La regalità di Cristo nella Sacra Scrittura
Milano, sabato 24 novembre 2007

(don Bruno Maggioni)


N.B. Testo ripreso dal registratore e non rivisto dall'autore

Domani, per la liturgia romana, saremo nella festa di Cristo Re, che ci rimanda alla crocifissione nel testo di Luca che ora commenterò. Poi mi soffermerò sul “pezzo forte”, più chiaro ancora: la scena del processo di Gesù davanti a Pilato secondo Giovanni e la morte in croce.
Per me la regalità di Gesù in Luca emerge con estrema chiarezza. L'idea che mi ha sempre colpito è che Gesù appare essere un re così tanto diverso dagli altri re cui siamo abituati e che fa ridere: un re da burla. Ma è il vero re.
Sono convinto che la festa di Cristo Re sia una delle più delicate del cristianesimo, perché è facile confondere Cristo Re con un concetto di regalità elaborato da noi, dalla nostra cultura e dalle nostre abitudini; invece è una regalità non “da” questo mondo. Non è che non ci sia in questo mondo: c'è, ma non è “da” questo mondo. Comunque non voglio dilungarmi nelle premesse e vi leggo il testo di Luca, perché curiosamente i Vangeli parlano della regalità di Gesù soprattutto durante la Passione; prima se ne parla pochissimo, se pur c'è qualche cenno.

Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Ma Gesù diceva: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”. Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: “Se tu sei il Re dei Giudei, salva te stesso”. C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il Re dei Giudei.
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. Ma l'altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso”
(Lc 23,33-43).

Questo è il testo di Luca. Io direi che Cristo qui, proprio sulla croce, è chiamato re dei Giudei.
Il tema della regalità credo sia un po' sullo sfondo di tutto il racconto lucano della passione cominciando dall'entrata di Gesù a Gerusalemme, nell'interrogatorio di fronte al sinedrio, nelle accuse al processo di fronte a Pilato e poi qui, nel testo che ho scelto, quello della crocifissione.
Si desume che la regalità di Gesù é l'oggetto del dibattito che guida il racconto della passione: pro o contro. Ma che tipo di regalità è? Questo è molto interessante: la regalità va affermata con chiarezza in un contesto di passione e di rifiuto. Secondo me fuori da questo contesto, lontano dalla croce, non si capisce qual è la regalità di Gesù, perché la regalità di Gesù, secondo i vangeli, è una regalità diversa da quella del mondo. È diversa non perché lui è diventato re attraverso la passione, l'amore, e non, invece, come gli altri re attraverso qualche altra cosa, ma proprio perché la sua regalità è diversa.
Capire la regalità di Gesù è vederla dal crocifisso. Il trucco sarebbe dire: attraverso la passione ha conquistato il titolo di re: adesso che è re, fa il re come gli altri. Ed io che sono in questo mondo e so che lui fa il re come gli altri, nell'altro modo e non solo nella vita terrena, partecipo già al futuro glorificato di Cristo, e faccio il re. La voglia di anticipare la gloria del Cristo senza capire che la gloria del Cristo è quella della croce, quella lì ed è lì che vedi un'immensità di amore che è la gloria di Dio e di là la vedremo trionfante, certo, però è amore.
Quello che vi ho letto in fondo è un piccolo punto terminale. Anche il processo di fronte a Pilato in Luca dice chiaramente che Gesù fu accusato di essere re: “Sovvertiva la nostra nazione, proibiva di pagare i tributi a Cesare e diceva di essere il Messia Re”. E alla domanda di Pilato, Gesù risponde di essere re, ma in un modo diverso da quello che lui pensava e che le accuse pretendevano. Quindi la domanda è: dove sta questa diversità? Aggiungiamo che Gesù è un re condannato innocente, la sua regalità agli occhi dei sacerdoti e di Pilato è una regalità che fa ridere, insignificante. È quasi un re da burla, perché secondo loro, se uno è re deve manifestarsi da re. Un re che lava i piedi non è mica un re. Gesù è ben diverso, manifesta un tipo di grandezza che è diverso da quello che noi spesso intendiamo con il titolo di re.
Anche quando entra in Gerusalemme, lo proclamano re, ma è un re che cavalca un asinello. Un re rifiutato (come avete visto nella scena della crocifissione: “Questi è il re dei Giudei”, che è il motivo della sua condanna). Ed è la pretesa: ha preteso di essere re. Ma se sei re sulla croce, se è vero che sei re, fa' vedere che sei re. È rimasto solo. La croce è la smentita che lui sia veramente re. Invece per il credente è la manifestazione che è veramente re.
Quindi la regalità di Gesù si manifesta anche sulla croce, nel suo splendore. Certo la regalità di Gesù è splendida, ma è lo splendore dell'amore, del dono di sé, non del dominio.
La regalità di Gesù risplende nell'ostinazione dell'amore, nel rifiuto della potenza per salvare se stesso. Ripetono tre o quattro volte: “Salva te stesso, salva te stesso”. Se è vero che hai una potenza adoperala per salvare te stesso.
Forse qualcuno ai nostri giorni direbbe: “Adoperala per far trionfare il regno di Dio, qui”. Immagino un regno di Dio simile agli altri regni. Noi di bugie per salvare il regno di Dio ne diciamo tante...
E poi il povero ladrone, che capisce qualcosa, dice: “Ricordati di me quando verrai nella tua regale maestà”. Il regno di Dio è questo qua: l'azione regale di Dio. La regale maestà è una potenza che non serve per salvare se stessi, è una regalità legata alla croce, chiarificata dalla croce. Io credo che il Cristo risorto non è altro che la gloria della regalità di Cristo, che è una regalità diversa da quella del mondo, con cui non ha nessuna parentela. Perché qui è facile, dopo, pensare a Gesù che ritornerà in splendore, forza e potenza, e immaginare che è un re diverso che torna con la logica diversa da quella con cui ha vissuto, che è la logica dell'amore e del servizio. Invece, in Cristo risorto, speriamo in Paradiso, noi vedremo la bellezza, la gloria, la profondità, la potenza.
La regalità di Gesù, dunque, è una forma diversa di regalità.

Leggo il pezzo forte del racconto del processo di Gesù davanti a Pilato in Giovanni. Questo è uno dei più bei racconti che conosco della Bibbia (Gv 18,28-19,16).
Questo racconto bellissimo di Giovanni che ha per tema la regalità di Gesù, o almeno uno dei grandi temi e, secondo me, è il tema centrale. È un racconto che è bello anche letterariamente.
Siccome Gesù entra nel pretorio, l'aula del tribunale, per essere giudicato, e i Giudei non possono entrare, (perché è vicina la Pasqua non possono entrare in un luogo pagano e stanno fuori), allora Pilato (penso sia un tratto ironico di Giovanni) fa la “navetta”: deve uscire per parlare con gli accusatori, deve entrare per parlare con Gesù, esce ed entra, esce ed entra..., e si delineano sette quadri. Di questi sette quadri, evidentemente quello centrale è il quarto: è la scena centrale, è la derisione di Gesù: “Salve re dei Giudei”. È vestito proprio da re “arlecchino”: una “cosa” rossa, una specie di corona... Questo è l'impianto che già evidenza qual è il centro, la scena da contemplare. Le altre quattro sono in funzione di questa scena. Poi c'è dell'altro. I protagonisti: i sacerdoti, le autorità sono reali, però, in Giovanni, diventano dei “tipi”, e significa qualcosa di molto più ampio e che può essere incarnato da persone anche molto diverse. Io credo che queste persone diventino il tipo di una religiosità sbagliata, che crede di proclamare la regalità di Dio, invece proclama la regalità di se stesso. Anche Pilato. Egli è la figura di un magistrato che dice che la verità è il suo compito, ma ha qualcosa al di sopra della verità. Anche Gesù diventa un po' una figura “tipica” perché è quel Gesù, ma è anche il discepolo nella sua Chiesa e nel mondo.

“Condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Uscì dunque Filato verso di loro e domandò: Che accusa portate contro quest'uomo? Gli risposero: Se non fosse un malfattore non te lo avremmo consegnato. Disse loro Filato: Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge. Gli dissero i Giudei: A noi non è consentito mettere a morte nessuno“ (Gv 18,28-31).

Dunque, era già condannato a morte. “Così si adempirono le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire” (Gv 18,32).
Giovanni è “entusiasta” che Gesù sia stato messo in croce e condannato secondo il costume romano e non secondo il costume ebraico della lapidazione. Io credo che se Gesù fosse stato lapidato, se per salvezza intendiamo un sacrificio per noi, anche quella morte sarebbe stata un sacrificio; ma l'essere elevato in croce è tutto diverso, perché nel gesto della croce tu umili un uomo, ma sei costretto a tirarlo su. Il gesto con cui lo umili è anche il gesto che dice il trionfo. È un artista Giovanni!
Pilato rientrò nel pretorio – questa è la scena che ci interessa – fece chiamare Gesù e gli disse: “Tu, sei il re dei Giudei?”. Rispose: “Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?” Pilato rispose: “Sono io forse giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me, che cosa hai fatto?”. Rispose Gesù: “Il mio regno non è da questo mondo”. (Gv 18,33ss)
Noi traduciamo “di questo mondo”, ma non c'è nulla di più sbagliato: perché se noi traduciamo “non è di questo mondo” ci viene in mente che sia di un altro mondo: non del mondo d'oggi ma del mondo futuro, oppure non del mondo che è il mondo materiale, ma delle anime, il mondo spirituale. Così roviniamo tutto! Invece: “da questo mondo”, il mio regno ha un'altra origine, un altro DNA, un'altra logica.
Qual è la differenza? Vediamo se riusciamo a comprendere la differenza di questo regno che non è “da questo mondo”, e la differenza degli altri regni a cui siamo abituati.
“Se il mio regno fosse da questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei, ma il mio regno non è di quaggiù” (Gv 18,36).
È un regno il cui primo valore non è di salvare se stesso. Lui non ha soldati che combattono per questo regno, per tenere in piedi questo regno. Se avesse voluto usare la potenza per trionfare come tutti i re del mondo, avrebbe potuto.
Anche in Matteo in modo particolare, il gesto della spada è il gesto più ridicolo del mondo, che dimostra un'incomprensione totale verso Gesù Cristo; è amore a Gesù Cristo, ma con una incomprensione totale della sua persona. Difendere Gesù con la spada! Se Gesù avesse avuto bisogno della spada, non avrebbe avuto bisogno della nostra spada. Se la sarebbe cavata da solo con la potenza divina. Invece è un altro modo.
E poi va avanti: “I miei avrebbero combattuto per salvarmi il regno”. È già una differenza questa: è un regno che non ha come ragione suprema la salvezza e il trionfo del regno stesso. I regni di questo mondo per prima cosa devono mantenere il trono.
Allora Pilato disse: “Dunque tu sei re?” Rispose Gesù: “Tu lo dici, io sono re: per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). È una strana risposta, dice: “Certo che sono re”. Ci attenderemmo: 'Per questo sono venuto nel mondo: per fare il re”. Gesù, però, al posto di dire: “Per fare il re”, usa un'altra frase che ci dice il tipo di regalità per cui lui è venuto al mondo. “Per questo sono nato, per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità”: la sua regalità consiste nel rendere testimonianza alla verità, non al trionfo di sé. È diverso. Questa è la regalità di Gesù.
E Gesù pare che si accorga che non è una cosa facile da capire: “Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”. Se uno non è dalla verità dice che sono discorsi campati per aria. Anzi devi essere un re potente e trionfatore, per far trionfare la verità. Il buon senso direbbe così. No: la stupidità dice così.
Gli dice Pilato: “Che cos'è la verità?” (Gv 18,38). Non mi fermo a fare un'analisi, perché Gesù non ha risposto. Guardate il racconto. “Che cos'è la verità? E uscì”. È un teatro questo! Non è interessato alla verità. Sono narrativi questi testi, non sono trattati di filosofia...
“Detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: Io non trovo in lui nessuna colpa” (Gv 18,38). Un re così, dice lui, io che c'entro? Non è una minaccia per l'impero. D'altra parte lo fa flagellare, perché quello va sempre bene; un po' di castigo...
“Poi i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti (il verbo è all'imperfetto) e gli dicevano: Salve re dei Giudei. E gli davano schiaffi” (Gv 19,2-3).
Questa è la figura del re che noi dobbiamo portare in giro per le piazze nella festa di Cristo Re. Questa sarebbe una bella testimonianza. Invece portiamo in giro un Cristo trionfante: mi si sbilancia la cosa... Vestito da re da burla: la sua regalità fa ridere. Il mondo ride; invece a me piace e ci credo. Se era un re come quelli del mondo, faceva ridere anche me. Ci sono già tanti “sgonfioni” al mondo, ci mancava che ci fosse anche Gesù Cristo!
Guardate che cambiamenti dovremmo introdurre nella nostra mentalità, nella nostra pastorale.
Gesù sta in silenzio, come sempre, quando lo deridono, e i soldati pensano: questo non è certo un re. Ma non perché è sconfitto; perché è un tipo di regalità che fa ridere, non collima con la regalità che il mondo valuta.
Poi, questo re così, vestito da re da burla, uscì portando la corona di spine e il mantello di porpora e davanti al suo popolo. Come? Vestito da re che fa ridere: uno straccio, un pezzo di bastone in mano. Bellissima questa scena ... perché il mondo ride di fronte a un re così e il credente si inginocchia.
Gridano: “crocifiggilo”. Sono costretti a dire che lo condannano perché figlio di Dio. Hanno detto che lo condannavano perché era un malfattore; preferiscono invece Barabba che è un malfattore, (è un testo pieno di contraddizioni). Per condannare la verità che è Gesù, bisogna ricorrere a tante bugie, che, però, rivelano chi veramente è.
Quando Pilato si impaurisce e dice: “Chi sei, di dove sei, donde vieni?” Gesù non gli dà risposta.
E quando Pilato vanta il potere, Lui dice: “Guarda che se ce l'hai, è perché io sono un re diverso da quello che tu pensi; fossi un re come te il potere l'avrei anch'io contro di te”. Da quel momento Pilato cercava di liberarlo, ma i Giudei gridavano: “Se liberi costui non sei amico di Cesare”. Ricattano Pilato. Per condannare Gesù; questo mondo religioso, ricatta Pilato. Per Pilato, Cesare è la ragion di stato, è il valore supremo.
“Udite queste parole, fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale nel luogo chiamato litòstroto. Era la preparazione alla Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: Ecco il vostro re. Ma quelli gridarono: Crocifiggilo. Disse loro Pilato: “Metterò in croce il vostro re?” (Gv 19,13-15).
Pilato, costretto a condannarlo, vuol vendicarsi un po': li prende in giro. “Risposero i sommi sacerdoti: Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare” (Gv 19,15). Sono stati costretti, per condannare Gesù, a dire che loro non hanno altro re che Cesare. Questi sacerdoti avranno detto a tutti: “Noi abbiamo un solo Dio”. Dio, non Cesare. Quindi il vincitore è Gesù perché ha costretto questa gente che vuole condannarlo a dire la verità e a manifestare la loro ipocrisia. L'hanno condannato per salvare la gloria di Dio; in realtà, per salvare la loro gloria e il loro concetto di Dio. Terribile!
Anche Pilato è stato costretto a rivelare la sua ipocrisia. Pilato voleva salvare Gesù, ma non ad ogni costo. Il suo valore supremo non è la verità, ma la verità finché non mette in discussione la ragion di stato. È l'ipocrisia anche del potere, ma non di un potere tirannico: un potere, direi, normale che non mette al di sopra di tutto la verità. Perché se uno è innocente é innocente. Ma piuttosto che un disastro, meglio condannare un innocente, perché il valore supremo non è la verità, ma la salvezza del regno.
“Presero Gesù, ed egli portando la croce si avviò verso il luogo del Cranio, dove lo crocfìsso con altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo. Pilato compose l'iscrizione, la fece porre sulla croce, Gesù il Nazareno il re dei Giudei” (Gv 19,17-19).
Gesù è proclamato re proprio sulla croce.
“Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città, ed era scritta in ebraico, in latino e in greco” (Gv 19,20).
Tutte le lingue del mondo: è una proclamazione universale. “I sommi sacerdoti e i Giudei dissero a Pilato: Non scrivere re dei Giudei, ma che egli ha preteso essere il re di Giudei” (Gv 19,21). Pilato si è preso ancora la sua vendetta e dice: “Ciò che ho scritto ho scritto” (Gv 19,22).
La regalità di Gesù è questa: si vede lì, sulla croce. La croce non è solo il mezzo di cui Gesù si è servito per meritarsi la regalità, ma il mezzo che rivela la sua regalità, il suo tipo di regalità, che qui (sulla terra) appare sconfitta. Di là l'amore apparirà con la sua luce e il suo trionfo.
Io posso dire soltanto che sono affascinato da questa regalità. Un re così mi piace.



