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2- peritoniti 3- occlusione intestinale meccanica 4- politraumatizzato 5- pancreatite acuta Le emorragie del tubo digerente
acute o meglio emodinamicamente importanti, rappresentano l’1-2 % dei ricoveri.
Il secondo gruppo per frequenza è certamente quello dei paz. affetti da ulcera peptica. L’arresto spontaneo del sanguinamento è tanto più raro quanto più il malato riferisce precedenti episodi emorragici, certamente in relazione alla profondità della lesione ulcerativa. Si tratta in genere di soggetti in età lavorativa e, anche se la chirurgia si rende necessaria, la prognosi è favorevole. I casi a rischio sono quelli in relazione alla sede (esofagea, cardiale e sottocardiale) e alla anatomia (ulcere in gastroresecati) Circa il 15% dei sanguinamenti acuti sono dovuti a varici esofagee. Oggi la mortalità immediata è molto diminuita rispetto a 20-30 anni fa per i progressi delle manovre endoscopiche (sclerosanti, laser, elastici). tuttavia è ancora la più alta tra i gruppi principali di malattie che causano sanguinamento. Lo stato del fegato condiziona la prognosi del ricovero. Il quarto gruppo è dato dalla ulcerazione di un tumore e in genere è questo, in quanto neoplasia, che condiziona la prognosi. I diverticoli e le malattie infiammatorie del colon costituiscono un gruppo ridotto nell’ambito dei sanguinamenti acuti caratterizzati dalla difficoltà di stabilire il livello dell’emorragia. Un caso a parte, sempre raro ma dotato di un quadro clinico sovente riconoscibile è il sanguinamento da diverticolo di Meckel. Una evenienza non tanto rara e che dovrebbe essere sospettata non appena si pone una mano sull’addome è la rottura nel duodeno di un aneurisma aortico. Per
ultimo ricordiamo le angiodisplasie,
rare e di difficile diagnosi.
Il primo scopo del trattamento è, come sempre in emergenza, ripristinare le condizioni minime di perfusione per stabilire una diagnosi e arrestare il sanguinamento:
In chirurgia di emergenza
è certamente meglio attenersi alla semplice emostasi. In qualche
caso è obbligatorio aggiungere altre procedure, per esempio una
piloroplastica per un ulcera stenosante che ha sanguinato o che sta
sanguinando. Nel caso di neoplasia maligna l’emostasi richiederà
quasi sempre una resezione ma è da escludere la possibilità
di eseguire immediatamente la chirurgia oncologica.
Questa lezione di chirurgia
d’urgenza per gli studenti dell’ultimo anno di corso, riguarda la distinzione
tra peritonismo e peritonite, il dolore nella sindrome peritonitica,
i parametri per controllarla e infine, alcune nozioni di trattamento.
Che differenza c’è tra peritonismo e peritonite. Uno studente che frequenti una corsia di chirurgia generale sentirà spesso la frase “Questo malato ha solo un poco di peritonismo” con riferimento a un malato operato da qualche giorno all’addome e che per il resto va bene. Un paz. ha avuto un trauma
contusivo all’addome, non ha problemi emodinamici, ha solo un po' di dolore
addominale, un po' di meteorismo nella radiografia a vuoto dell’addome,
nulla alla TAC: il chirurgo nota una certa difesa addominale e dice “Per
ora è solo un po' di peritonismo, controlliamolo tra una mezz’ora”.
Dopo mezz’ora nota che il polso è accelerato, il viso è pallido,
il naso affilato e allora dice “Questa è una peritonite, portiamolo
in camera operatoria”.
