TRACCE
DEL NOSTRO PROFONDO
Ricerca
di lettura dei segni di Salvatore Carbone
Per
un avvio alla lettura dei tratti che caratterizzano l’opera di
Salvatore Carbone, cercherò di utilizzare qualcuna delle attrezzature
metodologiche che rientrano nel sistema da me chiamato Adiacenza; che
è nato e procede nel tentativo di leggere testi della poesia
contemporanea, concepiti come mappe mentali di un Soggetto Scrivente
(SS).
Per i più che non conoscono le recensioni o i saggi derivati da tale
ricerca, specifico che per me una (qualunque) mappa mentale è
costituita – salva la dimostrazione di una condizione di cerebroleso
del SS – da tre aree fondamentali, corrispondenti ad altrettanti
modi di rapportarsi ai linguaggi: tutti i linguaggi, dalle lingue vere
e proprie a qualsiasi universo segnico, da quelli costruiti su un solo
senso come udito e vista, a quello gestuale, fino a quelli basati su
sensi che a prima vista sono meno influenzati e strutturati dal
processo culturale, come odorato, palato e tatto.Tali aree sono perciò
coerenti con un’operatività mentale vista come funzione ed
elaborazione dei messaggi provenienti dal cosiddetto cervello bagnato
– come è chiamato da Rita Levi Montalcini e dalle ricerche
neurobiologiche più recenti. Mente, quindi, non concepita come
quasi-sinonimo di cervello o, al più, come interfaccia e software di
quest’ultimo, ma come campo delle elaborazioni complesse
corrispondenti all’insieme delle nostre funzioni vitali, in sostanza
a tutto il corpo. Fare riferimento a tale campo per l’analisi di
qualunque oggetto-testo implica un interesse che va oltre lo specifico
sistema segnico utilizzato; e tende perciò a interessarsi anche del
pre e post di quest’ultimo, vale a dire al pre-testo, come fonte e
momento epifanico, e all’oltre testo, come fase della fruizione, a
cominciare dallo stesso SS.Questo significa essere interessati a
indagare quanto quell’universo di segni assorbe e tra-duce
dell’altro da sé e quanto riesce a tradurre fuori di sé dopo il
processo di formalizzazione; indagini cercate, non per ideologici e
predeterminati interessi extra-testuali, ma perché concepiti come
costitutivi elementi della valutazione estetica; la quale pone
domande, non si accontenta mai di un generico, mi piace o non mi
piace.
L’analisi semiologica di testi poetici mi ha spinto a utilizzare, al
fine di indicare in modo sintetico le tre fondamentali modalità di
rapporto coi linguaggi, le strutture scoperte da Freud e chiamate Io,
Es e Superìo. Queste strutture mentali e psicologiche sono pertanto
richiamate nella metodologia dell’Adiacenza come fonti di un diverso
modo di utilizzare e strutturare i segni di un linguaggio (ogni
linguaggio), necessarie e complementari all’operatività mentale
complessiva di un soggetto, per rapportarsi a sé e all’altro da sé.Ognuna
di esse, nel corso dello sviluppo (o inviluppo) dell’identità del
soggetto, tende perciò a strutturarsi come galassia segnica autonoma,
rischiando di allontanarsi, se non di separarsi e alienarsi, rispetto
alle altre e al senso unitario dell’universo di cui fa parte.
L’Adiacenza consiste nell’ipotesi per cui quelle intense e
complesse emozioni che chiamiamo bellezza derivino da un movimento
opposto di interscambio energetico e vitale tra le varie strutture
mentali, in un moto di accosto e di intreccio fraterno, anziché di
reciproca strumentalizzazione e dominio. Ne consegue che l’Adiacenza
ha a che fare con il territorio dell’utopia, visto che gli universi
mentali non possono non riprodurre le modalità e le tendenze del
mondo esterno. Ora, il tessuto complesso di un testo costruito dai
segni metaforici di una lingua può, per certi versi, offrire una
maggiore disponibilità alla ricerca epistemologica dei vari corpi e
trame che lo compongono, perché questi richiamano l’attenzione sia
dei sensi che del Senso, come di quell’intreccio degli uni e
dell’altro che chiamiamo sesto senso. Mentre l’approccio
all’analisi di strutture segniche quali la musica o la pittura
appare completamente diverso, visto il loro riferimento a un solo
senso. L’attenzione e l’operatività mentale relativa alla
costruzione (o alla fruizione) di un quadro o un pezzo musicale (se
non ha parole abbinate) sembra più facilmente immaginabile
concentrata in un solo ambito; e tende a corrispondere alla sola area
mentale strutturata da un accumulo emozionale incorporato in immagini
e suoni, vale a dire alle modalità di linguaggio dell’Es (Mod-Es).Eppure,
le migliori analisi, sia della critica d’arte che di quella
musicale, ci consentono di capire meglio che le Mod-Es fanno (solo) da
porta di accesso o di uscita per la più efficace attivazione delle
aree mentali relative alle Mod-Io e Superìo. Spesso ci vengono però
offerti ed evidenziati più i risultati (cioè i significati), meno la
grammatica; lasciando come sospese le domande successive: perché, ad
esempio, quel determinato elemento significante (di un quadro o un
pezzo musicale) accentua, insieme all’area affettivo-emozionale,
l’attivazione di quella etico-ideologica e non, viceversa, quella
descrittivo-razionale Tentativi di analisi oltre le acute e insieme
approssimative letture accumulate dagli specialisti (tra i quali il
sottoscritto non si pone essendo, sia chiaro, nient’altro che un
appassionato fruitore), sono in corso da parte di alcuni ricercatori,
sia sul versante dello hardware e/o delle nuove scienze
neurobiologiche, sia sul versante del software e dell’operatività
mentale – di cui la punta avanzata credo sia il gruppo che ruota
intorno alla Società di Cultura Metodologico-Operativa, erede della
Scuola Operativa Italiana (fondata da Silvio Ceccato, Vittorio Somenzi
e Giuseppe Vaccarino), presieduta da Felice Accame.Tuttavia siamo,
ritengo, ai primi passi di una ricerca ancora molto lunga e difficile.