La Regalità di Cristo nel pensiero di Padre Agostino Gemelli
Milano, sabato 24 novembre 2007

(fr. Cesare Vaiani ofm)



1. IL CONTESTO

Il tema della Regalità di Cristo costituisce un interessante incrocio di tematiche teologiche e sociali nella riflessione teologica cattolica del Novecento. Per comprenderlo adeguatamente è essenziale uno sguardo al contesto storico nel quale si afferma anche ufficialmente la dottrina della Regalità di Cristo, sancita con l'enciclica Quas Primas (dicembre 1925). Proprio perché confluiscono elementi teologici e riferimenti alla nozione “sociale” di Regalità, risulta particolarmente importante uno sguardo al contesto.

Il regno sociale del Sacro Cuore
In tale sguardo assume una certa importanza l'emergere, nella seconda metà dell'Ottocento, della dottrina del “Regno sociale del Sacro Cuore”. Tale espressione ha una certa rìlevanza anche per la nostra indagine, poiché il primo nome dato nel 1919 da p. Gemelli e da Armida Barelli al nascente Istituto femminile è proprio quello di “Terziarie francescane del Regno sociale del Sacro Cuore di Gesù”. Dopo la promulgazione dell'enciclica Quas Primas, il nome venne poi mutato nel 1928, per iniziativa di Pio XI, in “Missionarie della Regalità di nostro Signore Gesù Cristo”.
L'espressione “Regno sociale del Sacro Cuore” viene coniata, intorno al 1870, dal gesuita francese Henri Ramière, allora professore di filosofia del diritto all'università cattolica di Tolosa, ma soprattutto direttore dell'Apostolato della Preghiera e del suo diffuso bollettino; così egli definisce la formula: “Con le parole Regalità sociale di Gesù Cristo noi intendiamo il diritto che possiede l'Uomo-Dio e che con Lui possiede la Chiesa, che lo rappresenta quaggiù, di esercitare la sua divina autorità nell'ordine morale sulle società così come sugli individui, e l'obbligo che questo diritto impone alle società di riconoscere l'autorità di Gesù Cristo e della Chiesa nella loro esistenza e nella loro azione collettiva”.
Non possiamo soffermarci su questa interessante tematica, che si sviluppa nel mondo cattolico negli ultimi decenni dell'Ottocento e che collega il culto al Sacro Cuore con un impegno politico e sociale molto intenso dei cattolici, per una società che riconosca pubblicamente i diritti di Dio e della Chiesa. Il tema è stato studiato particolarmente in Italia da Daniele Menozzi, docente di storia della Chiesa all'Università di Firenze: alle sue opere rimandiamo per approfondimenti.

Il contesto politico
Anche il contesto politico italiano va tenuto presente per intendere correttamente il pensiero di Gemelli: in particolare va evidenziata la situazione dei cattolici italiani nello Stato unitario liberale nei primi decenni del secolo e la situazione politica del dopoguerra, che vede la nascita del fascismo.
Va ricordato che lo Stato unitario nasce in netta contrapposizione con la Chiesa cattolica: la presa di Roma del 1870, la forte influenza della massoneria sul nascente Regno d'Italia e la “questione romana” si prolungano ampiamente fino al primo decennio del secolo ed evidenziano una distanza tra cattolici e Stato unitario liberale sul piano politico, accompagnata però da un notevole impegno cattolico nell'ambito sociale. La prima guerra mondiale, che dopo molte esitazioni iniziali vede un impegno patriottico di tutti i cittadini, cattolici compresi, da una parte avvicina i cattolici allo Stato, dall'altra continua a evidenziare la presa di distanza da una concezione di Stato nato in contrapposizione alla Chiesa e che continua a non riconoscerne la peculiare posizione e sovranità.
La nascita, negli ultimi decenni dell'Ottocento, del socialismo, che anche in Italia si diffonde e a cui Gemelli stesso aveva aderito prima della conversione, è un altro elemento importante del panorama politico e sociale; possiamo osservare che esso rendeva ancora più isolata la posizione dei cattolici, che se non si riconoscevano nello Stato liberale, non potevano riconoscersi nemmeno nel socialismo, soprattutto per il suoi presupposti teorici materialisti e atei.
La nascita del fascismo e la concezione etico-totalitaria dello Stato, che trovava un autorevole esponente in Gentile, con il quale Gemelli ebbe numerosi rapporti, rappresentano un altro elemento da tenere presente: di fronte alla concezione dello stato etico, che va affermandosi col fascismo e che riassume in sé ogni autorità non solo civile ma anche morale, risulta fortemente critica la nozione stessa di Regalità di Cristo, che negava allo Stato tale totalitaria pienezza dei poteri, perché essa spettava solo a Cristo. Bisogna certamente rifarsi a quel contesto politico e sociale per valutare con obiettività delle affermazioni che alle nostre orecchie suonano vagamente «teocratiche»: in un regime totalitario e totalizzante, che tendeva ad accentrare in sé la fonte di ogni autorità e di ogni potere, tali affermazioni suonavano vigorosamente «anticonformiste».

Le riflessioni teologiche che precedono l'enciclica
Oltre alle circolanti riflessioni sul Regno sociale del Sacro Cuore vanno ricordate anche altre elaborazioni teologiche che precedono più immediatamente l'enciclica sulla Regalità e in qualche modo la preparano; va ricordato in particolare un editoriale della Civiltà cattolica, e un articolo su Ètudes, la rivista dei Gesuiti francesi, che sviluppano importanti riflessioni sul tema e che per molti versi anticipano gli stessi contenuti dell'enciclica. Tali interventi sono ben conosciuti anche da Gemelli, che li cita in Vita e Pensiero dell'agosto 1925, nel Voto teologico dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Per la festa della Regalità del Sacro Cuore. Tale Voto teologico si pone ugualmente netta serie di tali interventi che hanno in qualche modo preparato la pubblicazione dell'Enciclica; citeremo pii volte tale intervento di p. Gemelli.