Il riflesso di difesa viscero peritoneale è un riflesso che coinvolge sul versante afferente le fibre somatiche delle radici dei mesi e della parete addominale. Il dolore che ne risulta è di tipo somatico, cioè ben localizzato. Il versante efferente ha due vie, una somatica di contrattura della muscolatura striata addominale e una viscerale di inibizione della muscolatura liscia dei visceri dell’addome. Il sintomo somatico che ne risulta, palpabile e talora visibile, è la contrattura della parete addominale. Abitualmente questa si associa a inibizione dei riflessi cutanei, a iperestesia e iperalgesia. Queste associazioni sono importanti e vanno ricordate perchè possono essere l’unico sintomo del riflesso peritonitico se il soggetto ha una muscolatura addominale ridotta o distesa (anziani, bambini, gravide, defedati). Quando il riflesso è
in atto il malato non riesce a muovere la muscolatura addominale e il respiro
tende a diventare di tipo toracico.
Il sintomo viscerale è
l’assenza di peristalsi, il silenzio di tomba degli antichi clinici,
con arresto dell’emissione dei gas e meteorismo. Oggi aggiungiamo (con
la radiografia a vuoto dell’addome), l’ansa sentinella, i livelli idroaerei
disordinati (sono ordinati nell’occlusione intestinale meccanica). Qui
è necessario introdurre una eccezione a quanto abbiamo detto circa
l’identità tra peritonite e peritonismo in termini di riflesso viscero-peritoneale:
è difficile che un semplice peritonismo origini un livello idroaereo,
anzi direi di non ricordarne neanche un caso. Livello idroaereo significa
peritonite (o occlusione). Naturalmente fa eccezione il livello idroaereo
fisiologico dello stomaco.
E’ il dolore delle comuni coliche che il malato indica sulla linea mediana quando l’origine è intestinale e sulla linea lombo inguinale quando l’origine è renale o tubarica. L’esperienza (e anche esperimenti in volontari) suggeriscono che tale dolore sia provocato dalla distensione dei visceri cavi. Infine il dolore riferito. L’esempio più tipico non riguarda l’addome bensì il cuore: nell’ischemia miocardica il dolore è tipicamente “riferito” alla tabacchiera anatomica. Nell’ischemia della parete posteriore del ventricolo sinistro il dolore può essere riferito all’epigastrio. Altri dolori addominali riferiti possono osservarsi nelle pleuropolmoniti. La caratteristica del
dolore riferito è la sua variabilità, un momento c’è,
l’altro non c’è. Nella evoluzione di un’appendicite acuta
in sede pelvica si possono osservare tutti e tre i dolori. All’esordio
un dolore viscerale che il soggetto indica nell’epigastrio. Più
tardi il dolore riferito al metamero cutaneo corrispondente alla
appendice e cioè al quadrante inferiore destro dell’addome.
Infine, nella fase flemmonosa, il dolore somatico in sede sovrapubica
o perineale se l’appendice è nel cavo del Douglas.
I parametri clinici sono stati discussi sopra seppure da un punto di vista fisiopatologico. In pratica in una cartella si annota la temperatura ascellare e rettale, la “facies”, il tipo di respiro, la trattabilità dell’addome, il Blumberg, la presenza dei riflessi addominali, l’iperalgesia, l’iperestesia, il meteorismo, i rumori peristaltici, il passaggio dei gas. L’ascoltazione delle basi polmonari e l’esplorazione rettale o vaginale devono essere annotate. La diuresi è un parametro fondamentale che nella fase di shock deve essere registrata su base oraria. L’esame
di laboratorio più importante è dato dai globuli
bianchi in quanto parametro a variazione rapida. In un soggetto
normalmente reattivo la presenza di pus ovunque nell’organismo scatena
una immediata leucocitosi che nelle appendiciti, salpingiti, colecistiti
purulente, perforazioni viscerali, necrosi di visceri addominali raggiunge
e supera il valore di 20.000 per ml. Subito dopo l’asportazione del viscere
se il cavo peritoneale è appena irritato la leucocitosi cade.
