Quel buco nero chiamato Ideal Standard

Notizie sull'area (ex Ideal Standard) in cui dovrebbe sorge la famigerata centrale termoelettrica di Salerno, e probabilmente anche un termovalorizzatore. Come dire: un progetto che viene da lontano.
Saluti.
Simone Giuliano - 19 novembre 2005

 Il declino dell’area industriale di Salerno inizia alla fine degli anni ’80. La stura a quella che possiamo chiamare la cataratta speculativa avviene comunque con la delibera 264 del 25/11/94 del Consorzio Asi (ente competente per le aree di sviluppo industriale), atto mediante il quale l’ente aggiornava il piano regolatore territoriale dell’Asi di Salerno. Si prevedeva cioè per gli insediamenti industriali con meno di 250 dipendenti la possibilità di venire inclusi direttamente all’interno di una zona D4 (mista industriale e commerciale), ed era prevista altresì l’attività edificatoria mediante il riuso di capannoni dismessi. Il regolamento Asi porta comunque grane giudiziare ai suoi artefici, e tra gli altri anche all’allora neo-sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca. De Luca viene contestato per abuso d’ufficio dai pm Spiezia e Volpe a fronte del mandato conferito all’assessore Ricciardi sulla trattazione e gestione dei rapporti col Consorzio Asi – rapporti che si concretizzarono poi nella già citata delibera-variante – dal momento che la stessa delibera conferiva a molte aree Asi “una destinazione urbanistica diretta ad assecondare le destinazioni d’uso realizzate dagli operatori commerciali abusivamente insediatisi sul territorio ed in contrasto con le competenze del Consorzio Asi”.

A partire da quella data l’area industriale di Salerno di fatto diviene terra di conquista ancora più appetibile. Forse non a caso nel giro di pochi anni vengono (portati?) a morire numerosi stabilimenti che rappresentavano il fiore all’occhiello della città. E anche le mire della politica su grosse aree di caccia diventano ancora più stringenti, su pressione o in collaborazione di cordate e comitati d’affari vari. E’ anche così che vede la luce – non solo a Salerno, per la verità – una  concezione della politica che ricorda molto da vicino quella della vera e propria intermediazione d’affari, e se ne vaporizza ogni residua componente di organo di mediazione delle diverse istanze dei cittadini.

Ciò premesso, sarebbe tuttavia complicato comprendere le peripezie dei suoli ex-Ideal Standard di Salerno se focalizzassimo la nostra attenzione esclusivamente sul consueto paradigma sopra evidenziato, sia pure con le prevedibili variabili del caso specifico. Qui la faccenda appare da subito meno ordinaria. Alla volontà di dismettere da parte della proprietà si sarebbe dovuta infatti accompagnare immediatamente, da parte di terzi, quella di occupare il territorio reso vacante. E la questione si sarebbe così rivelata piuttosto semplice, né più né meno che altrove: per uno che parte c’è naturalmente qualcun altro che arriva, e – speculazioni varie o eventuali a parte – non sarebbe stato tanto poi difficile elaborare un accordo tra le diverse istanze in gioco. Ma nel ‘caso Ideal Standard le cose potrebbero essersi ulteriormente complicate a seguito di una terza via: un disegno già preparato per l’area, che non tollera elementi di disturbo e di cui chi parte e chi media potrebbero essere già a conoscenza. Questi tre intrecci potrebbero forse spiegare la natura di una speculazione – come quella avvenuta sui suoli Ideal Standard – senza dubbio raccapricciante, ma anche fin troppo maldestra per essere vera. E ora in quell’area – vicinissima al centro di Pontecagnano ma anche all’abitato di Salerno – dovrebbe sorgere una centrale termoelettrica da 780 MW.