2. LA REGALITÀ DI CRISTO NEGLI SCRITTI DI P. GEMELLI

La vasta bibliografia di p. Agostino Gemelli raccoglie una produzione letteraria che spazia da pubblicazioni di stretto rigore scientifico fino ad opere di spiritualità. Le pubblicazioni di argomento religioso del nostro autore sono dirette non a un ristretto uditorio di teologi o di studiosi, ma ad un vasto pubblico di cristiani; tale destinazione dei suoi scritti spiega perché egli non insista sulla presentazione del dato dogmatico o teologico, ma sulle sue conseguenze «pratiche» nella vita dei suoi lettori.

La Regalità di Cristo: centro unificante dell'immagine di Cristo
La Regalità di Cristo costituisce il concetto base per la comprensione della visione cristologica di Gemelli, ed insieme il centro di unità della sua opera. Anche i diversi aspetti del mistero di Cristo (la sua umanità, la redenzione, il S. Cuore, il Corpo mistico) vengono approfonditi e compresi in relazione a quell'intuizione centrale, e intorno ad essa sono organizzati ed esposti.

La definizione di Regalità
Come la teologia cattolica a lui contemporanea, anche Gemelli mostra di avere un concetto piuttosto schematico e rigido della Regalità di Cristo, quando la considera nel suo preciso significato.

La precisa concezione teologica della Regalità, secondo la quale a Gesù compete il regio potere e come Dio e come uomo, in quanto tutto l'universo gli appartiene de jure per ragione di creazione e di redenzione; potere che nel triplice ordine legislativo, giudiziario, e coercitivo gli dà giurisdizione sugli spiriti puri, sugli uomini, sulle nazioni.
Il concetto di Regalità di cui si parla deriva evidentemente dall'ordinamento sociale e dalla riflessione giuridica su di esso: nel «regio potere» si distingue un «triplice ordine legislativo, giudiziario e coercitivo».
La nozione di Regalità viene quindi assunta in senso proprio, secondo i contenuti derivanti dal contesto sociale contemporaneo, e il dato biblico viene letto e interpretato secondo lo schema dei tre poteri regali, schema che evidentemente è assunto come sicuro in anticipo e che guida tutta la seguente indagine biblica:

La Sacra Scrittura attribuisce a Gesù Cristo la suprema potestà di giurisdizione legislativa, giudiziaria e coattiva, nella quale potestà consiste in modo speciale la potestà regia. E difatti: come legislatore era stato predetto da Isaia (33,22); «Il Signore nostro legislatore, il Signore nostro Re». Testo che i migliori esegeti attribuiscono al Messia. E di fatto Gesù Cristo, come risulta dal Vangelo, diede agli uomini leggi e precetti esigendone l'osservanza. «Osservate i miei comandamenti» (Gv 14,15)...
Oggi risulta facilmente criticabile un tale approccio alla Scrittura, che comporta un evidente frazionamento del dato biblico, spezzettato in tante piccole affermazioni che servono a «confermare» quanto già si era individuato previamente come struttura del discorso; ma in questo senso Gemelli si situa pienamente nel quadro della teologia cattolica a lui contemporanea, sulla quale deve dunque ricadere un'eventuale riserva critica.
Bisogna tuttavia osservare che se è vero che Gemelli ha un concetto schematico e forse un po' rigido della Regalità di Cristo, quando la esamina nel suo specifico significato, tale concetto si allarga decisamente quando il discorso non si ferma ad approfondire ed esaurire la nozione di potere regale di Cristo; anzi, in questo caso si allarga talmente che la nozione di Regalità costituisce il punto di convergenza e il concetto di collegamento tra i vari aspetti del mistero di Cristo. La nozione di Regalità sembra quindi soggetta a questa singolare oscillazione tra un significato specifico abbastanza ridotto e una ricchezza di senso estremamente ampia.

Cristo è Re in quanto Dio
E bene notare subito che la persona di Cristo, a cui si vuol riferire il titolo di Re, è presentata secondo lo schema delle due nature: il Cristo di cui Gemelli parla è l'Uomo-Dio.

Che Cristo sia re in quanto è Dio, non vi può essere dubbio e non ha bisogno di dimostrazione. Come Dio egli è Re universale, perché tutte le creature dipendono in modo assoluto da Lui e per necessità di natura rimangono soggette alla di Lui provvidenza che le regge e governa.
Cristo è Re in quanto uomo
Più complesso appare il discorso sulla Regalità di Cristo in quanto uomo, che Gemelli sostiene chiaramente, e che articola in molteplici aspetti e sottolineature.
La prima e più immediata giustificazione della Regalità di Cristo in quanto uomo viene individuata nell'insegnamento del Magistero (siamo all'epoca dell'enciclica pontificia Quas Primas, sulla Regalità universale di Cristo!), nella tradizione dei Padri e soprattutto nelle parole stesse di Gesù.

Tutti debbono, fondati su una secolare dottrina, insegnata dai Padri, riconoscere, dice il Papa, che è necessario rivendicare a Cristo Uomo, e Uomo nel vero senso della parola, il nome e il potere di Re Come Uomo, come altro Adamo, come vittima d'amore, inviato dal Padre per redimere l'umanità, egli ha ricevuto dal Padre la potestà. l'onore e il Regno. Ce lo attestano una lunga serie di testi scritturali di insegnamenti dei Santi Padri, ma soprattutto ce lo attesta ciò che Gesù Cristo stesso ha detto a noi della sua missione divina.
Questa umanità di Cristo, che gode del «Nome e potere di Re», occupa un posto importante nella cristologia di Gemelli: essa si situa, in un certo modo, al centro dell'universo perché è il punto di congiunzione tra l'umano e il divino:

Il Verbo è per natura uguale al Padre; quando si è incarnato e fatto uomo ha elevato la natura umana allo stato soprannaturale e ha reso possibile che l'uomo si unisse al Padre; Gesù discende dal Padre all'uomo, per risalire dall'uomo al Padre. L'uomo sale dalla sua natura a Cristo, per salire con Cristo al Padre. Il punto di saldatura tra le due ascese, come tra l'umano e il divino, è sempre l'umanità di Gesù Cristo.
Il motivo della dignità regale dell'umanità di Cristo consiste quindi proprio nel fatto che è l'umanità del Verbo incarnato: l'unione ipostatica fonda l'eccellenza dell'umanità di Cristo, che è «il punto di saldatura tra l'umano e il divino».
Andando ancora più a fondo in questa indagine, si può scoprire che a fondamento della dignità regale di Cristo egli pone la dottrina scotista della predestinazione assoluta di Cristo: a queste «radici» francescane della visione di Gemelli dedicheremo la nostra attenzione più avanti.

Il Sacro Cuore
Il discorso sull'umanità di Cristo sfocia con naturalezza nella devozione al Sacro Cuore, nella quale trova una espressione concreta la sua attenzione all'umanità di Cristo.
Gemelli afferma pure una relazione esistente tra il Cuore di Cristo e il suo primato universale. Il Sacro Cuore viene visto quasi come il «centro del centro»:

Come il Cristo è il centro della creazione e per questo acquista il diritto a una Regalità universale, il di Lui Sacratissimo Cuore, che simbolicamente è la sede e la fornace dell' amore col quale glorifica Iddio, diviene a sua volta oggetto di predilezione e il punto centrale sul quale si è posato lo sguardo divino quando concepiva e decretava la creazione. Dunque, se il Cristo è Re, perché egli è il primo pensato e voluto da Dio, lo è in modo particolare per il suo Sacratissimo Cuore che è la parte dell'umanità di Cristo che più di qualunque altra è strettamente connessa con le di Lui funzioni regali, sia in rapporto alla divinità, come in rapporto alle creature.
La predestinazione assoluta e il primato universale di Cristo, che Gemelli chiaramente afferma dicendo che «Cristo è Re perché egli è il primo pensato e voluto da Dio», diventano pure il fondamento e la giustificazione della dottrina della Regalità del Sacro Cuore.
Tale tesi si trova esposta nel voto teologico che Gemelli e la Facoltà di Filosofia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore presentarono a Pio XI nell' agosto 1925, pochi mesi prima della Lettera enciclica Quas Primas sulla Regalità di Cristo. E da notare che la richiesta di Gemelli non si limitava alla proclamazione della Festa della Regalità di Cristo, ma aveva per oggetto proprio la Regalità del Sacro Cuore. Sembra quindi di poter affermare che l'intero discorso sul Sacro Cuore, che occupa tanta parte nella pietà e nell'opera di Gemelli, non si sottrae alla concezione unificante della Regalità di Cristo; al contrario, viene affermata una convergenza tra questi due temi, tanto che il Cristo Re e il Sacro Cuore tendono addirittura ad identificarsi nella Regalità del Sacro Cuore.

