Luciano Parinetto
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Perché scrivo? Perché mi detta

qualche cosa di me, che non conosco,

che non ha volto, ma con ritmo emerge.

***

Chelidòn

Passeggero dell'essere, che alato
guizzi, come scoccato da balestra,
nel cupo dell'azzurro verso il sole,
dalla tua breve vita che ricavi,
che non sia cura? Ma tu pure voli
sempre inesausto e voli finché morte
non ti rifonda nel crogiuolo immane
della madre comune: Grazia e ardire 
tu conosci ed insegni a chi pur passa,
ma presume durare e illuso resta.

***

 Pan

Intesi al mezzogiorno (ero bambino)

il brusire del cosmo. Era un accordo

lontano e pervadente, che saliva

su dalla terra all’orizzonte intorno:

solo un accordo d’infinite voci,

un pedale che eterno perdurava,

suono d’organo grave nel silenzio.

Anzi: sonante forse era il silenzio

altissimo, costante, invïolato,

a chi stupito e intento l’intendeva.

E più volte l’intesi ed il meriggio

per lungo tempo fu per me quel suono.

  ***

EXTRAVAGANTE ( in stile ottocentesco pensando ad Heidegger!)

SORELLA MORTE

Inutile aspettarla: mai non viene :

come potrebbe giungere se è un nulla

quale soltanto noi ci immaginiamo?

E non è detto che ci compia e inveri,

pur se lo affermano preti e filosofi :

come potrebbe farlo una menzogna?

E’ un ‘montaggio’ la morte, sosteneva

giustamente Pier Paolo Pasolini:

ma il caso ne è il regista ineluttabile.

A Bruno il rogo fece da ‘montaggio’

e fu un caso dai preti manovrato:

un caso, non la morte entificata;

nulla opera la morte: non esiste.

Se davvero esistesse occorrerebbe

nominarla assassina e traditrice,

perché viene a interrompere nell’uomo

un progetto infinito – il suo disegno.

Ma non esiste : è sorella del nulla.

Moriamo prematuri, anche a cent’anni;

e per violenza, anche nel nostro letto.

Neppure è vero che spalanchi a noi

le porte a un altro mondo sempiterno:

il nostro solo – senza senso – esiste;

Noi siamo, che gli diamo un nostro senso

nel progetto perpetuo che noi siamo.

Dire che morte c’è, perché in passato

sempre si è morti, è proprio come dire

che il futuro sarà come il passato :

ed é inverificabile, poiché,

per provarlo, dovresti già trovartici,

cosa del tutto assurda ed insensata.

Non mescolare dunque fatti e logica :

sono i fatti smentibili da sempre,

Hume lo sapeva bene, quando scrisse,

del levarsi del sole, che domani

potrebbe non ripetersi: è un’attesa

della fede sprovvista di ragione.

Lascia andare lo scheletro e la falce

(e le kazzate che si tiran dietro)

e progetta ogni giorno nel diverso

quanto autenticamente ti concerne :

se avverrà che tu muoia all’improvviso,

o dopo lungo male, sarà eguale;

avrai tessuto la tua vita come

se un senso avesse pure nell’effimero.

E avrai vicino a te chi pure un senso

vi troverà, legandosi con te;

e il tuo ricordo forse serberà.

E se un giorno verrà che pure morte

morte subisca, non meravigliarti:

la scienza fa miracoli, ma giova

che non immobilizzi il divenire,

con l’immortalità che potrà dare,

mummificando l’uomo dentro un essere,

congelato in se stesso e indiveniente,

ch’è fratello gemello della morte,

e gli vieta progetto ed apertura.

O, trafficando l’immortalità

col Kapitale, oppure assicurandola

solo ai suini del Potere e soci,

calpesti degli umani l’eguaglianza

che, nel diverso, li proclama identici.

Pur sul futuro non fingiamo ipotesi;

fossimo pure gli ultimi mortali:

questo non vieta che ci progettiamo

(perché è questo che fa dell’uomo un uomo),

e il presente mutiamo; ed evitiamo

di ispirarlo al passato, se non degno.

 

Luciano Parinetto Luglio 2001

 

 

 

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Aggiornato il 15/04/2003