da sempre ed evidentemente nemmeno Mazzone può fare più di tanto per cambiare la storia. Eppure mi sto adoperando perché certe tensioni si stemperino, e penso di aver dato comunque il mio contributo. Alla fine mi pare che certe cose siano fortunatamente cambiate".

Ma come sta vivendo Carlo Mazzone la prima esperienza al Nord? Nessuno lo vede in giro, dal martedì al sabato rimane chiuso all'Hotel Touring, a Coccaglio, tra chiacchierate con i suoi collaboratori e partite alla tv. "Esco pochissimo, è vero, ma io sono fatto così, perché non sono mai stato il tecnico che va alle feste dei tifosi o dei club. Ma qualche bel posticino dove andare a mangiare ogni tanto l'ho trovato anche qui. Non è un'ostilità verso Brescia, verso i bresciani, è una cosa mia di carattere. Faccio un esempio: purtroppo io torno a Roma un paio di volte all'anno, ho due sorelle splendide che ci vivono, ma se sono con la squadra resto in ritiro e non vado a trovarle. E quanto si arrabbiano! Comunque, parlando ancora un attimo di Roma, è ovvio che ci torno sempre volentieri, perché quella è la mia città, quella che ti scalda il cuore solo se ci pensi. È bello entrare all'Olimpico, anche da avversario, e così sarà anche stavolta, tornandoci con il Brescia". Il suo legame con i colori rossogialli è noto: d'altronde, anche se si diventa allenatori di serie A, non si può tradire la propria fede calcistica. Il 17 giugno scorso ha festeggiato (come me, come tutti i tifosi rossogialli) la conquista del terzo scudetto. Ma non sopporta che questa sua dichiarata passione venga usata in maniera distorta, per mettere in dubbio la sua professionalità. "Ragazzo, io l'ho sempre detto a voce alta: Carlo Mazzone è quello del calcio pulito, che non ha mai avuto a che fare con gli scandali, dai passaporti al doping. Io sono tifoso giallorosso fino alle 12 della domenica, poi non esiste altro che la mia squadra e l'avversario che devo affrontare tre ore dopo. A Roma lo sanno: io non faccio sconti a nessuno ed è proprio per questo che mi vogliono bene. Non ho bisogno di fare il ruffiano. Lo vuoi un esempio? Tanti anni fa allenavo il Catanzaro e andai a giocare all'Olimpico, nella mia città, contro una Roma in grave difficoltà, che rischiava la retrocessione in B. Bene, sai come finì quella partita? 3-1 per il Catanzaro. Capisci, a momenti contribuivo in maniera determinante alla retrocessione della Roma! Ma Mazzone fa un mestiere, l'allenatore, nel quale non ti puoi permettere di entrare in campo ed essere tifoso. E non dimentichiamo una cosa: io sono il romanista che ha fatto vincere uno scudetto alla Lazio! È il colmo, ma se non è questo un segno della mia imparzialità".

Ma oggi è martedì e si può anche essere parziali, quindi tifosi. E allora prima di lasciarlo all'allenamento sono io che, da tifoso e non da giornalista, butto via i miei foglietti e gli dico: "Mister, l'inizio però promette bene. La sa una cosa? Secondo me possiamo fare il bis dello scudetto". "E la Champions? - mi risponde - Guarda che se si vince in Europa a Roma la festa non finisce più. Una cosa però è vera: delle grandi l'unica che sta giocando bene, che è un gradino sopra rispetto alle altre, è proprio la squadra di Capello. Posso essere onesto? Ha avuto un inizio schifoso, ma adesso è l'unica formazione nella quale si vede un impianto di gioco, che non vive grazie solo ai colpi geniali dei singoli".
Sono soddisfatto, posso tornare a casa. Ma Mazzone si avvicina e dice: "È vero che a Brescia dicono che sono tirchio? Guarda che non è assolutamente così. Anzi, quando andiamo a Roma invito a tutti voi giornalisti bresciani a mangiare ai Castelli. Così ti racconto della mia grande amicizia con Trapattoni e ti spiego perché lo chiamano il Mazzone dei ricchi. O perché chiamano me il Trapattoni dei poveri. Ma tu quanti anni hai?".