Lezioni  indirizzate agli studenti del 6 aa 
di Medicina e Chirurgia
nell’ambito del corso integrato di 
“emergenze medico-chirurgiche”
      
    INDICE   
Esse sono una selezione personale delle nozioni che, caso per caso,  compongono l’argomento. Per questo, per ogni lezione, abbiamo aggiunto una serie di riferimenti per un eventuale  approfondimento del tema
 

 
 
Lezione 1
Emorragie acute del tubo digerente 
 
 
Epidemiologia, eziologia, mortalità e morbilità 

Le emorragie del tubo digerente acute o meglio emodinamicamente importanti, rappresentano l’1-2 % dei ricoveri. 
Oggi la causa più frequente è data dalla assunzione di Fans, con comparsa di una o più ulcerazioni sanguinanti gastroduodenali superficiali con tendenza alla cicatrizzazione e all’arresto spontaneo dell’emorragia e quindi con una prognosi generalmente buona. Una mortalità importante (10-20 %) si osserva per la stessa causa nei malati reumatici anziani e denutriti portatori di vaste ulcerazioni con scarsa tendenza all’arresto spontaneo.  

Il secondo gruppo per frequenza è certamente quello dei paz. affetti da ulcera peptica. L’arresto spontaneo del sanguinamento è tanto più raro quanto più il malato riferisce precedenti episodi emorragici, certamente in relazione alla profondità della lesione ulcerativa. Si tratta in genere di soggetti in età lavorativa e, anche se la chirurgia si rende necessaria, la prognosi è favorevole. I casi a  rischio sono quelli in relazione alla sede (esofagea, cardiale e sottocardiale) e alla anatomia (ulcere in gastroresecati)  

Circa il 15% dei sanguinamenti acuti sono dovuti a varici esofagee. Oggi la mortalità immediata è molto diminuita rispetto a 20-30 anni fa per i progressi delle manovre endoscopiche (sclerosanti, laser, elastici). tuttavia è ancora la più alta tra i gruppi principali di malattie che causano sanguinamento. Lo stato del fegato condiziona la prognosi del ricovero.  

Il quarto gruppo è dato dalla ulcerazione di un tumore e in genere è questo, in quanto neoplasia, che condiziona la prognosi.  

I diverticoli e le malattie infiammatorie del colon costituiscono un gruppo ridotto nell’ambito dei sanguinamenti acuti caratterizzati dalla difficoltà di stabilire il livello dell’emorragia. Un caso a parte, sempre raro ma dotato di un quadro clinico sovente riconoscibile è il sanguinamento da diverticolo di Meckel. Una evenienza non tanto rara e che dovrebbe essere sospettata non appena si pone una mano sull’addome è la rottura nel duodeno di un aneurisma aortico.  

Per ultimo ricordiamo le angiodisplasie, rare e di difficile diagnosi. 
Non trattiamo dei sanguinamenti emorroidari in quanto è veramente eccezionale che siano emodinamicamente importanti. 
 
 
  

Nozioni di clinica pratica 

Il primo scopo del trattamento è, come sempre in emergenza, ripristinare le condizioni minime di perfusione per stabilire una diagnosi e arrestare il sanguinamento: 

  • Un accesso venoso viene utilizzato per l’infusione di elettroliti, cristalloidi, plasma e appena possibile, si passa al monitoraggio della pressione venosa centrale. 
  • Un prelievo arterioso e venoso viene inviato in laboratorio. 
  • Un catetere deve essere introdotto in vescica e collegato all’urinometro
  • L’attività cardiaca viene monitorata. 
  • Le manifestazioni visibili (ematemesi, melena. enterorragia, risultato del sondaggio nasogastrico) permettono la distinzione tra emorragia alta (sopra al Treitz) e bassa. 
  • La raccolta dell’anamnesi e l’obiettività permettono quasi sempre di sospettare una delle 4 casuse indicate nella epidemiologia. Nei soggetti anziani e/o cardiopatici, nell’ambito della stabilizzazione emodinamica è molto importante tener conto della funzione cardiaca per non ritriovarsi con un buon ematocrito e una pompa inefficiente. 
  • Lo svuotamento  dello stomaco dai coaguli è molto importante per eseguire la gastroscopia e per contrastare l’iperammoniemia. Quello del colon è molto più indaginoso e di solito viene rimandato a meno che la colonscopia non debba essere eseguita con urgenza oppure se l’ammoniemia rappresenta un problema. 
  • Se il malato è stato a lungo in condizioni di shock è importante documentare i parametri di necrosi. 
  • Appena le condizioni lo permettono si deve eseguire l’esofagogastroduodenoscopia (EGDS), anche se si ha l’impressione di una emorragia bassa. L’esperienza insegna che talora l’enterorragia è semplicemente dovuta al rapido transito attraverso l’intestino, pur essendo la lesione alta. Nelle emorragie alte la diagnosi viene precisata. Accertata la sede, se il sanguinamento è in atto, l’endoscopista può eseguire manovre emostatiche (cauterizzazione, infiltrazione con adrenalina, apposizione di elastici emostatici) che possono risultare soddisfacenti oppure no. Il giudizio di efficacia si basa sul cointrollo clinico ed ematologico e, eventualmente, sulla ripetizione della endoscopia nei giorni successivi, durante la quale le manovre emostatiche possono essere reiterate. Dal punto di vista generale si deve utilizzare tutte le risorse per portare alla norma i parametri funzionali ed ematologici.  Se le procedure endoscopiche e conservative in genere non sono risolutive è importante evitare di consumare tutte le riserve del paziente e, sulla base della diagnosi endoscopica, pianificare un intervento chirurgico come urgenza differita.
  • La casistica più impegnativa è quella dei sanguinamenti da varici esofagee nei cirrotici. In questi casi, un aiuto in più nel controllo dell’emorragia, può derivare dall’utilizzo della sonda di Blakemoore, quale palliazione immediata in attesa dell’endoscopista, sia in prima battuta sia in caso di risanguinamenti precosi dopo emostasi endoscopica. In questi malati è utile, per prevenire l’encefalopatia porto-cavale, la liberazione dell’intestino dal sangue per mezzo di clisteri e lassativi. Il monitoraggio dell’ammoniemia è indispensabile. La prognosi si basa sulla valutazione della funzione epatica residua.
  • Se l’EGDS è negativa e la stabilizzazione difficile e si suppone pertanto che la perdita continui, si deve eseguire la colonscopia d’urgenza. Essa risulta sempre indaginosa perchè è difficile ottenere rapidamente un colon pulito. 
  • Se non si riscontrano lesioni coliche sanguinanti si deve ricorrere alle arteriografie che dovrebbero essere selettive della mesenterica e del tronco celiaco Queste dimostreranno l’emorragia come spandimento intraluminale soltanto se la portata del sanguinamento è alta e se l’intestino è relativamente vuoto. Il caso si osserva raramente. In emergenza anche la dimostrazione di malformazioni vascolari potenzialmente sanguinanti nel lume è rara. In tali evenienze entra in gioco il chirurgo che ad addome aperto può trovarsi in notevole difficoltà a stabilire la sede di sanguinamento in assenza di lesioni palpabili. 
  • La scintigrafia con emazie marcate è molto poco diffusa. Inoltre la intensa captazione da parte del fegato e della milza oscura tutto l’alto addome. 
Fortunatamente in molti casi  le condizioni del malato raggiungono un equilibrio che, seppure pericoloso, concede tempo per preparare l’intestino ed eseguire gli stessi esami in condizioni migliori. 
 
