L'arte,
nell'occidente cristiano, nasce forse come un trionfo della figura:
sono infatti figure che illustrano agli analfabeti le sacre vicende,
le storie divine che il popolo non è in grado di leggere. Ma questo
trionfo nasconde un inganno perché la pittura è comunque sottomessa
alla Scrittura, a una logica di dominio che ha proprio il logos al suo
inizio, quale metafisico "principio". L'arte subisce questo
inganno e solo con fatica, e vivendone gli intimi dissidi, riesce a
mantenere nella storia il suo spazio di "differenza" uno
spazio cui è negata la capacità di connettere potere e sapere, che
può solo distrarre dalla serietà della vita o accompagnare la
maestà della
parola. L
'alchimia e i riti stregoneschi artisticamente evocati da Carbone
hanno allora in primo luogo la capacità di unire, facendoli
interagire, due spazi di differenza; arte e magia che rappresentano il
tentativo, anche storico, di imporre diversi principi qualitativi, che
rovescino il dominio del quantitativo o del rito trasformatosi in
dogma. La differenza alchemica o quella delle streghe trovano,
attraverso la pittura di Salvatore Carbone, un punto di loro
consapevole incontro, che è insieme autonomo sviluppo e
arricchimento. L'immediatezza del tratto, la densità delle chine, la
cupa espressività degli azzurri e dei viola donano all'opera di
Carbone una forza materica, una capacità di evidenziare, come
alchimia e magia, una possibile trasformazione del mondo, che sfugge
al dominio di logiche opprimenti. La rielaborazione di simbologie che
Carbone opera non ha in sé nulla di naturalistico né vuol essere
mera descrizione di più o meno antichi e classici apparati
iconografici E' invece una pittura che scatena i suoi schizzi, i suoi
tratti, i suoi colori alla ricerca di una qualità segreta, nascosta,
misteriosa della natura che ci circonda, del nostro stesso
corpo come natura, nella sua carnale Innocenza. I personaggi si
trasfigurano, mischiano i loro sessi, divengono alberi, sole, luna,
stravolgono le membra in una tortura che spezza le pieghe angoscianti
dei nostri alienati silenzi. L'opera di Carbone è, in senso proprio,
con la misteriosità del suo alone mitico, una pittura evocativa: ma
non evoca solo gli istinti satanici delle nostre più segrete
pulsioni, non solo la cultura di un corpo troppo spesso represso e
punito, non solo il desiderio di un’arte che ritrova le qualità
segrete del mondo. Carbone evoca in noi anche quella sacralità della
differenza che l'Occidente cristiano sembra aver dimenticato: e non a
caso le sue streghe si presentano come polittici, quasi ad offrire
sacralmente la storia profonda delle nostre radici, quella vita
originaria dei sensi che l'arte deve, ancor oggi, e soprattutto oggi,
salvare. Una vita che nel caos delle forme cerca un cosmo fatto di
differenze. L'opera di Carbone ha sicuramente, dal punto di vista
pittorico, illustri antenati, ulteriori capacità evocative, da
Matisse a Picasso, dalle danze chagalliane ai disperati urli
espressionistici. E ancora, quasi a sottolineare la forza sacrale che
anima la sua arte, il segno negativo e vitale del sacro, Carbone
spesso allude alla miniatura medievale, a un 'arte primitiva, alla
pittura preprospettica, quando ancora il dipinto non è sottomesso ad
una razionale e canonizzata "theorica". Accanto a queste
tradizioni artistiche l'opera di Carbone evoca ancora in noi, e
rivela, una sorta di ispirazione eraclitea, un interno movimento delle
cose che rende impossibile toccare due volte una stessa sostanza nel
medesimo stato: tutto si disperde e di nuovo si ricompone, tutto viene
e tutto se ne fugge. La natura, l'uomo, non sono enti creati, non
discendono da una razionalità vendicativa e severa ma sono un fuoco
eternamente vivo che congiunge il completo e l'incompleto, il concorde
e il discorde, l'armonico e il dissonante. L'oro del sabba diviene in
Carbone una forma artistica che ha in sé la metamorfosi dell'arte,
che fa divenire l'arte stessa un'alchimia che interpreta,
un’alchimia eraclitea che attraverso le linee e i colori muta come
fuoco tutte le cose, e il fuoco con tutte. Milano,1992
Elio Franzini Tarocchi Salvatore
Carbone ama confrontarsi con le molteplici dimensioni della magia:
così, dopo le danze auree del sabba, si ritrova di fronte a uno dei
più affascinanti temi misterici, a quei Tarocchi le cui origini
esoteriche hanno attraversato la cultura occidentale. E l' hanno
attraversata con la consapevolezza che queste misteriose immagini, con
le loro inquietanti figure, sono il segno di un'eredità e di una
continuità: verrebbero infatti dall'antico Egitto e sarebbero un modo
per tramandare simbolicamente una scienza segreta, capace di
racchiudere in sé i momenti fondamentali della conoscenza.Là dove
èè mistero, come ha ben compreso Mallarmé, si deve incontrare anche
l'arte: e infatti i Tarocchi hanno affascinato gli
artisti, sfidando la loro volontà di interpretare l'ignoto, di
offrire cioè alle tradizionali figure delle carte sempre nuovi volti,
che al tempo stesso svelano e fanno perdurare il loro alone misterico.