Dopo il famigerato 1994 anche l’Ideal Standard riduce come tante fabbriche il suo organico, fino a contare 214 unità al momento della chiusura, annunciata l’11 luglio 1998. L’Ideal Standard di Salerno dismette comunque senza essere in perdita. Un disinvestimento a fronte di una crisi congiunturale del settore? Neppure, visto che alcuni mesi più tardi la multinazionale americana acquisisce in Italia il Gruppo Dolomite, con un investimento di 680 miliardi di lire. Strano in ogni caso che lo stabilimento annunci la chiusura in una conferenza stampa a sorpresa e senza che i sindacati (innanzitutto la Filcea-Cgil) organizzino un minuto di sciopero (la c.d. lotta intelligente). L’area (110.000 mq di terreni e fabbricati) viene ceduta l’11 novembre 1999 a una controllata del Consorzio Cecam srl costituitasi per l’occasione, la Sea Park spa, la società che avrebbe cioè dovuto realizzare il parco marino in cui reimpiegare i lavoratori Ideal Standard. Il prezzo è fissato in 1 miliardo e 650 milioni più l’IVA, e gli artt. 7 e 8 del contratto prevedono divieto di alienazione e limiti alla disposizione degli immobili per 5 anni a fronte del preciso impegno di ricollocazione dei dipendenti ex-Ideal Standard entro 2 anni, nell’ambito appunto del progetto Sea Park.

Il particolare che nell’intera vicenda non convince, sin dall’inizio, è un ulteriore vincolo imposto alla Sea Park: richiedere all’amministrazione comunale una variante urbanistica in un’area agricola nei pressi dello stadio Volpe, e ivi insediare la propria – mai realizzatasi – attività turistica. Dunque non all’interno dei suoli acquisiti dall’Ideal Standard; ed è davvero molto strano, anzi si direbbe paradossale. Asi, sindacati e amministrazione cittadina si sbracciano a più riprese dimostrando a parole la volontà di preservare ad ogni costo la destinazione industriale dell’area ex-Ideal Standard. Ma in più momenti si ha come l’impressione che siffatta area debba rimanere congelata per alcuni anni, in attesa di chissà cos’altro. Di fatto, forse non a caso, l’Asi boccia (2001) ogni tentativo di frazionamento dei 110.000 mq dell’area, soluzione che appariva allora – a ormai 2 anni dalla chiusura dello stabilimento, col progetto parco marino ancora in alto mare e senza che per i lavoratori si intravedessero spiragli concreti – tutto sommato il male minore. Né il sindacato, a quel punto, interviene prospettando ipotesi alternative alla dismissione, come pure era stato previsto nei primissimi e decisivi accordi. La vicenda dei suoli successivamente si complica ulteriormente, con miriadi di punti oscuri che in questa sede non è possibile analizzare come si dovrebbe. Ma facciamo intanto un passo indietro.

Nel febbraio del 1995 l’Asi proponeva al Comune di Salerno, quale principale tributario del bacino Salerno 2, di partecipare attivamente alla realizzazione di un termodistruttore. L’allora sindaco De Luca indicò come ulteriore partner l’allora Azienda del Gas, il cui presidente era Salvatore Memoli. L’impianto sarebbe dovuto sorgere nell’area di Battipaglia. Nel 1999 l’assessore all’ambiente Filomena Arcieri indicava per l’insediamento dell’impianto l’area industriale di Salerno, incappando nelle ire del sindaco De Luca. L’Arcieri si vedeva così costretta a ritrattare la proposta, e nel giugno 2000 così scriveva a Bassolino: “A seguito di approfondimenti tecnici ad opera degli uffici comunale preposti è emerso che la mera disponibilità avanzata da questa Amministrazione, a prendere in considerazione la possibilità di realizzare un impianto di combustibile da rifiuti nella zona industriale […], risulta totalmente incompatibile con gli insediamenti di natura diversa che si andranno a realizzare nella predetta zona (Sea Park, Finmatica)”. Guardacaso nessuno dei due insediamenti vedrà mai la luce, e così a torto o a ragione nel marzo 2004 il progetto termodistruttore rispunta fuori. La Filcea-Cgil – la stessa della lotta intelligente di cui sopra – se ne dimostra pressoché entusiasta. Negli stessi giorni Felice Marotta, presidente dell’Asi, parla esplicitamente della collocazione dell’impianto. Riporta il Corriere del Mezzogiorno (20/3/2004) sintetizzando la questione: “La prima ipotesi è relativa ad un contenitore industriale dismesso che si trova nell’area tra il Consorzio Agrario e l’Ideal Standard (dove dovrebbe sorgere anche centrale elettrica di Ansaldo), la seconda potrebbe prevedere un maxi-progetto nelle adiacenze dell’attuale depuratore industriale.”. Il sindaco De Biase, come riportato da tutti i giornali, dimostra di propendere in particolare per la prima delle due ipotesi. De Luca tace, ma parlano intanto due suoi fedelissimi, Marotta e De Biase, e non dimentichiamo che tra l’altro l’onorevole è membro della Commissione bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti. E’ un caso, ad ogni modo, che una delle aree individuate sia a ridosso dell’Ideal Standard e dei suoi 110.000 mq?