 
Cenni di terapia chirurgica

In chirurgia di emergenza è certamente meglio attenersi alla semplice emostasi. In qualche caso è obbligatorio aggiungere altre procedure, per esempio una piloroplastica per un ulcera stenosante che ha  sanguinato o che sta sanguinando. Nel caso di neoplasia maligna l’emostasi richiederà quasi sempre una resezione ma è da escludere la possibilità di eseguire immediatamente la chirurgia oncologica. 
In urgenza differita nel caso di malattia peptica ci si dovrebbe comportare come in chirurgia di elezione. Lo stesso dicasi per i tumori, tuttavia si tratta di generalizzazioni che hanno poco valore. Nel sanguinamnto da varici da ipertensione portale si hanno a disposizione due interventi, decompressivo e diretto sulle varici. Il primo può essere assolutamente controindicato dall’assenza di riserva epatica. Se la scelta è possibile giuoca molto l’esperienza personale. Io pratico la deconnessione con stapler, col controllo endoscopico immediato delle varici sia esofagee che gastriche. 
 
 

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Approfondimenti 
La esofago-gastro-duodenoscopia, le ulcere peptiche sanguinanti, il trattamento dello shock emorragico. 
 

 



 

 

 Lezione 2 
Peritoniti 
 

Questa lezione di chirurgia d’urgenza per gli studenti dell’ultimo anno di corso, riguarda la distinzione tra peritonismo e peritonite,  il dolore nella sindrome peritonitica, i parametri per controllarla e infine, alcune nozioni di trattamento.  
 
  

Peritonismo e peritonite

Che differenza c’è tra peritonismo  e peritonite. Uno studente che frequenti una corsia di chirurgia generale sentirà spesso la frase “Questo malato ha solo un poco di peritonismo”  con riferimento  a un malato operato da qualche giorno all’addome e che per il resto va bene.   

Un paz. ha avuto un trauma contusivo all’addome, non ha problemi emodinamici, ha solo un po' di dolore addominale, un po' di meteorismo nella radiografia a vuoto dell’addome, nulla alla TAC: il chirurgo nota una certa difesa addominale e dice “Per ora è solo un po' di peritonismo,  controlliamolo tra una mezz’ora”. Dopo mezz’ora nota che il polso è accelerato, il viso è pallido, il naso affilato e allora dice “Questa è una peritonite, portiamolo in camera operatoria”.  
Allora possiamo affermare Peritonite = Peritonismo + facies ippocratica   oppure Peritonite = peritonismo +  sepsi. Dal punto di vista del riflesso viscero peritoneale di difesa,  Peritonite = Peritonismo.  

Il riflesso viscero-peritoneale 
 
Nella peritonite (come nel peritonismo) il  meccanismo fisiopatologico che origina i sintomi è il riflesso di difesa viscero-peritoneale. Esso è l’espressione evoluta di un riflesso presente in tutti i viventi dotati di un tubo digerente, il riflesso intestinale inibitore, che si manifesta come arresto momentaneo della peristalsi  a fronte di uno stimolo nocivo.  

Il riflesso di difesa viscero peritoneale è un riflesso che coinvolge  sul versante afferente le fibre somatiche delle radici dei mesi e della parete addominale.  

Il dolore che ne risulta è di tipo somatico, cioè ben localizzato. Il  versante efferente ha due vie, una somatica di contrattura della muscolatura striata addominale e una viscerale di inibizione della muscolatura liscia dei visceri dell’addome. Il sintomo somatico che ne risulta, palpabile e talora visibile, è la contrattura della parete addominale. 