Ma i Tarocchi eccitano la creatività per un altro motivo ancora,
certo ben presente nell'opera di Carbone. Le immagini, infatti, dalla
Papessa all'Imperatore, dal Mago all'Eremita, sino all'Appeso e al
Matto rappresentano una profonda forza cosmologica, quella che anima
il mondo e la volontà individuale e collettiva. Queste carte, queste
figure - e l'artista non può non capirlo - esprimono la forza che è
nei mondi, nel mondo divino, in quello umano, in ciò che avvolge i
poteri della natura e degli astri. L’interpretazione che Carbone
offre di questa forza, che è formazione artistica di mondi possibili,
che esibiscono e al tempo stesso nascondono il mistero, segue una
strada di grande originalità e capacità espressiva. Vi è in primo
luogo, alla base dell'intero suo lavoro, la profonda consapevolezza
teorica (derivata da Klee, da Picasso, comunque dagli aspetti
dell'arte contemporanea dotati di maggiore autocoscienza) che la
pittura non può mai, anche quando affronta il mistero, essere
illusionistica: e invece apertura di mondi, mondi che appartengono
alla natura, alle sue molteplici dimensioni corporee, cui l'arte può
dare forma, attraversando con volontà costruttiva quella disarmonia
delle cose cui gli stessi tarocchi spesso alludono. I Tarocchi di
Carbone sono dunque interpretazioni delle infinite possibili
gradualità presenti nei mondi: mondi sospesi sull'incertezza della
vita e della morte ma al tempo stesso capaci di tramandarne il senso,
affidato a un equilibrio armonico che supera l'effimero e il
quotidiano.Ma vi è altro ancora in queste opere di Carbone, ed è la
forza del segno, la capacità, con decisi tratti di china, e senza
dunque l'aiuto del colore, di "far sentire" il mistero,
trasferendo la necessaria forza evocativa dei Tarocchi in immagini
capaci di ricercare, ed afferrare, l'archetipo delle cose, il nucleo
simbolico delle forme. Loro tramite l'artista deve rappresentare delle
forze, e in primo luogo quella che per Klee era la principale qualità
della pittura, cioè l'intensità, momento in cui, come in
quell'Eraclito che tanto ha influenzato Carbone, il divenire prevale
sull'essere. Attraverso il suo tratto, così vicino a certe esperienze
dell'espressionismo, Carbone riesce a mostrare l'autentico e
originario senso artistico dei Tarocchi e dei suoi mondi possibili.
Mondi in cui i principi apparentemente contrari non vivono il loro
contrasto in modo nichilistico né d'altra parte cercano una sintesi
assoluta, astratta e pacificante: sono invece, nel segno forte di
Carbone, consapevoli della loro stessa natura aporetica, momento che
rende vive e presenti, nella diversità delle varie figure, un'unica
forza simbolica, l'energia estetica di una genesi che non ha fine, che
è la forza stessa della vita. Novembre 1995 Elio Franzini Straniamenti "Gli effetti di un’opera, scriveva Paul Valéry parlando della pittura, non sono mai una conseguenza semplice delle condizioni della sua nascita": un’opera non si spiega, non si riduce all’interno di un pacificato quadro normativo, non si rinchiude in un percorso regolato, in una serenità astratta e lontana. L’opera non è un "effetto", il risultato di un percorso chiarificabile attraverso un ragionamento o una sequenza di parole, coordinate: è, piuttosto, una causa, l’avvio di un processo interpretativo che l’artista ha iniziato e che prosegue nello sguardo del pubblico, nella sua tensione desiderativa nei confronti dell’opera."Straniamenti" di Salvatore Carbone non è allora il titolo di un percorso artistico che va spiegato bensì lo svolgersi di un senso interpretativo che le sue opere incarnano e comunicano: senso che ribadisce il significato che, anche nella contemporaneità, l’arte può assumere. Arte che non deve "giustificare" il mondo ma piuttosto insegnare a guardarlo. Arte che sia al tempo stesso "dentro" e "fuori" le cose: che ne colga una dimensione segreta che le parole non possono dire e a cui soltanto la linea, il colore, il movimento danno forza e vita. Arte, infine, che abbia in sé un’irriducibile dimensione classica, che sia cioè consapevole del suo destino antropologico, quello di esprimere un mondo affettivo che senza di essa sarebbe privo di voce, disperso nel nulla della noia.Anche tra le sue forme spezzate, e stravolte dagli orrori della guerra, gli "straniamenti" di Salvatore Carbone indicano il girotondo non giocoso che l’arte deve insegnare a chi questo mondo abita e vive nella profondità delle sue angosce e delle sue gioie. La luna che guarda da numerosi disegni e dipinti di Carbone è il segno di uno spirito primordiale e segreto che non ci abbandona, di un ciclo comune di elementi contrastanti – notte e giorno in primo luogo – che comunicano l’originarietà avvolgente di una natura al tempo stesso madre e matrigna. I corpi piegati sulla rugosità della carta o sulla superficie della tela, nel loro sinuoso movimento, e nella fissità straniata dello sguardo, ricordano l’arte vascolare o l’antica pittura pompeiana: ma ricordano soprattutto che, anche nella ferita e nella caduta, l’uomo è protagonista di un comune ciclo naturale, cui la presenza – sempre centrale nell’opera di Carbone – dà senso. "Straniamenti", allora, indica come, nei dipinti e nei disegni di Carbone, si debba rimanere all’interno dell’elemento sensibile, dei corpi e dei loro movimenti: ma, al tempo stesso, si cerca nelle figure un senso "rovesciato", che sia in grado di comunicare l’energia che è nella natura e nei corpi. Energia che non può essere appagata, che sempre di nuovo è alla ricerca di espressione, di una matrice che è nelle cose stesse e pur da loro lontana. L’arte, come scriveva ancora Valéry, deve far comprendere che sempre tra il modo della nascita e il frutto si genera un contrasto: ed è questo contrasto ad essere la vita dell’arte. Milano,
marzo 1998
Elio Franzini |