Ma questo può essere anche uno stato stimolate e pieno di fascino.
Per questo sono stato spinto a tentare – pur non avendo altro in
mano che i mezzi offerti dalla metodologia dell’Adiacenza – la
lettura dei segni di Salvatore Carbone. Segni semplici e potenti al
tempo stesso. Gli elementi che colpiscono e caratterizzano questo tipo
di pittura sono la nudità dei corpi e il segno elementare. C’è
come una sorta di forsennata e ossessiva rincorsa verso l’origine
del segno pittorico. In particolare nei disegni e nelle chine, che in
genere rivelano
lo scheletro e la genesi profonda di una modalità di costruzione
dell’immagine, troviamo questa progressiva riduzione
all’essenziale. Le immagini tendono così a diventare veicoli che
arrivano con rapidità al nostro profondo, dove sommuovono e si
collegano alle strutture archetipe.
Sono
immagini che ci affascinano per i richiami di figure di graffiti del
neolitico o dell’articolazione di primi segni dell’infanzia.
Colpisce l’apparente e misteriosa contraddizione tra la piattezza
della struttura segnica e la sua capacità di penetrare la profondità
del fruitore. Credo che questa capacità risieda nella fissità
attonita degli sguardi, volti prevalentemente all’osservatore. Al
tempo stesso si capisce subito che questa riduzione all’essenziale
è innervata in tutte le esperienze della pittura moderna, che non
c’è niente di naif. La collocazione espressionista assume, ad es.,
aspetti di fissità icastica, che dona alle figure aloni
simbolico-idealizzanti, che a loro volta attivano in noi richiami
persino di qualche teorizzazione del divisionismo:
Segantini insisteva nel connubio verità-ideale. Carbone in pochi
tratti riesce a volte a suggerire una combinazione complessa di
plasticità fisica, unita a suggestioni simboliche di una forte carica
ideale.
La ricerca e l’utilizzo di stilemi del primitivo credo sia
pericolosissima, rischia di far cadere in stereotipi terribili, in
fotocopie inerti di esempi illustri – basti pensare all’ultimo
Picasso. E’ interessante, anche per questo, la capacità di
Salvatore Carbone di sfuggire i rischi dell’orecchiato
inconsapevole, che nei più (in tutte le forme di espressione) agisce
e fa stragi silenti di tante pretese artistiche.Sicuramente la fissità
degli sguardi, ridotti a punti o grumi, diventa uno dei veicoli
potenti che conducono il testo pittorico oltre l’area mentale degli
accumuli emozionali, fino a toccare quella etica. Quegli sguardi
infatti pongono domande, ci interrogano sulla nostra attuale
condizione sospesa e priva di punti di riferimento. Tendono perciò a
interessare le nostre azioni (quindi le Mod-Io) e la nostra
responsabilità (quindi le Mod-Sup.) rispetto a tale condizione.
Condizione che è specificata dalla mancanza di sfondi e dall’inerme
nudità già rilevata, in cui agiscono a volte i sessi. Con un
richiamo dunque alle pulsioni primarie.Tuttavia, questo richiamo non
appare fine a se stesso o, peggio, come rifugio ideologizzante a testa
indietro rispetto alle difficoltà dell’oggi. La ricerca di segni
primari che sono la struttura del nostro profondo trova modi per
riportarci – come sopra detto – al qui e ora.Il nucleo complesso e
la valenza estetica di questi segni credo stia, perciò, in questa
loro capacità di farci oscillare tra aree diverse della nostra mappa
mentale e dei vari modi in cui essa si rapporta al tempo. Ma perché
vengono ottenuti simili complessi risultati con tali povertà di
mezzi?Tendo a ritenere che l’elemento figurativo irradiante sia la
centralità dei volti e delle figure. Questa centralità credo parta
dall’area dell’Io che vuole riaffermarla costruendo e descrivendo
una propria immagine di soggetto sguarnito, attraverso segni
elementari e impoveriti dalle Mod-Es che fanno pesare tutte le ansie
vissute dalle carenze del senso di appartenenza (la mancanza di
sfondi); all’interno di tale centralità tende poi a costituirsi una
sorta di centro del centro, quello degli sguardi, che spingono a un
potente recupero, insieme alle Mod-Sup. di tutto il Sé.
L’ulteriore aspetto di assenza di tratti doloranti e piangenti mi
sembra derivi da tale intreccio di modalità, per cui l’angoscia
depositata nell’area dell’Es, riesce a essere in qualche modo
risolta nel suo contrario: l’operazione, implicante sia l’area
conscia che quella inconscia, che ricollega il Soggetto alle sue
strutture archetipe, gli restituisce a un tempo elementi di tenuta e
di consolazione affettiva, oltre a sollecitare una tensione verso la
responsabilizzazione attiva rispetto al presente e al futuro.
Milano, marzo 2000
Adam Vaccaro