Abitualmente questa si associa a inibizione dei riflessi cutanei, a iperestesia e iperalgesia. Queste associazioni sono importanti e vanno ricordate perchè possono essere l’unico sintomo del riflesso peritonitico se il soggetto ha una muscolatura addominale ridotta o distesa (anziani, bambini, gravide, defedati). 

Quando il riflesso è in atto il malato non riesce a muovere la muscolatura addominale e il respiro tende a diventare di tipo toracico
L’esperienza ci ha insegnato a riconoscere segni che sono sempre indicativi del riflesso peritoneale. Il più comune è il segno di Blumberg.  Nel piccolo bambino che piange e non si lascia toccare l’addome un equivalente è il segno del calcagno (nelle forme appendicolari  il piccolo si porta le mani all’addome se si picchia una volta con il martelletto il calcagno delle gamba destra estesa). 

Il sintomo viscerale è l’assenza di peristalsi, il silenzio di tomba degli antichi clinici,  con arresto dell’emissione dei gas e meteorismo. Oggi aggiungiamo (con la radiografia a vuoto dell’addome), l’ansa sentinella, i livelli idroaerei disordinati (sono ordinati nell’occlusione intestinale meccanica). Qui è necessario introdurre una eccezione a quanto abbiamo detto circa l’identità tra peritonite e peritonismo in termini di riflesso viscero-peritoneale: è difficile che un semplice peritonismo origini un livello idroaereo, anzi direi di non ricordarne neanche un caso.  Livello idroaereo significa peritonite (o occlusione). Naturalmente fa eccezione il livello idroaereo fisiologico dello stomaco. 
 
 

Peritonite e shock
 
La quantita di liquido intracellulare che viene trasferita nel lume intestinale tende a realizzare uno shock ipovolemico e  rende ragione della facies ippocratica (naso affilato, occhi infossati,  lingua arida, pallore, narici alitanti).  Il passaggio nel cavo peritoneale del contenuto intestinale (per filtrazione o perforazione) determina lo shock settico delle peritoniti. 
Il dolore viscerale e quello riferito 
 
La valutazione del dolore addominale richiede di avere ben chiari gli altri due tipi di dolore osservabili, quello viscerale e quello riferito.  Il dolore viscerale, lo ricordiamo dalla fisiologia è veicolato dalle fibre amieliniche ed è  vago e  impreciso. 

E’ il dolore delle comuni coliche che il malato indica sulla linea mediana quando l’origine è intestinale e sulla linea lombo inguinale  quando l’origine è renale o tubarica. 

L’esperienza (e anche esperimenti in volontari) suggeriscono che tale dolore sia provocato dalla distensione dei visceri cavi. Infine il dolore riferito. 

L’esempio più tipico non riguarda l’addome bensì il cuore: nell’ischemia miocardica il dolore è tipicamente “riferito”  alla tabacchiera anatomica.  Nell’ischemia della parete posteriore del ventricolo sinistro il dolore può essere riferito all’epigastrio.  Altri dolori addominali riferiti possono osservarsi nelle pleuropolmoniti. 

La caratteristica  del dolore riferito è la sua variabilità, un momento c’è, l’altro non c’è.  Nella evoluzione di un’appendicite acuta in sede pelvica si possono osservare tutti e tre i dolori. All’esordio un dolore viscerale che il soggetto indica nell’epigastrio. Più tardi il dolore  riferito al metamero cutaneo corrispondente alla appendice e cioè al quadrante inferiore destro dell’addome.  Infine, nella fase flemmonosa,  il dolore somatico in sede sovrapubica o  perineale se l’appendice è nel cavo del  Douglas. 
 
 

Parametri di monitoraggio, leucocitosi  e peritonite
I parametri con cui si segue una peritonite (o meglio le condizioni del malato operato per peritonite) sono clinici, di laboratorio e radiologici. 

I parametri clinici sono stati discussi sopra seppure da un punto di vista fisiopatologico. In pratica in una cartella si annota la temperatura ascellare e rettale, la “facies”, il tipo di respiro, la trattabilità dell’addome, il Blumberg, la presenza dei riflessi addominali, l’iperalgesia, l’iperestesia,  il meteorismo, i rumori peristaltici,  il passaggio dei gas. L’ascoltazione delle basi polmonari e l’esplorazione rettale o vaginale devono essere annotate. La diuresi è un parametro fondamentale che nella fase di shock deve essere registrata su base oraria. 

L’esame di laboratorio più importante è dato dai globuli bianchi in quanto parametro a variazione rapida. In un soggetto normalmente reattivo la presenza di pus ovunque nell’organismo scatena una immediata leucocitosi che nelle appendiciti, salpingiti, colecistiti purulente, perforazioni viscerali, necrosi di visceri addominali raggiunge e supera il valore di 20.000 per ml. Subito dopo l’asportazione del viscere se il cavo peritoneale è appena irritato la leucocitosi cade. 
Dopo toilette di una peritonite purulenta diffusa il calo è più graduale e una risalita deve far sospettare una ripresa di focolaio suppurativo. In relazione allo shock ipovolemico sono importanti i dati dell’emocromo  e degli elettroliti plasmatici per le eventuali correzioni. 

L’emogasanalisi è importantissima per evidenziare all’esordio le complicanze polmonari da ipoventilazione e per trattare tempestivamente gli squilibri acido-basici. 

L’esecuzione della radiografia a vuoto dell’addome è indicata periodicamente ma in certi casi va ripetuta dopo poche ore (ad esempio per evidenziare come immagine invariante un’ansa necrotica).La radiografia del torace può essere necessaria giornalmente. 

