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In
occasione della lavorazione di una scultura in materiale particolarmente
duro, la fatica, anche fisica, che ho sopportato mi ha permesso di
puntualizzare il mio modo di vedere (anche se in parte in quanto scultore)
per ciò che riguarda le arti figurative e la scultura in particolare.
Il fatto che a certe considerazioni sia arrivato proprio per le difficoltà
e la "sfida" offertami dal materiale non è casuale. Pur essendo
convinto che comunque la forma debba dominare sulla materia, (ovvero se il
pezzo ha contenuto artistico, in linea di massima il materiale può essere
qualunque), mi accorgo che il materiale è più importante dal punto di
vista emotivo per l'artista che per l'osservatore. La cosa purtroppo
spesso viene rovesciata: l'osservatore dà più importanza al materiale
che al contenuto, in un rovesciamento di termini dovuto spesso a motivi
strettamente inerenti al mercato.
Quelle che dico non sono novità, ne ha già parlato Moore e ne ha
specificato precedentemente il significato Bourdelle, allievo di Rodin.
Quest'ultimo, altro non ha fatto che riuscire a dire un sentimento che è
parte integrante del vero scultore. Il problema si svolge attorno al
concetto di "cristallizzazione" del tempo, o senso del magico o
del dio come, a mio parere, sostiene Bourdelle.
Per spiegare questo concetto faccio un confronto rapido fra pittura e
scultura. In generale in un quadro si può rappresentare un qualcosa di
sfumato nella realtà (paesaggio, natura morta, ecc.) mentre nella
stragrande maggioranza delle opere scultoree c'è uno stacco netto fra
l'opera e lo spazio circostante o reale, a parte qualche eccezione (vedi
interni di Martini). Non è casuale che quasi sempre il soggetto scultoreo
sia un corpo o corpi umani (Moore specifica che la sua "guida"
è il corpo di donna, cosa che sento e condivido anch'io).
L'effetto "magico" si ottiene "staccando" senza
sfumare l'opera nella realtà circostante, cosa che succede quasi
inevitabilmente con la scultura: tale effetto porta a
"cristallizzare" il tempo: da ciò il dio. Io ritengo la
scultura arte più primordiale della pittura: non ha bisogno della
mediazione raziocinante per esprimere il concetto evoluto e complicato. Un
paesaggio ha bisogno della prospettiva che a sua volta ha bisogno di
studio e quindi di una più forte mediazione fra il sentimento e la sua
espressione. Lo stesso gesto dello scolpire, ovvero piegare un materiale
ribelle al proprio sentire, è quello che permette l'unica mediazione
dello scultore, quella fra gli istinti, i sentimenti, la fantasia e la
loro realizzazione nel reale e quindi la creatività. Proprio per questo
lo scultore talvolta apprezza ed ama il materiale duro e ribelle perché
in certi casi vuole esprimere i suoi sentimenti fortemente contrastanti
(il titolo spesso non coincide con quello che ha sentito intimamente
l'artista, è un'altra mediazione che fa per pudore o per comunicare un
modo di vedere più "adulto" all'osservatore), per cui il
materiale stesso è in qualche modo simile ai suoi sentimenti; la
durevolezza nel tempo del materiale usato vuole affermare il dominio
dell'artista su se stesso e dimostrarlo alla persona (o persone) che gli
è più cara, ottenendo allo stesso tempo, ma in seconda istanza,
l'effetto di "cristallizzazione" del tempo per l'osservatore. |
Alfonso
Gialdini si occupa di utilizzare la propria capacità artistica presso l'IMFI,
Istituto per le materie e le Forme Inconsapevoli, presso l'ex OP di Genova
Quarto. Nel lavoro di riabilitazione e cura dei pazienti cronici si è
impegnato da tempo con entusiasmo e competenza. Le considerazioni che ci
invia sono un sostrato importante per l'applicazione con questi pazienti.
(Luca Trabucco). |
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