Adam Vaccaro
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TRACCE DEL NOSTRO PROFONDO

Ricerca di lettura dei segni di Salvatore Carbone

 

di

Adam Vaccaro

 

Per un avvio alla lettura dei tratti che caratterizzano l’opera di Salvatore Carbone, cercherò di utilizzare qualcuna delle attrezzature metodologiche che rientrano nel sistema da me chiamato Adiacenza; che è nato e procede nel tentativo di leggere testi della poesia contemporanea, concepiti come mappe mentali di un Soggetto Scrivente (SS).

Per i più che non conoscono le recensioni o i saggi derivati da tale ricerca, specifico che per me una (qualunque) mappa mentale è costituita – salva la dimostrazione di una condizione di cerebroleso del SS – da tre aree fondamentali, corrispondenti ad altrettanti modi di rapportarsi ai linguaggi: tutti i linguaggi, dalle lingue vere e proprie a qualsiasi universo segnico, da quelli costruiti su un solo senso come udito e vista, a quello gestuale, fino a quelli basati su sensi che a prima vista sono meno influenzati e strutturati dal processo culturale, come odorato, palato e tatto.

Tali aree sono perciò coerenti con un’operatività mentale vista come funzione ed elaborazione dei messaggi provenienti dal cosiddetto cervello bagnato – come è chiamato da Rita Levi Montalcini e dalle ricerche neurobiologiche più recenti. Mente, quindi, non concepita come quasi-sinonimo di cervello o, al più, come interfaccia e software di quest’ultimo, ma come campo delle elaborazioni complesse corrispondenti all’insieme delle nostre funzioni vitali, in sostanza a tutto il corpo. Fare riferimento a tale campo per l’analisi di qualunque oggetto-testo implica un interesse che va oltre lo specifico sistema segnico utilizzato; e tende perciò a interessarsi anche del pre e post di quest’ultimo, vale a dire al pre-testo, come fonte e momento epifanico, e all’oltre testo, come fase della fruizione, a cominciare dallo stesso SS.

Questo significa essere interessati a indagare quanto quell’universo di segni assorbe e tra-duce dell’altro da sé e quanto riesce a tradurre fuori di sé dopo il processo di formalizzazione; indagini cercate, non per ideologici e predeterminati interessi extra-testuali, ma perché concepiti come costitutivi elementi della valutazione estetica; la quale pone domande, non si accontenta mai di un generico, mi piace o non mi piace.

L’analisi semiologica di testi poetici mi ha spinto a utilizzare, al fine di indicare in modo sintetico le tre fondamentali modalità di rapporto coi linguaggi, le strutture scoperte da Freud e chiamate Io, Es e Superìo. Queste strutture mentali e psicologiche sono pertanto richiamate nella metodologia dell’Adiacenza come fonti di un diverso modo di utilizzare e strutturare i segni di un linguaggio (ogni linguaggio), necessarie e complementari all’operatività mentale complessiva di un soggetto, per rapportarsi a sé e all’altro da sé.

Ognuna di esse, nel corso dello sviluppo (o inviluppo) dell’identità del soggetto, tende perciò a strutturarsi come galassia segnica autonoma, rischiando di allontanarsi, se non di separarsi e alienarsi, rispetto alle altre e al senso unitario dell’universo di cui fa parte. L’Adiacenza consiste nell’ipotesi per cui quelle intense e complesse emozioni che chiamiamo bellezza derivino da un movimento opposto di interscambio energetico e vitale tra le varie strutture mentali, in un moto di accosto e di intreccio fraterno, anziché di reciproca strumentalizzazione e dominio. Ne consegue che l’Adiacenza ha a che fare con il territorio dell’utopia, visto che gli universi mentali non possono non riprodurre le modalità e le tendenze del mondo esterno.

Ora, il tessuto complesso di un testo costruito dai segni metaforici di una lingua può, per certi versi, offrire una maggiore disponibilità alla ricerca epistemologica dei vari corpi e trame che lo compongono, perché questi richiamano l’attenzione sia dei sensi che del Senso, come di quell’intreccio degli uni e dell’altro che chiamiamo sesto senso. Mentre l’approccio all’analisi di strutture segniche quali la musica o la pittura appare completamente diverso, visto il loro riferimento a un solo senso. L’attenzione e l’operatività mentale relativa alla costruzione (o alla fruizione) di un quadro o un pezzo musicale (se non ha parole abbinate) sembra più facilmente immaginabile concentrata in un solo ambito; e tende a corrispondere alla sola area mentale strutturata da un accumulo emozionale incorporato in immagini e suoni, vale a dire alle modalità di linguaggio dell’Es (Mod-Es).

Eppure, le migliori analisi, sia della critica d’arte che di quella musicale, ci consentono di capire meglio che le Mod-Es fanno (solo) da porta di accesso o di uscita per la più efficace attivazione delle aree mentali relative alle Mod-Io e Superìo. Spesso ci vengono però offerti ed evidenziati più i risultati (cioè i significati), meno la grammatica; lasciando come sospese le domande successive: perché, ad esempio, quel determinato elemento significante (di un quadro o un pezzo musicale) accentua, insieme all’area affettivo-emozionale, l’attivazione di quella etico-ideologica e non, viceversa, quella descrittivo-razionale.