Cristo regna dalla croce
Intorno a questa idea centrale di Regalità si articola anche il discorso sulla redenzione e sulla morte di Cristo. Il Re di cui il Gemelli parla è un Re crocifisso; e spesso ritorna l'immagine del Crocifisso che dal trono della croce regna sul mondo:

Gesù Cristo in croce è il nostro Re. I segni esterni della sua Regalità, ossia i segni dei titoli con cui ha conquistato il Regno sulle anime, sono le sue piaghe, le trafitture della sua carne, il costato aperto, il sangue che Egli versa su di noi, suoi figli, suoi sudditi, per salvarci, per redimerci, per riscattarci; il suo trono è la Croce; la sua corona è la corona di spine.
La passione di Cristo e la sua morte in croce diventano uno dei titoli di Regalità di Cristo stesso: egli ci ha conquistati versando il suo sangue nella battaglia con il nemico. Ma la riflessione di Gemelli sulla Regalità crocifissa di Cristo si allarga ad altre considerazioni:

Gesù Cristo ha piantato la sua croce al centro del mondo a significare che essa deve reggere il mondo e deve essere il metro con cui gli uomini e le loro opere debbono essere giudicati. Con il peccato originale parve che fosse stato spostato il centro, l'asse del mondo, e che l'uomo fosse riuscito a sconvolgere il disegno divino. Tutto il mondo è stato creato dal Padre perché gli uomini rendano omaggio di gloria al Verbo, per cui tutte le cose furono create. Il peccato originale parve sconvolgere questo ordine. Ma Gesù Cristo ha avuto misericordia degli uomini e per obbedire al Padre ha mantenuto la sua posizione centrale nell'universo; se non che, invece che su un trono di gloria, Egli ha dovuto assidersi su un trono di dolore e di morte: la croce.
Nella sola redenzione non si esaurisce quindi tutto il senso e la figura di Cristo, per la cui gloria l'universo intero è stato creato: la morte in croce rimane tuttavia il punto più luminoso di questa gloria: «invece che su un trono di gloria, Egli ha dovuto assidersi su un trono di dolore e di morte: la croce». Nella passione il Cristo riconquista l'uomo «a quella divina Regalità che gli apparteneva come Figlio dell'eterno Padre». Non è il peccato a determinare l'Incarnazione del Figlio di Dio, ma la gloria del Padre; dopo il peccato, l'Incarnazione diventa Redenzione, e ne è massima espressione quel Dio confitto in croce che «rende accessibile alla impotenza radicale della Sua creatura quella somiglianza con Lui che solo l'amore può realizzare».
La passione e la morte in croce costituiscono quindi un vero e reale titolo di Regalità di Cristo nei nostri confronti, perché egli ci ha davvero conquistati, pagandoci con il suo sangue; ma tale titolo di Regalità verso di noi non è l'unico, e si inserisce invece nel più vasto quadro del primato universale e della predestinazione assoluta di Cristo, che costituiscono per il nostro Autore un dato teologico di grande importanza e di dichiarata ispirazione francescana.

Cristo Capo del Corpo mistico
Anche l'immagine di Cristo Capo del Corpo mistico, che ritorna abbastanza frequentemente negli scritti di Gemelli, corrisponde alla sua esigenza cristocentrica, che fa di Cristo il Re, e quindi il Capo, di ogni realtà naturale e sovrannaturale.

Il Cristo ci ha «ricapitolati» nel Padre per mezzo dello Spirito Santo; e «ogni uomo, per usare la parola semplice di S. Agostino, è fatto cristiano per quella stessa grazia mediante la quale Gesù Cristo è stato fatto nostro capo».
È da notare che più di una volta, nell'opera di Gemelli, c'è un passaggio naturale tra l'immagine del corpo e l'immagine del Regno:

Noi uomini costituiamo con Gesù, avendo suo Padre per nostro Padre, una sola famiglia, una sola comunità, l'esercito del Dio vivo, il suo Regno, la sua città, meglio ancora il suo corpo, questo Corpo mistico di Cristo, che è la seconda vita di Cristo.
E ancora, alcune righe più avanti:

«Ciò durerà fino alla fine del mondo, fino a quando sarà la pienezza dei tempi, fino a quando cioè il Corpo mistico di Cristo sarà compiuto nel suo sviluppo e con questo il Regno di Cristo sarà attuato».
Pare quindi che si possa affermare che la presentazione di Cristo come Capo del Corpo mistico obbedisca proprio a quella esigenza che abbiamo individuato come centrale nell'opera di Gemelli: affermare che Cristo detiene una centralità, un primato, una Regalità assoluta e universale. Mentre l'immagine di Cristo Re comporta necessariamente un certo sentore di subordinazione gerarchica, questa immagine di Cristo Capo del Corpo mistico permette a Gemelli di approfondire e sviluppare il tema, a lui molto caro, dell'unione con Cristo e dei cristiani tra loro in Cristo.
Con accenti di entusiasmo si esprime nei temi della «imitazione di Cristo», della «identificazione a Cristo», o meglio ancora in quello tutto francescano della «conformità a Cristo».
Chiesa e Regno, Capo e Re sono due coppie che tendono ad identificarsi nell' opera di Gemelli; il Cristo è presentato come Colui che detiene il primato in tutte le cose, e questa intuizione, che noi abbiamo individuato come fondamentale per il nostro Autore, lo conduce a far convergere e spesso ad identificare i titoli di Capo e di Re, proprio per la loro comune caratteristica di esprimere la particolare eminenza della persona di Cristo.

Il Regno di Cristo
Coerentemente con il posto centrale assegnato da Gemelli alla nozione di Regalità, anche il concetto di Regno occupa una importanza primaria. Così egli scrive ai Missionari della Regalità:

L'attuazione del Regno di Cristo è lo scopo per il quale il mondo fu creato. Noi, secondo l'espressione di S. Paolo, per l'amore che Cristo ci porta, dobbiamo lottare con Lui per compiere ed estendere a tutte le anime da Lui redente il Suo Regno. Attuare il Suo Regno vuoi dire ricondurre all'ovile gli agnelli che si sono dispersi; ma cotesti agnelli non rientreranno che mediante la nostra opera di cooperazione, con la quale estendiamo ed applichiamo i frutti della Redenzione.
«L'attuazione del Regno di Cristo è lo scopo per il quale il mondo fu creato»: in questa frase, si può riconoscere il motivo conduttore dell'intera opera e della azione di Gemelli; non solo della sua opera di scrittore, ma di tutta la sua azione di organizzatore culturale, di predicatore, di animatore di preti e di laici, di padre spirituale.
Stabilito questo principio, che vede nell' attuazione del Regno di Cristo il senso della storia, egli prospetta pure le caratteristiche di quel Regno. Egli afferma che si tratta di un Regno spirituale, da non confondere con i regni di questo mondo, «per non cadere nell'errore degli ebrei i quali credevano che Gesù parlasse di un regno terreno».