L’emogasanalisi è importantissima per evidenziare all’esordio le complicanze polmonari da ipoventilazione e per trattare tempestivamente gli squilibri acido-basici. L’esecuzione della radiografia a vuoto dell’addome è indicata periodicamente ma in certi casi va ripetuta dopo poche ore (ad esempio per evidenziare come immagine invariante un’ansa necrotica).La radiografia del torace può essere necessaria giornalmente. Affermazioni in auge 40 anni fà del tipo “se una appendicite acuta data da più di 24 ore è meglio che venga trattata conservativamente” sono decadute. Delle 9 forme cliniche di appendicite acuta registrate da Mondor (appendicite acuta catarrale, flemmonosa, gangrena appendicolare, ascesso appendicolare, peritonite purulenta da perforazione, setticemia appendicolare, piastrone appendicolare, perforazione in due tempi, perforazione in tre tempi) solo il piastrone appendicolare di vecchia data può porre delle alternative di timing chirurgico in relazione a una quota di ileo misto da detendere opportunamente prima dell’operazione. La prognosi
è in relazione allo stadio della peritonite.
L’occlusione intestinale è stata la malattia chirurgica che ha mietuto più vittime di tutte fino alla adozione del sondino di di Miller Abbot per contrastare la distensione intestinale. La mortalità che era del 70% all’inizio del secolo, è calata al 7 % negli anni 40. I progressi dell’anestesia (intubazione), della terapia infusionale per la disidratazione e gli antibiotici hanno fatto il resto. Diamo per scontato le nozioni
derivanti dalla fisiopatologia che distingue le occlusioni alte da
quelle basse e le occlusioni con e senza strangolamento e, più in
generale, con o senza fenomeni di parete.
Mi limito a spendere qualche parola per descrivere la colica addominale occlusiva con le sue principali varianti. Il dolore, di tipo costrittivo, insorge gradualmente, raggiunge un acme che dura qualche diecina di secondi, poi si attenua fino a scomparire per 5-10 minuti. Ogni volta il malato pensa di essere guarito. Il dolore è riferito spesso alla linea mediana ma anche alla sede della ostruzione e si accompagna a movimenti intestinali che il soggetto avverte nettamente. Con lo stetoscopio si ascoltano gorgoglii, si stimolano borborigmi e talora rumori di sprizzo attraverso un restringimento. Rispetto ai fumori peristaltici fisiologici quelli dell’occlusione sono più frequenti, più intensi e caratterizzati da un intenso timbro metallico Talvolta è dato di vedere e/ o di palpare la tumefazione creata dall’onda di iperperistalsi. Questo è tipico dell’ostruzione da megacolon. L’addome, tra una crisi e l’altra, non mostra segni di irritazione peritoneale; è invece presente guazzamento e il malato non passa gas. Il liquido sequestrato nelle anse occluse viene sottratto al comparto extracellulare con possibilità di shock ipovolemico. Nelle ostruzioni alte il vomito di materiale ileale è la regola. Segue meteorismo e poi distensione. In questa fase si rendono transitoriamente manifesti fenomeni di parete (contrattura riflessa, assenza dei riflessi cutanei, iperalgesia, iperestesia, respiro toracico), poi la stessa distensione rende difficile evidenziare la contrattura. Questo segna l’inizio dello shock tossinfettivo per perdita della impermeabilità delle anse. Nelle forme con strangolamento i fenomeni di parete si manifestano sin dall’esordio. Nelle ostruzioni basse il riassorbimento dei succhi enterici dilaziona o annulla la distensione. L’occlusione paradossa da fecaloma dell’ampolla rettale può, in famiglia ma anche negli ospizi, decorrere per mesi come “incotinenza fecale”.
Nelle occlusioni del sigma
retto i livelli possono essere assenti e la diagnosi in positivo richiede
l’esecuzione di un clisma opaco con dimostrazione del livello di stop.
Nei vecchi non è raro che l’esame dimostri assenza di ostacoli
distalmente al segmento disteso (m. di Ogilvie, pseudo ostruzioni da sclerodermia,
da miopatie).
L’assenza del riflesso visceroperitoneale
concede tempo e in molti casi il trattamento medico sintomatico associato
alla introduzione di un sondino a mercurio (Miller Abbot) risolve il quadro
occlusivo.
