Egr. Dott. Pagliarini

Assessore al Demanio e Patrimonio

Comune di Milano

 

Egr. Dott. Artioli

Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Milano

Piazza Duomo 14

Milano

 

Egr. Ing. Lomutolo

Settore Edilizia Patrimoniale e Demaniale

Comune di Milano

 

Egr. Dott. Clerici

Presidente del Consiglio di Zona 1

Via Marconi 2

Comune di Milano

 

Egr. Dott. Viola

Presidente del Consiglio di Zona 3

Via Sansovino 9

Comune di Milano

 

Egr. Ing. Benevolo

Collatico (BS)

 

Egr. Avv. Parini

Presidente di Italia Nostra Sezione di Milano

Via Silvio Pellico 1

Milano

 

Egr. Dott. Maria Giulia Crespi

Presidente del FAI

Milano

 

Egr. Prof. Bossaglia

Via Caccialepori 17

Milano

 

Ai Capigruppo del Consiglio Comunale

 

Alla Stampa cittadina

 

Milano, 12 maggio 2003

 

 

Oggetto: Lavori in corso nell’ex-Diurno Cobianchi in Piazza Duomo, angolo via Silvio Pellico

 

Mi rivolgo ai destinatari di questo esposto per denunciare quanto sta succedendo nell’ex-Diurno Cobianchi in Piazza Duomo.

I lavori iniziati il 10 marzo scorso, sotto la direzione lavori del Settore Edilizia Patrimoniale e Demaniale del Comune di Milano sulla base di un progetto dell’ing. Benevolo approvato dalla Soprintendenza di Milano nel 2001, per un valore di circa 3 milioni di euro, hanno portato alla completa distruzione dei bellissimi bagni pubblici del 1924 e dell’area destinata ai servizi di barbiere, manicure e pedicure mentre i mobili della biglietteria ferroviaria all’ingresso della sala giacciono nella polvere del cantiere.

Grande è il mio sconforto, dato che ho potuto visitare il Diurno negli anni Novanta quando era ancora in funzione in tutto il suo splendore, grazie alla costante manutenzione dei locali a cura della Ditta Cobianchi, e confrontarli con lo stato di degrado del Diurno Venezia in Piazza Oberdan, i cui bagni sono chiusi da anni.

Era uscita notizia sui giornali di un progetto di spostamento del Centro Informazioni del Comune dalla Galleria Vittorio Emanuele nel Diurno per fare posto all’Urban Center al tempo dell’Assessore Lupi ma poi non se ne era saputo più nulla e si sperava che non venisse realizzato, visto lo scarso utilizzo di questo locale. Scopro oggi che invece questo assurdo progetto ha seguito il suo iter e che si prevede di mantenere e restaurare solo le scale e la parte di ingresso del Diurno dove era collocata la Biglietteria ferroviaria mentre la zona dei bagni verrà trasformata in Internet Point e la zona dei servizi in una sala riunioni ed ufficio informazioni.

Non è stata prevista neanche la conservazione di un locale dei bagni per testimoniare l’originale utilizzo del Diurno, nonostante che la maggior parte dei bagni avesse mantenuto le preziose piastrelle della ditta trentina Civer, gli splendidi sanitari in pasta vitrea di ceramica e la rubinetteria in ottone dell’epoca. Tutto questo materiale dovrebbe essere stato portato in discarica, ma ne dubito fortemente dato l’alta richiesta del materiale proveniente dai bagni dell’epoca per il suo riutilizzo in bagni privati.

I preziosi arredi in legno della Ditta Bega di Bologna, famosa per i suoi mobili Liberty e decò, che dovranno essere restaurati integralmente, giacciono nella polvere del cantiere in attesa che venga assegnato l’appalto del restauro e che il restauratore li trasporti presso il proprio laboratorio.

Una parte degli arredi è stata rubata nel 1999, poco dopo la chiusura del Diurno in seguito all’apertura di un cantiere per il passaggio di cavi telefonici e non so se sia stata recuperata o quali provvedimenti siano stati presi per bloccarne la vendita nel mercato antiquario o l’esportazione.

La Sovrintendenza, avvisata dal Comune dell’inizio dei lavori, non ha ancora proceduto ad un sopralluogo.

Mi sorprende che la Giunta di Milano abbia accettato la distruzione di questo prezioso retaggio della storia di Milano e dell’Italia per ospitare dei servizi che avrebbero potuto essere collocati in qualunque locale del Comune nella Galleria o altrove, anziché in un angusto spazio sotterraneo.