Trattamento e prognosi
 
Il trattamento di una peritonite settica è chirurgico di principio e deve essere eseguito nel minor tempo possibile. 
Affermazioni in auge 40 anni fà del tipo “se una appendicite acuta data da più di 24 ore è meglio che venga trattata conservativamente”  sono decadute. 

Delle 9 forme cliniche di appendicite acuta registrate da Mondor (appendicite acuta catarrale, flemmonosa, gangrena appendicolare, ascesso appendicolare, peritonite purulenta da perforazione, setticemia appendicolare,  piastrone appendicolare, perforazione in due tempi, perforazione in tre tempi) solo il piastrone appendicolare di vecchia data  può porre delle alternative di timing chirurgico in relazione a una quota di ileo misto da detendere opportunamente prima dell’operazione. 

La prognosi è in relazione allo stadio della peritonite. 
Se questa è solo irritativa  o più propriamente se si tratta per esempio di un focolaio suppurativo con peritonismo e il focolaio viene abolito la prognosi è buona. 
Se si opera tempestivamente un ascesso appendicolare o una gangrena dell’appendice generalmente non si usa drenaggio. Si dice infatti che il peritoneo si difende bene. 
Se esiste uno stato di peritonite  suppurativa diffusa la prognosi deve essere prudente, anche se la sua causa viene abolita. 
Se esiste una shock settico la prognosi deve essere riservata.   I malati anziani, i cardiopatici e i soggetti defedati sono i più sensibili allo shock della peritonite. 

Approfondimenti 
Le peritoniti chimiche, le peritoniti batteriche primitive, l’ascesso sottofrenico, la peritonite nei dializzati peritoneali, la peritonite in gravidanza. 
 


 

 Lezione 3 
Occlusione intestinale meccanica 
 
 
L’occlusione intestinale è stata la malattia chirurgica che ha mietuto più vittime di tutte fino alla adozione del sondino di di Miller Abbot per contrastare la distensione intestinale. La mortalità che era del 70% all’inizio del secolo, è calata al 7 % negli anni 40.  I progressi dell’anestesia (intubazione), della terapia infusionale per la disidratazione e gli antibiotici hanno fatto il resto. 

Diamo per scontato le nozioni derivanti dalla  fisiopatologia che distingue le occlusioni alte da quelle basse e le occlusioni con e senza strangolamento e, più in generale, con o senza fenomeni di parete. 
 
 

Epidemiologia
 
L’epidemiologia della occlusione intestinale è collegata all’età. 
  • Nel neonato l’occlusione e causata da malformazioni (pancreas anulare, mancata rotazione intestinale, atresia anale) e dall’ileo da meconio. 
  • Nella prima infanzia dal megacolon e dall’intususcezione ilocecale. 
  • Negli adolescenti dal diverticolo di Meckel, specie se è attaccato alla parete da un residuo di meso. 
  • Nell’adulto fino a 50 anni la causa principale di occlusione  è data da pregressi interventi chirurgici (colecistectomia, appendicectomia, interventi sugli annessi) in quanto causa di briglie. 
  • Nell’anziano le cause sono i tumori, il volvolo, gli strozzamenti erniari, l’ileo biliare e il fecaloma. Il fitobezoar negli psicopatici, il corpo estraneo ileale o dell’ampolla sono un po' le curiosità di questo argomento. 
 
Sintomatologogia
 
Alle distinzioni eziologiche e/o fisiopatologiche di gran parte delle forme di occlusione sopra elencate corrisponde sovente un contesto clinico e sintomatologico peculiare.  Si rimanda pertanto ai singoli capitoli della patologia chirurgica. 

Mi limito a spendere qualche parola per descrivere la  colica addominale occlusiva con le sue principali varianti.  Il dolore, di tipo costrittivo, insorge gradualmente, raggiunge un acme  che dura  qualche diecina di secondi, poi si attenua  fino a  scomparire per 5-10 minuti. Ogni volta il malato pensa di essere guarito. Il dolore è riferito spesso alla linea mediana ma anche alla sede della ostruzione e si accompagna a movimenti intestinali che il soggetto avverte nettamente. 

Con lo stetoscopio si ascoltano gorgoglii, si stimolano borborigmi e talora rumori di sprizzo attraverso un restringimento. Rispetto ai fumori peristaltici fisiologici  quelli dell’occlusione sono più frequenti, più intensi e caratterizzati da un intenso timbro metallico 

Talvolta è dato di vedere e/ o di palpare la tumefazione creata dall’onda di iperperistalsi. Questo è tipico dell’ostruzione da megacolon. 

L’addome, tra una crisi e l’altra, non mostra segni di irritazione peritoneale; è invece presente guazzamento e il malato non passa  gas.  Il liquido sequestrato nelle anse occluse viene sottratto al comparto extracellulare con possibilità di shock ipovolemico. Nelle ostruzioni alte il vomito di materiale ileale è la regola. 

Segue  meteorismo e poi distensione. In questa fase si rendono transitoriamente manifesti fenomeni di parete (contrattura riflessa, assenza dei riflessi cutanei, iperalgesia, iperestesia, respiro toracico), poi la stessa distensione rende difficile evidenziare la contrattura. 

Questo segna l’inizio dello shock tossinfettivo per perdita della impermeabilità delle anse. Nelle forme con strangolamento  i fenomeni di parete si manifestano sin dall’esordio. Nelle ostruzioni basse il riassorbimento dei succhi enterici  dilaziona o annulla la distensione. L’occlusione paradossa da fecaloma dell’ampolla rettale può, in famiglia ma anche negli ospizi, decorrere per mesi come “incotinenza fecale”. 