Tale Regno spirituale deve essere stabilito prima di tutto in noi stessi: noi siamo il primo campo di apostolato, il primo dominio da conquistare al Regno di Dio.
In questo impegno di conformare il proprio pensiero e la propria volontà al volere di Cristo rientrano ancora quei temi, che abbiamo solo accennato, dell'imitazione e della conformità a Cristo, o, come si esprime Gemelli, del «cristocentrismo della vita interiore».
Il Regno di Cristo, tuttavia, non deve essere stabilito solo in noi, ma anche in ogni uomo ed in ogni ambiente; con un passaggio simile a quello compiuto dall'enciclica, Gemelli afferma addirittura che esso ha diritto a conquistare il riconoscimento della società intera e delle nazioni.

Il Papa, affermando la supremazia assoluta del potere spirituale di cui egli gode ed ammonendo anche i Re e i Parlamentari, i magistrati e i potenti a riconoscere la Regalità di Cristo, non si è punto allontanato dalla sua visione spirituale della vita pubblica; il suo invito vuoi dire che, se non si riconosce la Regalità di Cristo, supremo giudice e supremo legislatore, non vi è possibilità di stabilire i principi d'autorità su basi solide; e che le leggi morali alle quali debbono ubbidire gli individui, obbligavano anche le società e i loro capi. Perciò non sono avveduti e non provvedono al bene dei loro popoli quei capi di governo, quei magistrati, quei principi che non fanno risalire il loro potere a Dio, e che a Gesù Cristo non fanno omaggio.
Come si può ormai constatare, il concetto di Regno di Cristo tende ad assumere nel pensiero di Gemelli uno sviluppo crescente e caratteristico: dall'affermazione iniziale di un Regno spirituale, da non confondere con i regni di questo mondo, si passa quasi impercettibilmente all'immagine di un Regno che reclama il riconoscimento delle nazioni. Da un «cristocentrismo della vita interiore» si passa ad un «cristocentrismo della vita esteriore». Questa espressione indica efficacemente l'impegno prospettato da Gemelli per ogni cristiano, che non può accontentarsi di trascendere il mondo, ma che deve ricondurre a Cristo tutte le realtà e le attività terrestri; e non solo le attività, ma pure la società e le nazioni. Gemelli teorizza esplicitamente, più e più volte, questa dottrina, affermando che il riconoscimento della divina Regalità e del Regno di Cristo è l'unico fondamento su cui si può basare qualsiasi autorità. E da notare come tale prospettiva fosse da lui teorizzata ed affermata in un contesto sociale e politico (il regime fascista) nel quale una simile affermazione non poteva certo riuscire gradita. Il Regno di cui Gemelli parla e per il cui avvento si batte viene da lui chiaramente identificato con la Chiesa.

…La storia della Chiesa è la storia di un combattimento combattuto contro i nemici della Regalità di Cristo. La Chiesa ha già fin d'ora vinto ... Cristo ha posto sulla fronte della Chiesa il sigillo della divina sua missione: essa costituisce il Regno dei Cieli.

Ogni volta quindi che Gemelli afferma che il vero fondamento di ogni autorità sociale poggia sul riconoscimento della divina Regalità di Cristo e del Suo Regno, potremo lecitamente pensare che egli si riferisca concretamente al riconoscimento dei diritti della Chiesa e della sua gerarchia: è la Chiesa infatti che egli identifica col Regno di Cristo.
Merita qualche osservazione critica questa identificazione tra Regno di Dio e Chiesa, chiaramente affermata dal nostro Autore e dalla teologia cattolica a lui contemporanea. Ritorneremo più avanti su questo tema.

Conclusione
Abbiamo iniziato la nostra indagine usando una ipotesi di lavoro: assumere la Regalità di Cristo come intuizione centrale e punto di collegamento tra i vari dati implicati nel discorso cristologico di Gemelli. A questo punto pensiamo che tale ipotesi possa subire una prima verifica.
Quando Gemelli parla di Regalità, ci è parso di cogliere una oscillazione tra un significato preciso, un po' giuridico e piuttosto ristretto del termine, ed un senso più ampio e più ricco, aperto verso una «Regalità del cuore» che difficilmente può essere costretta entro i limiti della prima definizione. Tale oscillazione ci induce a chiarire che la nozione di Regalità da noi individuata come centro unificante della cristologia del nostro Autore è precisamente quella più ampia, che vede nella Regalità di Cristo il primato che egli possiede su tutte le cose.
Questa nozione di Regalità, cui corrisponde il concetto paolino di primato, e che consiste in una priorità assoluta e universale di Cristo nell'ordine ontologico, cara alla tradizione teologica francescana, è sviluppata da Gemelli anche in una forma che si potrebbe denominare «schema di eminenza»: ogni diverso aspetto sotto il quale Cristo può essere considerato giunge ad una eminenza singolarissima, sviluppandosi ad un grado sommo e in un modo eminente, che per Gemelli si riassume nella caratteristica della Regalità che viene attribuita a Cristo.

1) A Cristo compete l'eminenza dell'umanità: l'umanità di Cristo occupa il centro dell'universo, perché è il punto di saldatura tra l'umano e il divino, perché è l'umanità del Verbo incarnato.

2) A Cristo compete pure l'eminenza dell'amore: la considerazione del Sacro Cuore insiste proprio su questa straordinaria capacità di amore del Cuore di Cristo, che solo può sommamente comprendere Dio e arrivare ad amarlo con un'intensità e una perfezione degne della sua maestà; ed anche nell'amore per gli uomini il Cuore di Cristo supera ogni paragone, e si rivela totalmente nel colpo di lancia al costato.

3) A Cristo compete anche l'eminenza del merito: la morte di Croce è per Cristo un nuovo titolo di Regalità: sulla croce egli regna, ed è in virtù della sua passione e morte che noi siamo costituiti suoi sudditi.

4) Infine, a Cristo compete l'eminenza dell'unione di grazia per il misterioso vincolo che unisce il Cristo-capo alle membra del Corpo mistico: «la vita di Gesù è dunque la nostra vita e l'unione con Gesù Cristo non potrebbe essere maggiore».

I diversi aspetti del mistero di Cristo vengono così ripresi in una visione dominata da questa intuizione centrale del primato e della eminenza di Cristo, che vede in Lui la massima realizzazione di ogni possibile perfezione.
La nostra scelta di parlare di «Regalità» come del punto di convergenza della visione cristologica di Gemelli deve essere a questo punto giustificata: non sarebbe meglio parlare di «primato» o di «eminenza»? La risposta a questa obiezione rimanda direttamente agli scritti e all'opera di Gemelli: egli, per esprimere quel primato o quell'eminenza, ci presenta il Cristo come Re; e la fedeltà al linguaggio del nostro Autore ha determinato che questa nozione di Regalità, benché apparentemente equivoca, sia stata assunta da noi come concetto unificante e punto di convergenza della sua opera.