E’ inoltre incredibile che il Comune, dopo la chiusura del Cobianchi nel 1999, abbia lasciato i locali nel più totale abbandono, consentendo l’allagamento dei locali, il passaggio di cavi telelefonici, fibre ottiche e delle fognature dell’Autogrill in Galleria che hanno provocato gravi danni e furti.

Il Cobianchi avrebbe potuto diventare una importante attrazione turistica, arricchendo i percorsi di vista dei palazzi liberty e decò di Milano.

Lo studio Benevolo, con il suo prestigio, avrebbe dovuto rifiutarsi di alterare irrevocabilmente un locale della catena dei Diurni Cobianchi, che in altre città come Pisa sono stati oggetto di integrale restauro.

La Sovrintendenza, pur richiedendo un attento restauro dell’ingresso del Diurno e dell’arredamento ligneo, avrebbe potuto richiedere la possibilità di salvare anche il resto dei locali, almeno in parte.

Il Consiglio di Zona 1 avrebbe dovuto tutelare più attentamente un bene culturale situato a poca distanza dalla sua sede.

Allego un articolo di Mariella La Guidara comparso sulla rivista Arredare del settembre 1996 sulla catena dei Diurni Cobianchi, da cui estraggo alcuni passi.

 

Negli anni venti Cleopatro Cobianchi apre una catena di bagni pubblici su tutto il territorio nazionale che assumono l’aspetto di un grande salone di bellezza con annesso boudoir, una vera oasi per coloro che vogliono avere cura di sé o ritemprarsi tra un treno e l’altro. “Per chi viaggia e chi non viaggia. Bagni in ambienti di lusso con tutto il confort moderno” recitavano gli slogan pubblicitari dell’epoca.

Il primo di essi nasce a Milano in piazza Duomo nel 1924; in seguito sorgono quelli di Roma, Napoli, Bologna, Palermo, Parma, Terni, Pisa, Imola, Ancona, Brescia e Padova.

I diurni Cobianchi, costruiti completamente sotterranei, ricreano artificialmente al loro interno un sapiente gioco di partiture, un susseguirsi di colonnati con rivestimenti marmorei, lignei e di tessere di vetro colorato, capaci di conferire un vago sapore di piccoli e festosi brani urbani. Luoghi di incontro e di divertimento, di passaggio e di passeggio.

Cleopatro Cobianchi si assicurò, per progettarli, la collaborazione di artisti altamente qualificati e di abili ditte artigiane. Il Cobianchi di Milano venne arredato dalla ditta Bega e non è azzardano avanzare l’ipotesi che vi possa essere la mano del giovane architetto Melchiorre Bega.

Il Cobianchi di Palermo fu progettato dall’ingegnere Giovanni Battista Santangelo, che fu uno dei maggiori esponenti dell’architettura palermitana di quel periodo.

Con il presente esposto mi permetto di chiedere:

·         una immediata sospensione dei lavori,

·         un sopralluogo della Soprintendenza al cantiere con la partecipazione di Italia Nostra, FAI, studiosi dell’architettura del  periodo, consiglieri comunali e di zona, stampa cittadina,

·         copia delle fotografie della situazione preesistente in possesso dello Studio Benevolo,

·         copia del progetto e delle autorizzazioni ottenute,

·         copia della denuncia del furto dell’arredamento e dei provvedimenti presi per il loro recupero,

·         l’avvio di una revisione complessiva del progetto per recuperare per quanto possibile la situazione preesistente all’inizio dei lavori.

Mi permetto di aggiungere alcune considerazioni generali.

E’ incredibile come Milano sia incapace di tutelare le poche cose che sono rimaste dopo i bombardamenti dell’ultima guerra e le distruzioni del tessuto storico eseguite nel 1900 a partire dalla chiusura dei Navigli ed i vari piani regolatori che si sono succeduti, al contrario delle altre città italiane.

E’ rimasto così poco che ci si aspetterebbe una efficace tutela del poco. Ed invece questa Giunta si sta distinguendo per la sua voglia di aprire cantieri e incrementare l’attività edilizia senza rispetto per la città e la Sovrintendenza non riesce a porre un argine a questa situazione, dati i suoi limitati poteri ed organici e le pressioni a cui è sottoposta da ogni parte.