 

Diagnosi e trattamento
 
La diagnosi di occlusione intestinale  viene sospettata clinicamente e accertata dal reperto di livelli idroaerei nella lastra a vuoto dell’addome. 

Nelle occlusioni del sigma retto i livelli possono essere assenti e la diagnosi in positivo richiede l’esecuzione di un clisma opaco con dimostrazione del livello di stop. Nei vecchi non è raro che l’esame dimostri  assenza di ostacoli distalmente al segmento disteso (m. di Ogilvie, pseudo ostruzioni da sclerodermia, da miopatie). 
In linea generale oltre alla diagnosi di occlusione è imperativo stabilire l’esistenza o meno di fenomeni di parete che rendono indispensabile un intervento di emergenza. 

L’assenza del riflesso visceroperitoneale concede tempo e in molti casi il trattamento medico sintomatico associato alla introduzione di un sondino a mercurio (Miller Abbot) risolve il quadro occlusivo. 
Questo è molto importante da un punto di vista generale, perchè operare un malato con le anse distese  è assai più indaginoso e può obbligare a una detensione chirurgica potenzialmente inquinante. 

Nei tumori la detensione permette di eseguire una  terapia chirurgica che tiene conto delle norme oncologiche. In questi casi l’intervento è preceduto da una tac e/o da una ecografia a cui segue una colonscopia con biopsia. 

Recentemente per la stadiazione delle neoplasie del retto si è aggiunta la ecografia transluminale. Ovviamente vengono determinati i livelli dei marker tumorali dell’intestino. In casi particolari la diagnosi chirurgica richiede altri presidi quali il clisma del tenue,  il rettogramma defecatorio, la biopsia della parete muscolare del retto, lo studio del riflesso anale inibitore. 

Gli interventi per occlusione sono la adesiolisi, la resezione di briglia, l’estrazione di corpo estraneo, la plastica alla Mikuliz, la resezione con anastomosi, l’anastomosi bypassante l’ostruzione,  l’ano terminale con affondamento del moncone distale con resezione immediata o dilazionata, l’ano a doppia canna e la cecostomia ovviamente tralasciando l’elencazione degli interventi oncologici, per megacolon, malformazioni etc. 

Approfondimenti 
L’intususcezione del bambino, il megacolon dell’adulto, lo strozzamento erniario, la distinzione tra ileo meccanico e ileo paralitico, la traslocazione batterica, l’intubazione intestinale con sonda di Miller-Abbot, le pseudo ostruzioni. 
   
 


 
 
 Lezione 4 
Politraumatizzato 

Si tratta di un capitolo recente di nosologia chirurgica, messo a punto negli ultimi 30 anni, caratterizzato dal problema organizzativo di coordinare tempestivamente tutte le attività richieste dal politrauma e da quello clinico di stabilire, in ogni singolo caso, la priorità delle varie procedure richieste dalla terapia. 

Si aggiunge generalmente anche l’argomento delle catastrofi, che trascende l’organizzazione del personale medico, al quale è affidata in loco l’operazione cosidetta di “triage”, consistente nel classificare  e etichettare rapidamente  secondo determinati standard i vari tipi di infortunati in modo che l’attività dei soccorritori venga orientata con la massima efficienza in termineìi di destinazione delle risorse  rianimatorie e di trasporto negli ospedali coinvolti. 
Sotto l’aspetto della chirurgia d’urgenza abbiamo aggiunto alle conoscenze tradizionali la consapevolezza che, con una organizzazione e con la disponibilità in emergenza di una tecnologia adeguata, è possibile non solo fare presto e bene, ma anche essere specificamente selettivi e conservativi. 
 

Epidemiologia 
Si tratta per lo più di soggetti in età lavorativa. La cause più frequenti sono gli incidenti stradali (60%), seguono le aggressioni, con maggiore frequenza da arma bianca, gli incidenti domestici (7%) e quelli sul lavoro (6%). 
Queste percentuali variano notevolmente col tempo e col luogo dando materia di considerazione sociologica e politica. 

Per definizione il politrauma è quello grave, che indirettamente coinvolge il distretto respiratorio e circolatorio, tipicamnente polidistrettuale. 

Ai fini della classificazione delle lesioni traumatiche p.d. ci si riferisce a 6 distretti:

  • testa e collo
  • faccia
  • torace
  • addome e bacino
  • estremità e bacino osseo
  • cute
e a 6 gradi di gravita'
  • 1-minore
  • 2-intermedio
  • 3-grave
  • 4-grave con pericolo di morte
  • 5-grave con sopravvivenza incerta
  • 6-morte inevitabile. 
 
L’ISS corrisponde alla somma dei tre valori più gravi elevati al quadrato
  • Sotto 10 la mortalità è praticamente assente
  • sopra i 50 la sopravvivenza è eccezionale
  • a 16 il trauma è grave.. 
Una lesione di milza con frattura cranica e di un arto corrisponderebbe  a 17 punti (9+4+4) oppure a 24 (16+4+4). Convenzionalmente si intende grave un trauma con ISS pari o superiore a 16. Nelle varie casistiche la mortalità percentuale per trauma polidistrettuale è 3-4 volte maggiore rispetto a quella per trauma monodistrettuale. 

I distretti più colpiti sono nell’ordine  torace (60%), addome (50%), arti (40%) e il capo (20%). 
I traumi gravi sono polidistrettuali nel 70%. L’associazione più frequente è quella torace-addome , la più bassa testa-arti. La mortalità è stata rapportata alla gravità distrettuale dimostrando una incidenza doppia rispetto a quella degli altri distretti. 
 