Nei tumori la detensione permette di eseguire una terapia chirurgica che tiene conto delle norme oncologiche. In questi casi l’intervento è preceduto da una tac e/o da una ecografia a cui segue una colonscopia con biopsia. Recentemente per la stadiazione delle neoplasie del retto si è aggiunta la ecografia transluminale. Ovviamente vengono determinati i livelli dei marker tumorali dell’intestino. In casi particolari la diagnosi chirurgica richiede altri presidi quali il clisma del tenue, il rettogramma defecatorio, la biopsia della parete muscolare del retto, lo studio del riflesso anale inibitore. Gli interventi per occlusione sono la adesiolisi, la resezione di briglia, l’estrazione di corpo estraneo, la plastica alla Mikuliz, la resezione con anastomosi, l’anastomosi bypassante l’ostruzione, l’ano terminale con affondamento del moncone distale con resezione immediata o dilazionata, l’ano a doppia canna e la cecostomia ovviamente tralasciando l’elencazione degli interventi oncologici, per megacolon, malformazioni etc. Si tratta di un capitolo recente di nosologia chirurgica, messo a punto negli ultimi 30 anni, caratterizzato dal problema organizzativo di coordinare tempestivamente tutte le attività richieste dal politrauma e da quello clinico di stabilire, in ogni singolo caso, la priorità delle varie procedure richieste dalla terapia. Si aggiunge generalmente
anche l’argomento delle catastrofi, che trascende l’organizzazione del
personale medico, al quale è affidata in loco l’operazione cosidetta
di “triage”, consistente nel classificare
e etichettare rapidamente secondo determinati standard i vari tipi
di infortunati in modo che l’attività dei soccorritori venga orientata
con la massima efficienza in termineìi di destinazione delle risorse
rianimatorie e di trasporto negli ospedali coinvolti.
Queste percentuali variano notevolmente col tempo e col luogo dando materia di considerazione sociologica e politica. Per definizione il politrauma è quello grave, che indirettamente coinvolge il distretto respiratorio e circolatorio, tipicamnente polidistrettuale. Ai fini della classificazione delle lesioni traumatiche p.d. ci si riferisce a 6 distretti:
L’ISS corrisponde alla somma dei tre valori più gravi elevati al quadrato.
I distretti più colpiti
sono nell’ordine torace (60%), addome (50%), arti (40%) e il capo
(20%).
Torace: Addome: E’ interessante notare che
le lesioni in due tempi degli organi parenchimali sono diminuite in modo
notevolissimo certo per il motivo che con la diagnostica attuale il cosidetto
“intervallo libero” ha perso rilievo.
Il trattamento corretto inizia virtualmente con l’addestramento dei soccorritori, in quanto l’esito delle terapie d’urgenza è condizionato dall’efficieza del soccorso immediato. Quella che potrebbe essere una semplice commozione cerebrale, se il soggetto non viene posto in condizioni di respirare liberamente (rimozione di ogni ostacolo nel naso e nella bocca) può diventare anossia cerebrale e quindi coma semza altra lesione se non l’edema cerebrale e l’ernia uncale. I soccorritori devono disporre di un aspiratore e saperlo usare e saper sistemare una cannula orofaringea. Devono saper sospettare le fratture di colonna e tasportarle in estensione, devono saper mettere i lacci e tamponare le ferite sanguinanti. L’abc
nel pronto soccorso è finalizzato alla stabilizzazione delle condizioni
emodinamiche ai fini della diagnosi e della corretta terapia ed è
certamente una delle conquiste della anestesiologia perchè è
da questa branca che derivano i rianimatori e i soccorritori.