Possiamo concludere questa sommaria indagine rilevando che l'immagine di Cristo emergente dagli scritti di Padre Gemelli presenta certamente alcuni aspetti criticabili dalla nostra odierna sensibilità: l'approccio «strumentale» alla Scrittura, l'impostazione rigidamente determinata da una «cristologia delle due nature» e l'identificazione tra Chiesa e Regno di Cristo sono forse gli aspetti che si dimostrano più evidentemente insoddisfacenti in tale presentazione. Tuttavia, come abbiamo già notato, numerosi dei nostri rilievi critici non sono attribuibili a Gemelli soltanto, ma alla teologia cattolica comunemente insegnata alla sua epoca: il metodo di accostamento alla Scrittura e l'eccessiva importanza del problema delle due nature nel discorso cristologico rientrano proprio nel patrimonio teologico dell'epoca. Cosi riteniamo di poter affermare che, nonostante le insufficienze, e a volte anche mediante esse, Gemelli rivela una concezione potentemente unitaria, che raccoglie il dato cristologico intorno alla nozione di Regalità di Cristo.
Abbiamo detto «anche mediante le sue insufficienze»: se può sembrare infatti che sia riduttivo presentare il tema della redenzione e della morte di croce come «titolo di Regalità» nei nostri confronti, è anche vero che tale visione inserisce il singolo dato rivelato in una sintesi più vasta; e anche se l'identificazione di Cristo-Capo del Corpo mistico con l'immagine di re crea alcune perplessità, bisogna riconoscere che il mistero di Cristo ne esce intatto nei suoi contenuti e presentato con un vigoroso sguardo d'insieme. È soprattutto questa capacità di una sintesi organica che va rilevata nella presentazione offerta da Gemelli del mistero di Cristo: il nostro Autore, infatti, non risulta originale nel ripensamento dei singoli dati del discorso cristologico, che recepisce senza ulteriore elaborazione dalla dottrina comune della teologia a lui contemporanea; è piuttosto la sistemazione di questi dati, la disposizione organica del «materiale teologico», che rivela un intervento personale e originale di Gemelli, che ha scelto di unificare la presentazione del mistero di Cristo intorno alla nozione di Regalità.
Si può dire quindi che il concetto di Regalità fornisca la forma in cui organizzare i contenuti della cristologia: tali contenuti non sono nuovi né originali in sé, ma vengono organizzati e presentati secondo una struttura di discorso che rappresenta l'intuizione più originale del nostro Autore. Questa scelta della Regalità come intuizione unificante e sintetica risponde, in Gemelli, a due fondamentali esigenze: da una parte rivela la dimensione di costante attenzione apostolica e di dialogo critico (spesso molto critico!) con il mondo a lui contemporaneo (basti ricordare che l'istituzione della festa liturgica della Regalità di Cristo è del 1925, per comprenderne questa dimensione di «attualità»), dall' altra parte è la cosciente ripresa e «traduzione» in linguaggio moderno delle tematiche fondamentali della tradizione teologica francescana.


3. LE RADICI FRANCESCANE DELLA CRISTOLOGIA DI P. GEMELLI

Gemelli sottolinea la capacità della tradizione francescana di riproporre, in forme nuove e in manifestazioni diverse, l'originale intuizione cristocentrica, e talvolta descrive una tale capacità con parole che suonano quasi come un programma per la propria azione e per la sua stessa vita, come quando presenta l'opera di S. Bernardino.

Se... risulta che non vi è originalità speculativa nel Santo, appare evidente la forza assimilatrice, unificatrice e sintetica di un uomo, che sa ripensare e mettere a fuoco problemi dommatici e morali. San Bernardino si appropria quella pietà cristocentrica che, vissuta intensamente dal grande stimmatizzato, divenne teologica con Alessandro d'Hales, San Bonaventura e lo Scoto. Il cristocentrismo di San Bernardino si esprime in forma concreta e icastica, antica per la sostanza, nuova per la manifestazione, adeguata insieme alla natura del Santo e alle tendenze del suo secolo: la devozione al nome di Gesù. Quel trigramma iscritto nel sole non potrebbe significare meglio la concezione bernardiniana di Dio e della vita, né meglio rispondere al desiderio di bellezza e di gioia proprio del Quattrocento. Cristo è il centro dell'universo; è calore, luce, fecondità, salvezza, felicità non solo di ogni uomo, ma di ogni creatura animata o inanimata; è re dei secoli.
La medesima fedeltà al cristocentrismo egli la scopre quindi in tutta la tradizione e la pietà francescana, da Alessandro di Hales a Bonaventura, da Scoto a San Bernardino. Davvero molte sono le occasioni in cui egli ritorna sulla questione di quale sia il punto centrale della spiritualità francescana: e ogni volta egli insiste nell'indicano proprio nel cristocentrismo, che poi in termini ascetici si traduce nella conformità a Cristo Signore, cioè nel «vivere in Gesù Cristo, con Gesù Cristo, per Gesù Cristo».

Eccolo il francescano: ha una devozione su tutte le altre e che tutte le altre compendia: il Salvatore e Redentore nostro. Il francescano adora il Salvatore bimbo e si inginocchia pregando davanti al presepio; adora il Salvatore Maestro e medita ogni giorno le parabole e le parole evangeliche; ama Gesù il Redentore e perciò il suo libro è il Crocifisso. Ancora di più: il francescano sa che il peccato di ognuno di noi è stato causa della morte ignominiosa del Salvatore; ma sa anche che il Salvatore sarebbe venuto nel mondo a glorificare il Padre anche se Adamo non avesse peccato, dunque il francescano riconosce che Gesù è il centro dell'universo, che Gesù è principio e fine d'ogni cosa, che tutte le cose furono fatte per Lui e che solo in Lui è la vita.
Da questa impostazione, che Gemelli individua nella tradizione francescana, egli opera un ulteriore passaggio alla nozione di Regalità universale: la conclusione che Gemelli trae dall'affermazione del cristocentrismo francescano e del primato universale di Cristo è che Gesù è Re universale. La nozione di Regalità, fondamentale per la cristologia e dì Gemelli, è per lui la «traduzione» in linguaggio moderno sia dei concetti di predestinazione e di primato, sia della più generale impostazione cristocentrica del dato rivelato, tipici della riflessione teologica francescana.

Bonaventura e Scoto nella cristologia di Gemelli
Gemelli individua particolarmente in Bonaventura e Scoto i due grandi autori che formano la sostanza della tradizione francescana.
In particolare, da Bonaventura riprende da una parte l'intuizione cristocentrica, con la posizione centrale di Cristo, che non solo forma la caratteristica struttura dell'universo, ma contrassegna soprattutto il processo di ascesa dell'uomo verso Dio.
Ma Gemelli non vede in Bonaventura soltanto il maestro dell' ascesa a Dio; Bonaventura gli appare anche, e sopratutto, come l'ideatore di una sintesi cristologica della conoscenza e delle scienze, attraverso il procedimento della reductio.
Nell'enfasi con cui Gemelli sottolinea il superamento della divisione tra cultura sacra e cultura profana si può sentire l'eco del problema dei rapporti tra fede e ragione, e più ancora tra scienza, positivisticamente intesa, e fede (si pensi all'episodio del modernismo).
Bonaventura offre a Gemelli l'occasione di approfondire anche un altro aspetto che lo interessa particolarmente: la dottrina della sursumactio bonaventuriana viene assunta e fatta propria dal nostro Autore per illustrare il valore dell' azione nella vita cristiana. Questo tema dell'agire, del «lavorare fino a morire», del «guadagnare il Paradiso soprannaturalizzando il lavoro», è infatti molto caro a Gemelli, tanto da poter essere considerato forse la più originale caratteristica del nostro Autore. A questo scopo egli ricorre a Bonaventura e alla dottrina della sursumactio, che viene applicata all'azione.
Dalla dottrina di Scoto Gemelli riprende soprattutto il discorso della predestinazione assoluta di Cristo; in particolare, le argomentazioni di Scoto vengono esplicitamente citate e riprese nel Voto teologico dell'Università Cattolica del Sacro Cuore per la proclamazione della Regalità del Sacro Cuore. In tale articolo compare una delle poche esposizioni «sistematiche» della cristologia del nostro Autore; in esso è interessante notare che il motivo ultimo che fonda teologicamente l'universalità del potere regale di Cristo è proprio la dottrina scotista sul fine dell'Incarnazione.
Questa visione cristocentrica è proposta con insistenza da Gemelli nei suoi scritti; egli è cosciente che questa impostazione riprende la visione classica della scuola francescana e la sostiene senza esitazione. Egli non cerca di far passare inosservata la matrice francescano-scotista della sua cristologia, anzi la sottolinea e la propone come estremamente attuale e convincente:

Duns Scoto, ponendo il motivo dell'Incarnazione nella glorificazione del Figlio di Dio prima che nella redenzione degli uomini, ossia distinguendo l'Incarnazione dalla redenzione, ed affermando sulla base della scrittura che il Figlio di Dio, predestinato a farsi uomo per la gloria del Padre, in seguito alla caduta di Adamo si è umiliato ad una vita di lavoro e ad una morte di croce, perché l'incarnazione fosse redenzione, dava della pietà francescana il fondamento centrale ed avvinceva le anime a Colui per cui omnia facta sunt. L'amore per il Crocifisso porta lo Scoto, come già San Giovanni Evangelista e San Paolo, all'esaltazione di Cristo centro e re dell'universo. Questa mirabile concezione dà immediatamente il tono francescano alla vita, perché prospetta la natura, la storia, le cose umane, in una luce sacra, come di creature e di vicende destinate, anche se ribelli, al trionfo dell'unico Mediatore, e fa di ogni uomo un operaio e un soldato, volontario o costretto, del suo Regno divino, poiché l'universo è creato, dice Raimondo Lullo, per essere cristiano, non per altro. Il pensiero di 5. Giovanni e di S. Paolo, rimeditato dallo Scoto, conclude ad un teocentrismo assoluto in Cristo, il divino, necessario Mediatore tra l'uomo e Dio.
Non senza buone ragioni, Gemelli sottolinea la continuità di pensiero sia tra Scoto e il dato biblico (soprattutto S. Giovanni e S. Paolo), sia tra Scoto e «l'esaltazione di Cristo Re e centro dell'universo». Egli vede in questo filone teologico un unico orientamento che, elaborato soprattutto dalla scuola francescana, sfocia nella dottrina tanto cara a lui della Regalità di Cristo.

Osservazioni conclusive

Possiamo ora formulare qualche considerazione sul metodo usato da Gemelli: al di là dei singoli contenuti, che non sono quasi mai molto originali, è proprio il metodo da lui usato per la propria sintesi quello che ci può offrire i più abbondanti spunti di riflessione.
Tale metodo consiste nel ripresentare l'essenziale della riflessione teologica francescana, e nello stesso tempo nel dialogo con la situazione del mondo contemporaneo, in cui la Chiesa proponeva una enciclica sulla Regalità di Cristo. La nozione di Regalità di Cristo è la maniera “attuale”, all'epoca di Gemelli, per ridire l'intuizione centrale della scuola teologica francescana, che è il primato assoluto di Cristo.


4. LO SVILUPPO DEL CONCETTO DI REGALITÀ DOPO GEMELLI

Il Concilio
Gemelli morì il 15 luglio 1959; il 25 gennaio di quello stesso anno papa Giovanni aveva annunciato la volontà di indire un Concilio, che iniziò ufficialmente l'li ottobre 1962.
Il Concilio, che dunque viene dopo Gemelli, segna un passaggio fondamentale anche per la concezione di Regalità di Cristo, e gli approfondimenti conciliari furono immediatamente fatti propri anche dagli Istituti fondati da Gemelli.

La Chiesa e il Regno di Dio
Un passaggio fondamentale attuato dal Concilio consiste nel superamento di quell'identificazione tra Regno di Dio e Chiesa, chiaramente affermata anche da Gemelli, come dal pensiero cattolico a lui contemporaneo, per il quale l'impegno per Cristo, per il Regno di Dio e per la Chiesa sono una sola cosa, senza distinzioni.
L'esegesi, proprio negli anni precedenti il Concilio, studiando il concetto di Regno di Dio, che è centrale nella predicazione di Gesù, ci ha reso consapevoli della preminenza del Regno rispetto alla Chiesa e della «riserva escatologica» nei confronti di ogni realizzazione storica della Chiesa. È soprattutto questa consapevolezza della portata escatologica della predicazione del Regno di Dio che ci impone di evitare ogni identificazione tra Regno di Dio e Chiesa; in questa linea, con ponderata saggezza, si è posto anche il Concilio Vaticano II quando ci presenta la Chiesa come il germe e l'inizio del Regno di Dio, che mentre va lentamente crescendo anela al Regno perfetto.
Così si esprime la Lumen Gentium n. 5: “La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l'inizio. Intanto, mentre va lentamente crescendo, anela al regno perfetto e con tutte le sue forze spera e brama di unirsi col suo re nella gloria”.

La liturgia della Regalità di Cristo
Anche la liturgia della festa di Cristo Re cambia, con il passaggio al nuovo Messale di Paolo VI e alla nuova Liturgia delle Ore. Degna di nota l'introduzione, nel lezionario, dei tre cicli di letture festive: oltre al testo già presente nel vecchio ordinamento liturgico, cioè il vangelo di Giovanni, cap. 18, del dialogo tra Gesù e Pilato, in cui Gesù afferma di essere re, ma non di questo mondo, vengono introdotti i testi di Mt 25, con il giudizio finale, e quello di Lc 23, con il dialogo di Gesù in croce col buon ladrone.
Emerge una accentuazione del carattere escatologico della Regalità di Cristo, giudice negli ultimi tempi; tale connessione è sottolineata anche dalla collocazione della festa come ultima domenica dell'anno liturgico, e non più semplicemente come ultima domenica di ottobre. E anche da segnalare il passaggio da un certo trionfalismo religioso alla sottolineatura della dimensione della regalità come servizio, anzitutto in Cristo che offre la vita sulla croce, ma anche nei credenti in lui, solo in tal modo partecipano al sacerdozio regale di Cristo.

La spiritualità della Regalità
L'accentuazione nell'ambito spirituale va nella direzione della riscoperta della dimensione del servizio e della croce come esercizio della regalità di Cristo e del cristiano nel mondo.
Si è attuato un passaggio dalla trilogia profezia, sacerdozio e regalità (i tre munera) alla trilogia profezia, sacerdozio. carità-servizio, che nel linguaggio “pastorale” viene declinata come catechesi, liturgia e carità.
Come dice Olivier Clément: «Nella prospettiva evangelica, il vero potere è quello del Dio crocifisso: un potere che vuole l'alterità dell'altro fino a lasciarsi uccidere per offrirgli la resurrezione. Perciò il potere assoluto si identifica con l'assoluto del dono di sé, con il sacrificio che comunica la vita agli uomini e fonda la loro libertà. Il Dio incarnato è colui che “dona la propria vita per i suoi amici” e prega per i suoi carnefici. Il potere di Dio significa il potere dell'amore».

Bibliografia:

C. Vaiani, L'immagine di Cristo negli scritti di P. Agostino Gemelli, in Studi francescani 87 (1990), 283-298.
Idem, Le radici francescane della cristologia di Agostino Gemelli, in Studi francescani 89 (1992), 55-72.
AA. VV., La funzione regale di Cristo e dei cristiani, Quaderni teologici del Seminario di Brescia 7, (1997),
D. Menozzi, Sacro Cuore. Un culto tra devozione interiore e restaurazione cristiana della società, Viella, Roma 2001
Idem, Rinnovamento dottrinale e storiografia: gli studi storici sulla regalità sociale di Cristo, in AA.VV., I grandi problemi della storiografia civile e religiosa (Atti dell'XI Convegno di studio dell'Associazione italiana dei Professori di Storia della Chiesa — 2-5 settembre 1997) a c. di G. Martina e U. Dovere, Dehoniane Roma 1999, pp. 263-298.