Cito l’esempio della Scala e del progetto di trasformazione della Stazione Centrale, ambedue approvati da questa Giunta e oggetto di forti critiche.

Cito gli indecenti sopralzi dei tetti in tutta la città (ad esempio in Piazza Cordusio) a cui finalmente il Consiglio Comunale sembra volere mettere un argine, grazie ad un emendamento recentemente approvato, ma che l’Associazione della Proprietà Edilizia vuole continuare a realizzare in nome di una interessata “liberalizzazione edilizia”.

Non sarebbe ora che la città cambi indirizzo e si avvii una politica della conservazione e restauro di quello che le precedenti generazioni ci hanno lasciato con il lavoro delle imprese e ditte artigiane, la cui qualità non è più eguagliabile con la produzione di massa dei nostri tempi ?

Dopo la distruzione del Diurno Cobianchi mi permetto infine di chiedere che il Diurno Venezia, rimasto come unica testimonianza a Milano di questo tipo di architettura, venga integralmente restaurato e conservato con il suo impianto dei bagni nella sua interezza e che venga posto termine al suo progressivo degrado a causa delle infiltrazioni d’acqua.

Cordialmente

 

 

Michele Sacerdoti

Membro della Commissioni Edilizie di Zona 2 e 3 e socio di Italia Nostra

Via Malpighi 12

20129 Milano

 

Allegato: Mariella La Guidara, La Catena dei Diurni. I  Cobianchi: una storia che risale agli anni Venti, rivista Arredare, Editoriale Domus, anno III n. 11, settembre 1996


LA CATENA DEI DIURNI

I COBIANCHI: UNA STORIA CHE RISALE AGLI ANNI VENTI

 

di Mariella La Guidara

 

Il bagno pubblico e privato ha avuto una storia travagliata e, causa la riservatezza che ha circondato l’argomento, poco documentata. Unica eccezione Civiltà in bagno, un libro di Lawrence Wright che ricostruisce attraverso i secoli una storia parallela fatta di umori e odori, decenze e indecenze, discrezioni e indiscrezioni su un aspetto dell’esistenza eccessivamente privato, ricostruito passando in rassegna i reperti storici più riservati.

Abituati ad avere acqua corrente a volontà e stanze da bagno che somigliano a giardini d’inverno o a salotti, si stenta a credere che dimore reali come Versailles potessero avere come servizi igienici, seggette portatili, lussuose nei broccati e nei velluti ma scarsamente pratiche, o che il gabinetto a serbatoio d’acqua, inventato nel 1596 da Sir John Harington, venisse introdotto in Francia solo alla fine del Settecento come un ritrovato curioso e di gran lusso. Fino al XIX secolo la distribuzione dell’acqua era scarsa e discontinua e solo il “benestante poteva contare su una riserva condotta per tubature nelle cantine del palazzo da cui i domestici la prelevavano trasportandola ai piani superiori”(Derry e Williams, Storia della tecnologia, Boringhieri).

Dimenticate le terme romane dove veniva celebrato il corpo, dimenticate le terme medioevali dove il bagno serviva a curarsi, la città barocca, nonostante le lussuose apparenze, non resiste a una analisi attenta dei suoi aspetti igienici e sanitari. I secoli che vanno dal Cinquecento all’Ottocento si possono considerare i più sporchi di tutta la storia europea. I bagni pubblici diventano luoghi di libertinaggio e Casanova descrive un suo passaggio per un Hummun londinese dove un “ricco può mangiare, bagnarsi e dormire con una cortigiana alla moda.”

Nel Settecento la stanza da bagno si arricchisce di accessori che riguardano più il viso e le estremità che l’intero corpo: tavoli attrezzati per toeletta, sgabelli, specchi, portacatini che diventano dei veri e propri mobili. Nell’Ottocento vi sarà un prudente avvicinamento all’acqua, grazie anche agli sviluppi della medicina e della batteriologia, e tra la fine di questo secolo e gli inizi del Novecento si vince la battaglia per l’igiene cittadina che pareva dovesse considerarsi persa nel primo cinquantennio del XIX secolo. Sorgono in questo periodo una notevole quantità di stabilimenti idroterapici e specialmente in Inghilterra si aprono attrezzatissimi bagni pubblici, concepiti come farm per l’igiene della persona, la cui tipologia viene ora codificato da molti manuali. In Italia i primi gabinetti pubblici sorti nei pressi delle stazioni ferroviarie soddisfano le necessità primarie. Un salto di qualità viene fatto negli anni Venti di questo secolo da Cleopatro Cobianchi che apre una catena di bagni pubblici su tutto il territorio nazionale, tanto che il suo nome diventerà sinonimo di Albergo diurno (Grande dizionario della lingua italiana, Utet).