breathing circulation Di pari passo alle manovre rianimatorie si deve valutare il polso, il riempimento capillare, il turgore giugulare, i movimenti respiratori e la risposta agli stimoli. Le lesioni visibili devono essere inventariate. Un pneumotorace iperteso deve essere riconosciuto e trattato all’istante, i sanguinamenti esterni tamponati. L’accesso venoso centrale e la somministrazione salina o di plasma expander segue al controllo della ventilazione. In questa primissima fase ci si deve render conto se il trauma ha compromesso una delle funzioni vitali (esempio colpo d’arma da fuoco all’addome, al torace o alla base del collo con anemia acuta o pneumotorace iperteso o tamponamento pericardico). In questi casi si deve allertare la camera operatoria pensando di operare il malato entro 5-10 minuti. Qualche malato è stato salvato da un intervento “sporco” eseguito nello stesso pronto soccorso per praticare un emostasi clampando un vaso o addirittura l’aorta fin tanto che, in camera operatoria, non interviene l’equipe chirurgica. Il più delle volte le manovre riabilitatoria migliorano notevolmente lo stato del malato e ne stabilizzano iparametri vitali. Devono essere disponibili nell’immediato i seguenti esami: emocromo, radiografia del torace, emogasanalisi, ecg. Col trattamento inizia la monitorizzazione che comprende il polso, l’ecg, la pvc, l’urometria e la ripetizione dell’emocromo e dell’emogas. L’esame neurologico deve essere completato appena possibile. Lo stomaco deve essere sondato e se il malato ha appena mangiato è opportuno liberarlo con una gastrolusi. La rianimazione efficace è quella che permette la sutura delle ferite superficiali, la immobilizzazione temporanea delle fratture evidenti, il trasferimento in radiologia del traumatizzato per la esecuzione di tutte le radiografie e delle tac e delle arteriografie indicate, l’eventuale toracentesi e/o paracentesi e, da ultimo il consulto coi vari specialisti. Un ruolo speciale è quello della Rnm (lesioni midollari), della ecografia transesofagea (lesioni cardiache e aortiche). Le procedure nel loro insieme non devono essere oziose, il loro fine è quello di inventariare tutte le lesioni, specificarne se possibile il tipo, stabilire quelle che necessitano un trattamento chirurgico e, tra di esse, convenire la priorità. Recentemente hanno assunto importanza anche la toracoscopia e la laparoscopia, se non altro in alternativa alla esplorazione chirurgica di principio nelle ferite penetranti. Alcune delle procedure esopraelencate possono avere una immediata valenza terapeutica (l’arteriografia nelle lesioni dei visceri panrenchimatori, la lapro e/o toracoscopia per rimuovere versamentie /o coaguli, per eseguire elettrocoagulazioni).Il contenuto di questo paragrafo è il concentrato della teoria e della prassi corrente sul politrauma e il riferimento di valutazione della organizzazione e della attrezzatura di un ospedale al passo dei tempi. Un terzo tipo di traumatizzato è quello in cui le consequenze del trauma, ancorchè gravi, riamngono clinicamente occulte, per esempio un ematoma del fegato o della milza. Sono i casi che, più di tutti, si prestano al trattamento conservativo. Un vecchio concetto tuttora valido è che, se un intervento è necessario esso deve essere eseguito entro le “ore d’oro”, che sarebbero 6 a partire dal trauma. A parte il dissanguamento
che, da qualunque parte avvenga, deve essere trattato subito, la priorità
dell’addome raramente è messa in discussione perchè i decessi
tardivi (dopo una diecina di giorni dal trauma) sono quasi tutti imputabili
a sepsi di origine addominale. E’ certo che la associazione di una
lesione addominale dei visceri cavi a un ematoma intracranico con uno stato
confusionale non registrato in ammissione metterebbe a dura prova i chirurghi.
