LAVORI IN CORSO
Figure esili, in corsa, su distese scure ed
inquietanti, che fanno risaltare maggiormente il pallore deivolti;
sagome imprigionate dalle sbarre della simbolica prigione di una
società dominata dalla globalizzazione dei mercati, in cui l’uomo
post industriale, sempre più immerso nella cultura del virtuale e
nella logica del profitto, si aggira sconsolato, privo della
"libertà di scegliere e di essere".
Se l’arte è essenzialmente "comunicazione" l’ultima
produzione di Salvatore Carbone, che è qui presentata, è quanto mai
coinvolgente. Nelle tele prosegue la ricerca dell’artista intorno
alla figurazione, divenuta per lui il luogo preferito di stimolanti e
ininterrotte sperimentazioni stilistiche, mai banali e accademiche e
lontane da ogni lusinga di un facile mercato. Al centro dell’interesse
dell’artista continua ad essere l’uomo, unico grande protagonista
dell’avventura nel mondo,anche se il segno non è più furioso e
graffiante ma appare più leggero e dolce, come se alla forza
impietosa e pessimista delle denunce delle atrocità delle guerre e
dello straniamento ed alienazione degli individui, sia subentrata una
nuova ed insolita serenità, accompagnata da un vento di speranza.
L’ultimo ciclo del pittore, infatti, è composto da opere non
omogenee ma apparentemente in contrasto tra di loro,in un susseguirsi
di toni cupi, quasi astrali, ma anche di colori leggeri e luminosi.
Le immagini, che si inseguono su sfondi blu o viola, ben rappresentano
un mondo dominato dallo sgretolamento del tessuto sociale, dove ognuno
è maledettamente "solo" nella sua folle corsa quotidiana,
alla ricerca di una vana socialità, di un punto fermo dove
appigliarsi, di un traguardo ben visibile a tutti su cui convergere.
Gli omini di Carbone, che si inseriscono nell’ambito di una
progressiva stilizzazione della figura umana che da Matisse
caratterizza tutta l’arte del Novecento, hanno perso qualsiasi
connotato realistico. Gli uomini e le donne, soli pur insieme agli
altri, precipitano in baratri bui o si affannano su impervie salite,
hanno lo sguardo perso, triste, apparentemente senza alcuna speranza.
Ma ai quadri dai colori freddi e scuri, dal segno forte e intenso, ne
subentrano di nuovi dai colori allegri, dove ai blu ai neri e ai viola
si sostituiscono i gialli, i rossi, i verdi, in un tripudio di
speranza.
E alle figure sfuocate di una umanità dolente e omologata, dove
ognuno perde i contorni della sua singolarità, si sostituiscono
grandi volti sognanti di donne dai lunghi capelli fluttuanti, che
divengono il simbolo della possibilità di sgretolamento di un destino
ineluttabile che incombe sull’uomo contemporaneo.
I dipinti hanno forme semplici, senza ombre né chiaroscuri, i colori
sono decisi e sembrano illuminati da una luce artificiale. I grandi
volti sono immersi in un’atmosfera intensamente lirica, mediata da
una forte componente fantastica e ironica.
Per Carbone è possibile uscire dall’isolamento e dalla solitudine
del mondo contemporaneo, attraverso la strada del sogno, della poesia,
della consapevolezza che possono trasformarsi in un dirompente e
trasgressivo progetto di cambiamento. E se le prime opere del ciclo
trasmettono all’osservatore sensazioni inquietanti, dalle altre
emana invece una assoluta quiete; lo sguardo dei volti, infatti, non
è cupo, non è l’attorcigliarsi intorno alla contemplazione
ossessiva del proprio dolore. Al contrario l’armonia, la calma e la
serenità comunicano una reale speranza di cambiamento e di
liberazione.
"La solitudine dell’uomo globale" può essere spezzata,
annientata.
Hanno scritto che il vero artista è libero, assolutamente autonomo
nella sua creatività, ma deve saper dialogare con il suo tempo.
E Carbone mai come in questi dipinti, ricchi di simboli, metafore e
miti è riuscito egregiamente a dar forma alle segrete e nascoste
paure collettive, riuscendo contemporaneamente a coglierne anche i
desideri e le passioni più profonde.
Maggio 2001
Anna Pumpo