Patologia
Dati da Boccelli S., Decisioni drammatiche .....Sem. Colorno 1992 
 
    Cranio: 
    • contusione cranica 23%
    • frattura 22%
    • contusione cerebrale 16%
    • ematoma subaracnoideo 13%
    • ematoma subdurale 23%. 

    Torace: 

    • lesioni costali 495
    • emopneumotorace 23%
    • contusione polmonare 2%
    • lacerazione polmonare 15
    • lacerazione del diaframma 9%. 

    Addome:

    • milza 39%
    • fegato 28%
    • rene 13%
    • colon 11%
    • tenue 9%
    • stomaco 7%
    • vescica 3%
    • grossi vasi 3%
    • pancreas 2%. 

E’ interessante notare che le lesioni in due tempi degli organi parenchimali sono diminuite in modo notevolissimo certo per il motivo che con la diagnostica attuale il cosidetto “intervallo libero” ha perso rilievo. 
 
 

Trasporto e ammissione 
 
Il trattamento corretto inizia virtualmente con l’addestramento dei soccorritori, in quanto l’esito delle terapie d’urgenza è condizionato dall’efficieza del soccorso immediato. Quella che potrebbe essere una semplice commozione cerebrale, se il soggetto non viene posto in condizioni di respirare liberamente (rimozione di ogni ostacolo nel naso e nella bocca) può diventare anossia cerebrale e quindi coma semza altra lesione se non l’edema cerebrale e l’ernia uncale. I soccorritori devono disporre di un aspiratore e saperlo usare e saper sistemare una cannula orofaringea. Devono saper sospettare le fratture di colonna e tasportarle in estensione, devono saper mettere i lacci e tamponare le ferite sanguinanti. 

L’abc nel pronto soccorso è finalizzato alla stabilizzazione delle condizioni emodinamiche ai fini della diagnosi e della corretta terapia ed è certamente una delle conquiste della anestesiologia perchè è da questa branca che derivano i rianimatori e i soccorritori. 
L’abc che deriva dall’inglese 

    airway
    breathing
    circulation 
si riferisce alla immediatezza del soccorso che deve liberare le vie aeree, far respirare il malato e assicurare la perfusione degli organi. La terapia immediata è quella dello shock traumatico, in cui si deve stabilire la componente ipovolemica, quella neurogena e, nei soggetti anziani, cardiogena. 

Di pari passo alle manovre rianimatorie si deve valutare il polso, il riempimento capillare, il turgore giugulare, i movimenti respiratori e la risposta agli stimoli. Le lesioni visibili devono essere inventariate. 

Un pneumotorace iperteso deve essere riconosciuto e trattato all’istante, i sanguinamenti esterni tamponati. 

L’accesso venoso centrale e la somministrazione salina o di plasma expander segue al controllo della ventilazione. In questa primissima fase ci si deve render conto se il trauma ha compromesso una delle funzioni vitali (esempio colpo d’arma da fuoco all’addome, al torace o alla base del collo con anemia acuta o pneumotorace iperteso o tamponamento pericardico). In questi casi si deve allertare la camera operatoria pensando di operare il malato entro 5-10 minuti. 

Qualche malato è stato salvato da un intervento  “sporco” eseguito nello stesso pronto soccorso per praticare un emostasi clampando un vaso o addirittura l’aorta fin tanto che, in camera operatoria, non  interviene l’equipe chirurgica. 

Il più delle volte le manovre riabilitatoria migliorano notevolmente lo stato del malato e ne stabilizzano iparametri vitali. 

Devono essere disponibili nell’immediato i seguenti esami: emocromo, radiografia del torace, emogasanalisi, ecg.  Col trattamento inizia la monitorizzazione che comprende il polso, l’ecg, la pvc, l’urometria e la ripetizione dell’emocromo e dell’emogas. 

L’esame neurologico deve essere completato appena possibile. Lo stomaco deve essere sondato e se il malato ha appena mangiato è opportuno liberarlo con una gastrolusi. 

La rianimazione efficace è quella che permette la sutura delle ferite superficiali, la immobilizzazione temporanea delle fratture evidenti, il trasferimento in radiologia del traumatizzato per la esecuzione di tutte le radiografie e delle tac e delle arteriografie indicate, l’eventuale toracentesi e/o paracentesi e, da ultimo il consulto coi vari specialisti. 

Un ruolo speciale è quello  della Rnm (lesioni midollari), della ecografia transesofagea (lesioni cardiache e aortiche). Le procedure nel loro insieme non devono essere oziose, il loro fine è quello di inventariare tutte le lesioni, specificarne se possibile il tipo, stabilire quelle che necessitano un trattamento chirurgico e, tra di esse, convenire la priorità. 

Recentemente hanno assunto importanza anche la toracoscopia e la laparoscopia, se non altro in alternativa alla esplorazione chirurgica di principio nelle ferite penetranti. 

Alcune delle procedure esopraelencate possono avere una immediata valenza terapeutica (l’arteriografia nelle lesioni dei visceri panrenchimatori, la lapro e/o toracoscopia per rimuovere versamentie /o coaguli, per  eseguire elettrocoagulazioni).Il contenuto di questo paragrafo è il concentrato della teoria e della prassi corrente sul politrauma e il riferimento di valutazione della organizzazione e della attrezzatura di un ospedale al passo dei tempi. 