Tentativi di analisi oltre le acute e insieme approssimative letture accumulate dagli specialisti (tra i quali il sottoscritto non si pone essendo, sia chiaro, nient’altro che un appassionato fruitore), sono in corso da parte di alcuni ricercatori, sia sul versante dello hardware e/o delle nuove scienze neurobiologiche, sia sul versante del software e dell’operatività mentale – di cui la punta avanzata credo sia il gruppo che ruota intorno alla Società di Cultura Metodologico-Operativa, erede della Scuola Operativa Italiana (fondata da Silvio Ceccato, Vittorio Somenzi e Giuseppe Vaccarino), presieduta da Felice Accame.

Tuttavia siamo, ritengo, ai primi passi di una ricerca ancora molto lunga e difficile. Ma questo può essere anche uno stato stimolate e pieno di fascino. Per questo sono stato spinto a tentare – pur non avendo altro in mano che i mezzi offerti dalla metodologia dell’Adiacenza – la lettura dei segni di Salvatore Carbone. Segni semplici e potenti al tempo stesso.

 

Gli elementi che colpiscono e caratterizzano questo tipo di pittura sono la nudità dei corpi e il segno elementare. C’è come una sorta di forsennata e ossessiva rincorsa verso l’origine del segno pittorico. In particolare nei disegni e nelle chine, che in genere rivelano lo scheletro e la genesi profonda di una modalità di costruzione dell’immagine, troviamo questa progressiva riduzione all’essenziale. Le immagini tendono così a diventare veicoli che arrivano con rapidità al nostro profondo, dove sommuovono e si collegano alle strutture archetipe.

Sono immagini che ci affascinano per i richiami di figure di graffiti del neolitico o dell’articolazione di primi segni dell’infanzia. Colpisce l’apparente e misteriosa contraddizione tra la piattezza della struttura segnica e la sua capacità di penetrare la profondità del fruitore. Credo che questa capacità risieda nella fissità attonita degli sguardi, volti prevalentemente all’osservatore.

Al tempo stesso si capisce subito che questa riduzione all’essenziale è innervata in tutte le esperienze della pittura moderna, che non c’è niente di naife. La collocazione espressionista assume, ad es., aspetti di fissità icastica, che dona alle figure aloni simbolico-idealizzanti, che a loro volta attivano in noi richiami persino di qualche teorizzazione del divisionismo: Segantini insisteva nel connubio verità-ideale. Carbone in pochi tratti riesce a volte a suggerire una combinazione complessa di plasticità fisica, unita a suggestioni simboliche di una forte carica ideale.

La ricerca e l’utilizzo di stilemi del primitivo credo sia pericolosissima, rischia di far cadere in stereotipi terribili, in fotocopie inerti di esempi illustri – basti pensare all’ultimo Picasso. E’ interessante, anche per questo, la capacità di Salvatore Carbone di sfuggire i rischi dell’orecchiato inconsapevole, che nei più (in tutte le forme di espressione) agisce e fa stragi silenti di tante pretese artistiche.

Sicuramente la fissità degli sguardi, ridotti a punti o grumi, diventa uno dei veicoli potenti che conducono il testo pittorico oltre l’area mentale degli accumuli emozionali, fino a toccare quella etica. Quegli sguardi infatti pongono domande, ci interrogano sulla nostra attuale condizione sospesa e priva di punti di riferimento. Tendono perciò a interessare le nostre azioni (quindi le Mod-Io) e la nostra responsabilità (quindi le Mod-Sup.) rispetto a tale condizione. Condizione che è specificata dalla mancanza di sfondi e dall’inerme nudità già rilevata, in cui agiscono a volte i sessi. Con un richiamo dunque alle pulsioni primarie.

Tuttavia, questo richiamo non appare fine a se stesso o, peggio, come rifugio ideologizzante a testa indietro rispetto alle difficoltà dell’oggi. La ricerca di segni primari che sono la struttura del nostro profondo trova modi per riportarci – come sopra detto – al qui e ora.

Il nucleo complesso e la valenza estetica di questi segni credo stia, perciò, in questa loro capacità di farci oscillare tra aree diverse della nostra mappa mentale e dei vari modi in cui essa si rapporta al tempo. Ma perché vengono ottenuti simili complessi risultati con tali povertà di mezzi?

Tendo a ritenere che l’elemento figurativo irradiante sia la centralità dei volti e delle figure. Questa centralità credo parta dall’area dell’Io che vuole riaffermarla costruendo e descrivendo una propria immagine di soggetto sguarnito, attraverso segni elementari e impoveriti dalle Mod-Es che fanno pesare tutte le ansie vissute dalle carenze del senso di appartenenza (la mancanza di sfondi); all’interno di tale centralità tende poi a costituirsi una sorta di centro del centro, quello degli sguardi, che spingono a un potente recupero, insieme alle Mod-Sup. di tutto il Sé.

L’ulteriore aspetto di assenza di tratti doloranti e piangenti mi sembra derivi da tale intreccio di modalità, per cui l’angoscia depositata nell’area dell’Es, riesce a essere in qualche modo risolta nel suo contrario: l’operazione, implicante sia l’area conscia che quella inconscia, che ricollega il Soggetto alle sue strutture archetipe, gli restituisce a un tempo elementi di tenuta e di consolazione affettiva, oltre a sollecitare una tensione verso la responsabilizzazione attiva rispetto al presente e al futuro.

Milano, marzo 2000 

 

 

 

 

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Aggiornato il 15/04/2003