Sia che si abbia eseguito un intervento, sia che si sia scelta la linea conservativa, il monitoraggio è essenziale in relazione proprio alla definizione di politrauma. Si deve cogliere immediatamente il segno che può indicare una lesione misconosciuta, una evoluzione indesiderata di una conosciuta. Penso alla evoluzione delle ferite dei visceri parenchimatosi in cui si è scelto il trattamento conservativo. Qui il monitoraggio ecografico ha un ruolo importante. L’ecografia ha un ruolo anche nel controllo dei versamenti. E’ certo che nella fase evolutiva si paga il prezzo di una eventuale compromissione polmonare, del tipo polmone da shock, avvenuta nella prima fase. Conti più tardivi, sempre in relazione a deficit perfusionali nella fase di shock possono essere presentati dal rene (anuria, DIC), dal fegato (ittero), dal tubo digerente (sanguinamenti da ulcere). Nella fase tardiva il pericolo maggiore è quello della sepsi, gerneralmente di origine addominale, che è la maggiore respondabile della mortalità tardiva. L’eliminazione delle raccolte e delle necrosi e sopratutto l’alimentazione (enterale, parenterale) sono la prevenzione più efficace. La profilassi antibiotica deve essere iniziata dall’ammissione con antibiotici a largo spettro e proseguita, se possibile in forma mirata, sulla base della cultura delle secrezioni, degli agoaspirati, della punta dei cateteri centrali. Gli interventi o i reinterventi tardivi per complicanza dell’intervento eseguito o evoluzione non desiderata di una lesione trattata conservativamente, segnano spesso il progressivo peggioramento del malato diventato anergico. La malattia tromboembolica contribuisce significativamente alla mortalità. Nelle fratture degli arti inferiori e nelle lesioni del bacino la profilassi eparinica è obbligatoria. Il politraumatizzato impegna tutte le risorse dell’ospedale. Nella fase di ammissione il ruolo principale è quello del chirurgo generale e dell’anestesista rianimatore, in seguito tutte le specialità possono venire coinvolte. Argomenti collaterali, approfondimenti:
traslocazione batterica, alimentazione artificiale, shock emorragico, ulcera
da stress, DIC, rene da shock, diagnosi di trombosi profonda, diagnosi
di embolia polmonare, prevenzione dell’embolia, trattamento dell’embolia
polmonare, arresto cardiaco nello shock emorragico, quale ruolo per l’arteriografia
nei traumi del fegato e della milza.
Lo
shock di origine pancreatica ha due radici.
Nei tessuti e nel plasma esistono altri inibitori delle proteasi di cui è dimostrata la caduta (per consumo) nel corso delle pancreatiti acute. L’effetto degli enzimi sugli organi configura la “multiple organ failure”. Il polmone, il rene, lo stomaco, e il sistema coagulativo sono nell’ordine i distretti più colpiti. A livello locale le lesioni vanno dal semplice edema pancreatico e peripancreatico, ai focolai necrotico-emorragici, discreti, diffusi o confluenti. Talora si verificano vere e proprie emorragie che distendobo la retrocavità degli epiploon. Un evento abbastanza costante è la saponificazione delle aree di necrosi con apparenza di macchie di cera nelle quali precipita il calcio la cui concentrazione ionica nel plasma cade al di sotto dei valori fisiologici. Almeno 9 volte su 10, spontaneamente o per l’effetto della terapia il quadro emodinamico si attenua. Per contro la morfologia delle alterazioni pancreatiche che all’esordio si limitano a una semplice tumefazione della ghiandola acquistano caratteristiche radiologiche compatibili con versamenti, cisti e zone di necrosi . Con terminologia impropria il radiologo descrive anche “flemmoni” peripancreatici. Talvolta il divario tra l’entità delle alterazioni locali e la scarsità di fenomeni generali è stridente. Tuttavia si deve sempre temere l’infezione delle lesioni, segnata dai sintomi di sepsi e dal peggioramento del quadro clinico con scarse modifiche di quello radiologico. La pancreatite acuta ha tradizionalmente tre tipi di eziologia
Tenendo conto solo delle prime due cause, possiamo dire che la pancreatite acuta è una malattia che colpisce sopratutto dopo la 4^ decade e le donne più degli uomini. Questo è certamente
in relazione al fatto che la litiasi biliare, in quanto causa più
frequente della pancreatite di origine canalicolare, segue lo stesso trend.
