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“La bellezza artistica non è una cosa bella, ma una bella rappresentazione di una cosa” (Kant)


Noi usiamo le leggi dell’arte per scopi diversissimi: a volte per esprimere l’apparenza delle cose, a volte per esprimere la realtà, a volte per dar corpo a idee e ideali, a volte per esplorare l’ignoto e a volte, pensiamo, per tentare di creare un nuovo ordine di realtà e poesia. Nelle opere di Federico Soro, che in questa pagina si presentano, la primaria forma della dimensione spazio temporale dell’archetipo, al di là del senso mistico che suscita il simbolo stesso nella metafisica della sua icona, è all’origine dell’oggetto della scultura in qualità di essenza del corpo delle cose, come sintesi scaturita dalla mente, e si manifesta, ancor oggi, nella materia fisica del mondo con esemplare intuizione di armonia di bellezza.
Ed è propio ad opera dell’artista che si svela e si rivela, fin dalla prima fase dell’ origine, ovvero della prima idea, il suo progetto, il suo disegno, e scaturisce, forgiato infine nella evoscelta forma, in significanza di sintesi d’immagine e di poesia. Nel caso dello scultore o del cercatore di forme, oltre la dolce e amara, e poi ancora dolce e soave ruvidezza della materia fisica e della sua trasfigurazione, in una sorta di metafisica bellezza della forma evocata, vi è la realtà dell’opera e della sua comunicazione sensitiva nella densità o levità plastica del corpo, dell’oggetto cercato o ritrovato, che assurge infine, come atto di presenza e di nuova essenza, a decantata forma. Una sorta di nuova figurazione spontanea, spesso scaturita, nello spazio tempo della storia o della favola, dalla stessa memoria del suo magico “genius loci”, poiché della scultura, in ogni tempo, madre è la terra e la Natura…
Estratto del testo del catalogo “Federico Soro - Il Corpo del’Oggetto”
Giorgio Auneddu Mossa