LAVORI IN CORSO
Figure esili, in corsa, su
distese scure ed inquietanti, che fanno risaltare maggiormente il pallore
dei volti; sagome imprigionate dalle sbarre della simbolica prigione di
una società dominata dalla globalizzazione dei mercati, in cui l’uomo
post industriale, sempre più immerso nella cultura del virtuale e nella
logica del profitto, si aggira sconsolato, privo della “libertà di
scegliere e di essere”.Se l’arte è essenzialmente “comunicazione”
l’ultima produzione di Salvatore Carbone, che sarà presentata dall’11 maggio prossimo alla
Galleria d’Arte “Sangiorgio” di San Giorgio a Cremano, è quanto mai
coinvolgente. Nelle tele prosegue
la ricerca dell’artista intorno
alla figurazione, divenuta per lui il luogo preferito di stimolanti e
ininterrotte sperimentazioni stilistiche, mai banali e
accademiche e lontane da ogni lusinga di un facile mercato. Al
centro dell’interesse dell’artista continua ad essere l’uomo, unico
grande protagonista dell’avventura nel mondo,anche se il segno non è più
furioso e graffiante ma appare
più leggero e dolce, come se alla forza impietosa e pessimista delle
denunce delle atrocità delle guerre e dello straniamento ed alienazione
degli individui, sia subentrata una nuova ed insolita serenità,
accompagnata da un vento di
speranza. L’ultimo ciclo del pittore, infatti, è composto da opere non
omogenee ma apparentemente in contrasto tra di loro,in un susseguirsi di
toni cupi, quasi astrali, ma anche di colori leggeri e luminosi. Le
immagini, che si inseguono su
sfondi blu o viola, ben rappresentano un mondo dominato dallo
sgretolamento del tessuto sociale, dove ognuno è maledettamente
“solo” nella sua folle corsa quotidiana, alla ricerca di una vana
socialità, di un punto fermo
dove appigliarsi, di un traguardo ben visibile a tutti su cui convergere.
Gli omini di Carbone, che si inseriscono nell’ambito di una
progressiva stilizzazione della figura umana che da Matisse caratterizza
tutta l’arte del Novecento, hanno perso qualsiasi connotato realistico.
Gli uomini e le donne, soli pur insieme agli altri, precipitano in baratri
bui o si affannano su impervie salite, hanno lo sguardo perso, triste,
apparentemente senza alcuna speranza. Ma ai quadri dai colori freddi e scuri, dal segno forte e
intenso, ne subentrano di nuovi dai colori allegri, dove ai blu ai neri e
ai viola si sostituiscono i gialli, i rossi,
i verdi, in un tripudio di speranza. E alle figure sfuocate di una
umanità dolente e omologata, dove ognuno perde i contorni della sua
singolarità, si sostituiscono grandi volti sognanti di donne dai lunghi
capelli fluttuanti, che divengono il simbolo della possibilità di
sgretolamento di un destino ineluttabile che incombe sull’uomo
contemporaneo. I dipinti hanno forme semplici, senza ombre né
chiaroscuri, i colori sono decisi e
sembrano illuminati da una luce artificiale. I grandi volti sono immersi
in un’atmosfera intensamente lirica, mediata da una forte componente
fantastica e ironica. Per Carbone è possibile uscire dall’isolamento e
dalla solitudine del mondo contemporaneo, attraverso la strada del sogno,
della poesia, della consapevolezza che possono trasformarsi in un
dirompente e trasgressivo progetto di cambiamento. E se le prime
opere del ciclo trasmettono all’osservatore sensazioni inquietanti,
dalle altre emana invece una assoluta quiete; lo sguardo dei volti,
infatti, non è cupo, non è l’attorcigliarsi intorno alla
contemplazione ossessiva del proprio dolore. Al contrario l’armonia, la
calma e la serenità comunicano una reale speranza di cambiamento e di
liberazione. “La solitudine
dell’uomo globale” può essere spezzata, annientata. Hanno scritto che
il vero artista è libero, assolutamente autonomo nella sua creatività,
ma deve saper dialogare con il suo tempo. E Carbone mai come in questi
dipinti, ricchi di simboli, metafore e miti è riuscito egregiamente a dar
forma alle segrete e nascoste paure
collettive, riuscendo contemporaneamente a coglierne anche i desideri e le
passioni più profonde.
Striano, aprile 2001
Anna Pumpo
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