All’origine delle pancreatiti metaboliche si indica sopratutto l’alcolismo,
l’obesità e l’iperlipoproteinemia. Un pasto copioso è sovente
la causa scatenante.
Il dolore
della pancreatite acuta è avvertito in zona epigastrica con irradiazione
posteriore.
All’esordio i sintomi non sono distinguibili da quelli dell’infarto della parete posteriore del ventricolo sinistro e da quelli dell’aneurisma addominale in fase di rottura. Il paz. si presenta pertanto come un’emergenza rianimatoria. L’esclusione delle due condizioni sopracitate richiede pertanto un ecg e un’ecografia addominale. L’anamnesi e l’obiettività possono mettere in evidenza i fattori di rischio (alcolismo, calcolosi, obesità, pasto copioso). L’addome è vivamente dolente ma il riflesso viscero-peritoneale di solito è assente. Le ecchimosi cutanee sono anch’esse tardive. E’ presente meteorismo e molto spesso subittero. La routine prevede l’esame emocitometrico, gli enzimi e l’emogasanalisi. Sono indicativi l’iperamilasemia con iperamilasuria, la leucocitosi, la positività della proteina C e, nei giorni seguenti, l’ipocalcemia. In positivo la diagnosi può essere posta solo con la ecografia o con la tac che dimostrano un ingrandimento della ghiandola pancreatica. L’evoluzione radiologica può essere la restituzio, la necrosi, la formazione di cisti, cicatrici e calcificazioni. Dal punto di vista chirurgico la diagnosi richiede la identificazione della pancreatite canalicolare in quanto trattabile abbastanza semplicemente per via endoscopica. Il protocollo diagnostco si basa sulla ecografia (dimostrazione di una dilatazione delle vie biliari intraepatiche), sulla colangiografia retrograda (dimostrazione di un ostacolo di tipo litiasico) e sulla conseguente papillolitotomia. La manovra libera il malato dal dolore quasi immediatamente e il decorso assume generalmente un andamento favorevole. E’ imperativo eseguire la colecistectomia quando si reputa che la flogosi locale sia regredita, pena la non rara recidiva della crisi pancreatitica da migrazione di un altro calcolo. La terapia della pancreatite
in quanto tale è uno dei capitoli più interessanti della
storia della chirurgia. Per semplificare possiamo dire che, da sempre,
si sono fronteggiati due indirizzi opposti, conservativo e aggressivo
La scoperta dell’amilasemia, che permise dagli anni ‘40 in poi di
diagnosticare un numero assai maggiore di pancreatiti acute, portò
acqua ad entrambi i mulini. Gli interventisti potevano operare più
malati, i conservativisti osservarono che la gran parte delle iperamilasemie
guarivano spontaneamente. Negli anni 60-70 i progressi della rianimazione,
della terapia intensiva, dell’alimentazione parenterale e dell’antibiotiocoterapia
sembrarono per un periodo far virare la maggioranza dei chirurghi verso
l’interventismo.
Dal punto di vista pragmatico pertanto la pancreatite acuta deve essere trattata come uno shock ipovolemico. Si deve cercare di mantenere tutti i parametri nella norma, con infusioni saline e trasfusioni di sangue o plasma. L’alimentazione artificiale e la copertura antibiotica sono importanti. La digiunostomia alimentare è obbligatoria nel caso di intervento. Gli antidolorifici e l’analgesia spinale con catetere epidurale vanno usati al bisogno. Non sono dimostrati vantaggi dall’uso dei vari inibitori enzimatici disponibili e lo stesso dicasi per la somatostatina. Si è già detto della utilità, quando indicato, della papillolitotomia endoscopica. Le complicanze devono essere trattate dal chirurgo secondo i principi dell’arte. In casi eccezionali sono stati usati il lavaggio peritoneale e la laparostomia. |