Ma anche il progetto della centrale termoelettrica nella zona industriale di Salerno tutto sommato non sembra nascere dal nulla, e di certo non nasce il 16 giugno 2003 assieme all’Energy Plus. Colpo di scena: già nel 1969 e poi nel 1971 era stato proposto dall’Enel l’impianto di una centrale termoelettrica nella zona industriale di Salerno. La centrale prevista, da 640 MW, nel 1969 venne dapprima guardata con favore e poi bocciata con fermezza; nel 1971 il Consiglio comunale e l’allora sindaco di Salerno Gaspare Russo (Dc) si opposero immediatamente alla riproposizione del progetto da parte dell’Enel, rigettando anche l’ipotesi di un impianto a metano. Nella storica delibera del Consiglio comunale datata 30 luglio 1971 si legge tra l’altro: “l’attivazione della centrale termoelettrica non può che provocare danni irreparabili all’ambiente paesaggistico ed al patrimonio artistico, archeologico e monumentale del Comune e degli altri limitrofi e rivieraschi”. E tutto questo si diceva nel 1971, quando l’area industriale di Salerno era davvero pressoché industriale, e la densità abitativa del circondario non raggiungeva certo i livelli odierni. Ma nel frattempo molte cose sono cambiate. Il Decreto Legislativo del 16 marzo 1999, n. 79 (c. d. decreto Bersani), relativo alla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, ha dato in Italia il via alla privatizzazione del mercato dell’energia elettrica. A farci caso si tratta dello stesso periodo in cui a Salerno si realizza la dismissione dell’Ideal Standard. Che a qualcuno sia ritornata proprio in quel periodo in mente la vecchia idea del 1971? E ora? Verranno davvero realizzati entrambi i progetti in un’area così densamente popolata? La centrale termoelettrica è forse una variante-complemento del termodistruttore? Francamente è anche per questo motivo che non possono non destare stupore affermazioni di natura simile a quelle che l’onorevole De Luca fa a Lira Tv il 27 giugno 2003, appena 11 giorni dopo la costituzione dell’Energy Plus, e ben prima che essa (11 agosto 2003) presenti istanza per la realizzazione della centrale termoelettrica. Le riportiamo testualmente: «Io ritengo, e cercherò di lavorare anche in questa direzione se riesco a individuare un raggruppamento imprenditoriale interessato, che noi dobbiamo pensare a realizzare nella zona industriale di Salerno una centrale elettrica. Abbiamo visto quello che è successo in Italia per questo eccesso di caldo. Abbiamo avuto un black-out, una sospensione di fornitura di energia elettrica alle imprese, ai condomìni, alle attività commerciali. […] Allora io credo che dovremo lavorare, cercherò di impegnarmi in questa direzione, per avere la realizzazione nella zona industriale di una centrale elettrica». Tutto casuale?                                 

Simone Giuliano  

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