Apre al pubblico il 5 febbraio la Casa-museo Boschi-Di Stefano in via Jan 15

Dal Corriere della Sera del 31 gennaio 2003

 

I donatori

LA FAMIGLIA

Antonio Boschi fu ingegnere, violinista e comandante di dirigibili durante la Grande Guerra. Sposò Marieda Di Stefano nel ’27, il cui padre era già collezionista

LE OPERE

I due, in un ventennio, raccolsero testimonianze pittoriche della prima metà del ’900, aprendo il loro salotto a Savinio, Martini, Sironi e Fontana. Nel ’77 Boschi (che è morto nel maggio ’88) donò parte della propria collezione, di 2.000 opere, al Comune

 

Interno borghese con casa-museo

Alle pareti De Pisis, Carrà, Sironi e Fontana

La prima casa-museo di Milano riflette come in uno specchio la vocazione della borghesia ambrosiana a sostenere gli artisti delle proprie terre e della propria generazione con discrezione e impegno.

Se a Londra la casa-museo dell’architetto-archeologo sir John Soane è lo scrigno voluttuoso delle antichità classiche e levantine, e se a Roma Palazzo Primoli è il riflesso del gusto votato all’antico del suo proprietario, il critico Mario Praz, la Casa-museo Boschi-Di Stefano di via Jan 15, inaugurata ieri sera dal sindaco Gabriele Albertini, è un discreto interno borghese degli anni Trenta firmato da Piero Portaluppi con le pareti dei locali tappezzate di oltre duecento tele di De Pisis, Carrà, Fontana, De Chirico, Morandi, Sironi.

L’intera straordinaria collezione donata al Comune per volontà dei Boschi e degli eredi ne annovera duemila: le altre le vedremo esposte nel Museo del Novecento all’Arengario quando sarà realizzato.

Il designer Alessandro Mendini, che è il nipote dei donatori ed abita al piano sotto, con una battuta dà il senso dell’impresa dei coniugi Boschi: «Ogni sera sentivo il loro martello che batteva alle pareti per piantare i chiodi che servivano a fissare nuovi quadri o a spostarli». Era il battito della passione, che faceva collocare le tele anche ad altezza pavimento, «appena sopra i tappeti persiani».

Ora i quadri sono stati ricollocati per le solite esigenze museali e per il rispetto delle norme.

Sarebbe facile sentenziare, con Karl Kraus, che dove c’è la norma non c’è l’arte... Ma seppur spostati, l’appartamento conserva l’immagine della storia delle due anime, perché il resto della casa è come quando ci abitavano i Boschi, bagno compreso. Anche questo è parte del museo; ma sarà bene evidenziarlo prima che alcuno lo usi, sebbene il rispetto per la destinazione d’uso sia la prima regola della conservazione degli immobili!

A testimoniare il genio imprenditoriale dei Boschi, nella vetrinetta della Sala da pranzo è riprodotto in oro il giunto «Giubo», inventato da Antonio Boschi, ingegnere della Pirelli, per le metropolitane parigine, e ancora in uso. D’oro il giunto... e preziosa come il più prezioso dei metalli è la collezione di quadri, cui appena si accenna.

L’ex camera degli ospiti è adibita al Novecento italiano; il salottino a Mario Sironi; la Sala da pranzo agli artisti di «Corrente» con Morandi e De Pisis; il soggiorno, illuminato da un ampio bow-window , raccoglie opere della «Scuola di Parigi» con Savinio (l’«Annunciazione» dall’insolita intelaiatura poligonale), Campigli e le grandi tele di De Chirico, tra le quali «La scuola dei gladiatori: combattimento», del 1928.

Straordinario lo studio, con una raccolta unica (quaranta opere) di Lucio Fontana, al quale seguono lo studiolo con i Nucleari e gli Spazialisti e la camera matrimoniale con le opere di Piero Manzoni e degli Informali. Di fatto, le vorticose «spirali» dello sfortunato Roberto Crippa distano pochi metri dall’immobile «Natura morta scura» del ’24 di Morandi.

«Incominciammo a collezionare per aiutare i poveri artisti...», ricordò un giorno Boschi. Oggi la loro preziosa abitazione è un museo senza retorica. Si salirà al secondo piano per visitarlo mentre l’inquilina del terzo porterà con voi in ascensore la borsa della spesa.

 

Pierluigi Panza