Titolo dell'opera: Lunetta 1 cm 70 x 120.
Inchiostri e bolo su cartoncino con inserimento di lastre radiografiche.
Anno realizzazione 2000.

Alessandro Paradisi

Quando nel 1995 mi sono posto il problema di creare una nuova forma di espressione artistica, usando le radiografie, ho dovuto affrontare una serie di ostacoli. La prima domanda che mi sono posto è stata quella di sapere se altri prima di me avevano sperimentato materiali come le lastre radiografate e soprattutto a quali risultati erano arrivati. Tutto quello che ho scoperto è stato che qualcuno, da qualche parte in Italia, stava usando lastre non impressionate sulle quali venivano ottenute delle reazioni tramite l’impiego di colori o di acidi (non ricordo bene). Più recentemente ho visto, in occasione di una mostra collettiva, una lastra impressionata dietro la quale era stata collocata una fonte luminosa per evidenziare la struttura ossea che la lastra stessa riproduceva. Un’altra domanda che mi sono posto è stata quella del come usare materiali insoliti, come le radiografie, evitando problemi di accostamento o di integrazione con materiali più tradizionali in campo pittorico come gli inchiostri, il cartoncino e così via. Per risolvere questo problema dovevo superare due ostacoli nello stesso tempo: 1) fare in modo che l’inserimento delle radiografie nella composizione non risultasse troppo invadente a scapito di una più corretta lettura dell’opera; 2) mantenere la più ampia libertà di manovra sulla disposizione delle lastre all’interno del quadro. Risolti questi problemi (almeno a livello teorico) me ne restava ancora uno, il più importante di tutti: dovevo infatti trovare il modo di riunire tutte queste idee, queste considerazioni, queste ricerche e questi materiali in un corpo unico. E l’ho trovato nella maniera più semplice: raccontare una storia. La storia dell’arte, soprattutto quella italiana, è ricca di episodi rappresentati spesso sotto forma di cicli di affreschi. Quello che mi entusiasmava di più era il ciclo delle storie della Genesi raffigurate da Michelangelo nella Cappella Sistina a Roma. Volevo ricreare, a modo mio, quelle storie senza il bisogno di passare attraverso la fede, ma al contrario accentuando la dimensione umana e terrena dei personaggi che prima di tutto erano fatti di carne e sangue.

Ed è questa la chiave di tutto.