Smettono l’asettica apparenza di luoghi di cura, o di posti da utilizzare in fretta per le urgenti necessità e assumono invece l’aspetto di un grande salone di bellezza con annesso boudoir, una vera oasi per coloro che vogliono aver cura di sé, o ritemprarsi tra un treno e l’altro. “Per chi viaggio e chi non viaggio. Bagni in ambienti di lusso con tutto il comfort moderno” recitavano gli slogan pubblicitari dei diurni Cobianchi, (spesso infatti erano ubicati all’interno delle stazioni ferroviarie).

Il primo di essi nasce a Milano in piazza Duomo nel 1924, e tutt’ora attivo seppure in grande decadenza; in seguito sorgono quelli di Roma, Napoli, Bologna, Palermo, Parma, Terni, Pisa, Imola, Ancona, Brescia e Padova. Se i bagni pubblici inglesi avevano una architettura solida, con colonne e frontoni, i diurni Cobianchi, costruiti completamente sotterranei, ricreano artificialmente al loro interno un sapiente gioco di partiture, un susseguirsi di colonnati con rivestimenti, marmorei, lignei e di tessere di vetro colorato, capaci di conferire un vago sapore di piccoli e festosi brani urbani. Luoghi di incontro e di divertimento, di passaggio e di passeggio. Cleopatro Cobianchi si assicurò, per progettarli, la collaborazione di artisti altamente qualificati e di abili ditte artigiane. Il Cobianchi di Milano venne arredato dalla ditta Bega e non ò azzardato avanzare l’ipotesi che vi possa essere la mano del giovane architetto Melchiorre Bega.

Il Cobianchi di Palermo fu progettato dall’ingegnere Giovanni Battista Santangelo, che fu uno dei maggiori esponenti dell’architettura palermitana di quel periodo. La perizia di Santangelo fu quella di trasformare un lungo e oscuro sotterraneo in una grande esplosione di colori e in una sapiente miscela di brillii e penombre. Una voragine incantata e mozzafiato, una cascata di colori e di riflessi calcolata sino all’ultima mattonella; scendervi, era una specie di continua ebbrezza, ingigantita dal crescendo di luci, specchi, riflessi, e riflessi di riflessi. Una escalation da stordire giocata fino all’ultimo particolare decorativo. L’angoscia di Santangelo ha certo prevalso nelle ragioni progettuali: un baratro angusto, zeppo di oggetto sconvenienti, ha guidato la sua mano al punto di trasformare una caduta nell’oscuro, in una vertigine di sensazioni luminose e in un scintillio artificioso.

Le coloratissime superfici di mattonelle in pasta vitrea rispecchiano le lampade in ferro battuto e poi dorato, opera dello scultore Mario Rutelli; i séparé in legno e vetri colorati lasciano appena intravedere le toilette delle signore intente a fare manicure. Il marmo bianco dello scalone d’ingresso contrasta con il nero e il viola delle pareti e accompagna con una striscia di luce il visitatore, nell’ampio ingresso da cui si dipartono le due ali del Cobianchi. Una più intima, destinata ai gabinetti e a piccole sale da toeletta a cui si accede, quasi a sottolinearne la riservatezza, attraverso una bassa galleria con volta a botte decorato con piastrelle bianche e rosa; l’altra, più grande e luminosa, che ospita il salone del barbiere e i bagni. Attivo per quasi cinquant’anni, dopo avere visto sfilare splendori e miserie della borghesia palermitana, il diurno Cobianchi chiude alla fine degli anni Sessanta. Oggi di proprietà del Teatro Biondo di Palermo, il glorioso Cobianchi, in parte restaurato, mostra ciò che rimane delle sue variegate superfici e attende una nuova destinazione d’uso... Sarà, forse, una struttura di supporto alle future attività teatrali? Caduta la sua originaria funzione, a causa della capillare diffusione della stanza da bagno nelle abitazioni, il diurno resta una testimonianza singolare, una tappa intermedia in un periodo storico particolare che merita di essere trattata come un interessante tassello della storia del nostro costume.