Un terzo tipo di traumatizzato è quello in cui le consequenze del trauma, ancorchè gravi, riamngono clinicamente occulte, per esempio un ematoma del fegato o della milza. Sono i casi che, più di tutti, si prestano al trattamento conservativo. 

Un vecchio concetto tuttora valido è che, se un intervento è necessario esso deve essere eseguito entro le “ore d’oro”, che sarebbero 6 a partire dal trauma.

A parte il dissanguamento che, da qualunque parte avvenga, deve essere trattato subito, la priorità dell’addome raramente è messa in discussione perchè i decessi tardivi (dopo una diecina di giorni dal trauma) sono quasi tutti imputabili a sepsi di origine addominale. E’ certo che  la associazione di una lesione addominale dei visceri cavi a un ematoma intracranico con uno stato confusionale non registrato in ammissione metterebbe a dura prova i chirurghi. 
 
 

Evoluzione 

Sia che si abbia eseguito un intervento, sia che si sia scelta la linea conservativa, il monitoraggio è essenziale in relazione proprio alla definizione di politrauma. Si deve cogliere immediatamente il segno che può indicare una lesione misconosciuta, una evoluzione indesiderata di una conosciuta. Penso alla evoluzione delle ferite dei visceri parenchimatosi in cui si è scelto il trattamento conservativo. Qui il monitoraggio ecografico ha un ruolo importante. 

L’ecografia ha un ruolo anche nel controllo dei versamenti. 

E’ certo che nella fase evolutiva si paga il prezzo di una eventuale compromissione polmonare, del tipo polmone da shock,  avvenuta nella prima fase. Conti più tardivi, sempre in relazione a deficit perfusionali nella fase di shock possono essere presentati dal rene (anuria, DIC), dal fegato (ittero), dal tubo digerente (sanguinamenti da ulcere). 

Nella fase tardiva il pericolo maggiore è quello della sepsi, gerneralmente di origine addominale, che è la maggiore respondabile della mortalità tardiva.  L’eliminazione delle raccolte e delle necrosi e sopratutto l’alimentazione (enterale, parenterale) sono la prevenzione più efficace. La profilassi antibiotica deve essere iniziata dall’ammissione con antibiotici a largo spettro e proseguita, se possibile in forma mirata, sulla base della cultura delle secrezioni, degli agoaspirati, della punta dei cateteri centrali. Gli interventi o i reinterventi tardivi  per complicanza dell’intervento eseguito o evoluzione non desiderata di una lesione trattata conservativamente, segnano spesso il progressivo peggioramento del malato diventato anergico. La malattia tromboembolica   contribuisce significativamente alla mortalità. Nelle fratture degli arti inferiori e nelle lesioni del bacino la profilassi eparinica è obbligatoria. 

Il politraumatizzato impegna tutte le risorse dell’ospedale. Nella fase di ammissione il ruolo principale è quello del chirurgo generale  e dell’anestesista rianimatore, in seguito tutte le specialità possono venire coinvolte. 

Argomenti collaterali, approfondimenti: traslocazione batterica, alimentazione artificiale, shock emorragico, ulcera da stress, DIC, rene da shock, diagnosi di trombosi profonda, diagnosi di embolia polmonare, prevenzione dell’embolia, trattamento dell’embolia polmonare, arresto cardiaco nello shock emorragico, quale ruolo per l’arteriografia nei traumi del fegato e della milza. 
 


 

 

Lezione 5 
Pancreatite acuta 
 
 
Generalità, epidemiologia 
 
Qui si intende parlare della pancreatite acuta grave, cioè quella che esordisce con dolore e shock. 

Lo shock di origine pancreatica ha due radici. 
 

  • La prima è di tipo ipovolemico causato da una grave perdita  di liquidi nel pancreas, nella sua loggia, nell’emiaddome superiore e, infine, in tutto l’addome e nel retroperitoneo. 

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  • La seconda è dovuta alla diffusione nel circolo ematico di enzimi proteolitici di origine pancreatica. A livello della cellula pancreatica esiste un meccanismo di attivazione/inibizione enzimatica che viene sconvolto dalla pancreatite con l’effetto di liberare gli enzimi attivi nel sangue. 

Nei tessuti e nel plasma esistono altri inibitori delle proteasi di cui è dimostrata la caduta (per consumo) nel corso delle pancreatiti acute. 

L’effetto degli enzimi sugli organi configura la “multiple organ failure”. Il polmone, il rene, lo stomaco, e il sistema coagulativo sono nell’ordine i distretti più colpiti. A livello locale le lesioni vanno dal semplice edema pancreatico e peripancreatico, ai focolai necrotico-emorragici, discreti, diffusi o confluenti. 

Talora si verificano vere e proprie emorragie che distendobo la retrocavità degli epiploon. Un evento abbastanza costante è la saponificazione delle aree di necrosi con apparenza di macchie di cera nelle quali precipita il calcio la cui concentrazione ionica nel plasma cade al di sotto dei valori fisiologici. Almeno 9 volte su 10, spontaneamente o per l’effetto della terapia il quadro emodinamico si attenua. 

Per contro la morfologia delle alterazioni pancreatiche che all’esordio si limitano a una semplice tumefazione della ghiandola acquistano caratteristiche  radiologiche compatibili con versamenti,  cisti  e  zone di necrosi . Con terminologia impropria il radiologo descrive anche “flemmoni” peripancreatici. Talvolta il divario tra l’entità delle alterazioni locali e la scarsità di fenomeni generali è stridente. Tuttavia si deve sempre temere l’infezione delle lesioni, segnata dai sintomi di sepsi e dal peggioramento del quadro clinico con scarse modifiche di quello radiologico. 

La pancreatite acuta ha tradizionalmente tre tipi di eziologia

  1. canalicolare
  2. metabolica 
  3. virale (da virus parotitico)
  4. oltre al trauma pd e quello chirurgico, la ERCP, le malformazioni canalicolari, i tumori e i calcoli ostruenti il canale di Wirsung, l’iperlipoproteinemia, gli anticoncezionali, le vasculopatie, le immunopatie e l’età avanzata. 

Tenendo conto solo delle prime due cause, possiamo dire che la pancreatite acuta è una malattia che colpisce sopratutto dopo la 4^ decade e le donne più degli uomini. 

Questo è certamente in relazione al fatto che la litiasi biliare, in quanto causa più frequente della pancreatite di origine canalicolare, segue lo stesso trend.  All’origine delle pancreatiti metaboliche  si indica sopratutto l’alcolismo, l’obesità e l’iperlipoproteinemia. Un pasto copioso è sovente la causa scatenante. 
 

Diagnosi e diagnosi differenziale 

Il dolore della pancreatite acuta è avvertito in zona epigastrica con irradiazione posteriore. 
E’ intensissimo, associato a ipotensione e tachicardia.  e il malato sovente  ha la sensazione di morte imminente. 

All’esordio i sintomi non sono distinguibili da quelli dell’infarto della parete posteriore del ventricolo sinistro e da quelli dell’aneurisma addominale in fase di rottura. Il paz. si presenta pertanto come un’emergenza rianimatoria. 

L’esclusione delle due condizioni sopracitate richiede pertanto un ecg e un’ecografia addominale. L’anamnesi e l’obiettività possono mettere in evidenza  i fattori di rischio (alcolismo, calcolosi, obesità, pasto copioso). L’addome è vivamente dolente ma il riflesso viscero-peritoneale di solito è assente. Le ecchimosi cutanee sono anch’esse tardive. 

E’ presente meteorismo e molto spesso subittero. La routine  prevede l’esame emocitometrico, gli enzimi e l’emogasanalisi. Sono indicativi l’iperamilasemia con iperamilasuria, la leucocitosi, la positività della proteina C e, nei giorni seguenti, l’ipocalcemia. In positivo la diagnosi può essere posta solo con la ecografia o con la tac che dimostrano un ingrandimento della ghiandola pancreatica.  L’evoluzione radiologica può essere la restituzio, la necrosi, la formazione di cisti, cicatrici e calcificazioni. 

Dal punto di vista chirurgico la diagnosi richiede la identificazione della pancreatite canalicolare in quanto trattabile abbastanza semplicemente per via endoscopica. Il protocollo diagnostco si basa sulla ecografia (dimostrazione di una dilatazione delle vie biliari intraepatiche), sulla colangiografia retrograda (dimostrazione di un ostacolo di tipo litiasico) e sulla conseguente papillolitotomia. La manovra libera il malato dal dolore quasi immediatamente e il decorso assume generalmente un andamento favorevole. 

E’ imperativo eseguire la colecistectomia quando si reputa che la flogosi locale sia regredita, pena la non rara recidiva della crisi pancreatitica da migrazione di un altro calcolo. 

La terapia della pancreatite in quanto tale è uno dei capitoli più interessanti della storia della chirurgia. Per semplificare possiamo dire che, da sempre, si sono fronteggiati due indirizzi opposti, conservativo e aggressivo  La scoperta dell’amilasemia, che permise dagli anni ‘40 in poi  di diagnosticare un numero assai maggiore di pancreatiti acute, portò acqua ad entrambi i mulini. Gli interventisti potevano operare più malati, i conservativisti osservarono che  la gran parte delle iperamilasemie guarivano spontaneamente. Negli anni 60-70 i progressi della rianimazione, della terapia intensiva, dell’alimentazione parenterale  e dell’antibiotiocoterapia sembrarono per un periodo far virare la maggioranza dei chirurghi verso l’interventismo. 
Oggi sono rimasti interventisti i chirurghi francesi, i quali ritengono che l’asportazione delle aree di necrosi possa prevenire la sepsi. 
Per il resto si ritiene che la pancreatite acuta sia fondamentalmente una malattia emodinamica e il compito del chirurgo sia di fronteggiare le complicanze, con tanto più vantaggio quanto più queste si presentano tardivamente (emorragie, ascessi, pseudocisti compressive). 

Dal punto di vista pragmatico pertanto la pancreatite acuta deve essere trattata come uno shock ipovolemico. Si deve cercare di mantenere tutti i parametri nella norma, con infusioni saline e trasfusioni di sangue o plasma. 

L’alimentazione artificiale e la copertura antibiotica sono importanti. 

La digiunostomia alimentare è obbligatoria nel caso di intervento. 

Gli antidolorifici e l’analgesia spinale con catetere epidurale vanno usati al bisogno. Non sono dimostrati vantaggi dall’uso dei vari inibitori enzimatici disponibili e lo stesso dicasi per la somatostatina. Si è già detto della utilità, quando indicato, della papillolitotomia endoscopica. 

Le complicanze devono essere trattate dal chirurgo secondo i principi dell’arte. In casi eccezionali sono stati usati il lavaggio peritoneale e la laparostomia. 

Approfondimenti 
La laparostomia, la radiografia dell’addome a vuoto nella p.a., la nutrizione artificiale. 
 
 
 prof. Angelo Salvini
 spec. Chirurgia Generale
       e Urologia
 Dir. Div. Chir. Generale 1^
     Osp. S. Donato
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  Pagine a cura del Dott. M.Quarenghi