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aikido

 

AIKIDO

Soggetto cinematografico

 

Il direttore di un supercarcere  pratica l’Aikìdo, che è un'arte marziale giapponese tanto simile ad una artistica ed elegante danza quanto efficace come tecnica di difesa, anche contro un numero vasto di attaccanti. Per chissà quali motivi psicologici, forse per la sua stessa natura curiosa o forse per la vita da recluso che è costretto a fare, tra i più incalliti e feroci criminali, il direttore è insoddisfatto. Un dubbio lo tormenta: l'aikido, la disciplina che da vent'anni pratica assiduamente, con passione quasi maniacale, è veramente efficace?. Davvero gli antichi guerrieri giapponesi neutralizzavano, da soli, gli attacchi di decine di avversari? Il direttore pensa che l’aikido possa rivelarsi inefficace in caso di un vero e deciso attacco da parte di teppisti o rapinatori. Per il direttore tutto ciò che avviene sul tappeto di allenamento è falso, in quanto simulato: gli attacchi , le cadute, i colpi; tutto è programmato, previsto, ossia il contrario di ciò che avviene nella realtà in caso di vero attacco. E - naturalmente - con i compagni di allenamento non può provare la vera efficacia dell'aikìdo. Per verificare la sua imbattibilità,  il direttore si reca ogni notte - in una sorta di doppia vita - nei quartieri malfamati e frequenta i locali più infimi e insicuri. Tutto ciò nella speranza che qualcuno lo attacchi per derubarlo. E per cercare di ottenere quanto spera, il direttore arriva persino a provocare robusti scaricatori, insultare pericolosi protettori e spacciatori di droga. In altre occasioni, invece, mostra di essere danaroso, col portafogli rigonfio, e si finge un innocuo e pauroso commerciante. Però, nonostante gli stratagemmi, chissà perché, nessuno lo attacca, nè per derubarlo ne "per dargli una lezione". Niente . Solo alcune volte, quando il tanto atteso momento sembrava vicino e stavano per aggredirlo, succedeva qualcosa che lo sottraeva al confronto, alla verifica, alla verità. Questo qualcosa era l'arrivo della polizia, una chiamata improvvisata dai capibanda, qualcuno che lo riconosceva rovinandogli l'anonimato. Tutti questi elementi gli fanno crescere il dubbio e gli fanno pensare che l'aikido è davvero, come molti dicono, una sfera magica che rende immuni da ogni tipo di ostilità. Però il direttore vuole averne la certezza.

Il desiderio del direttore di "sapere" è così forte che arriva quasi all'esasperazione. Perciò decide di lanciare una sfida ai detenuti: dodici tra i più robusti e feroci di loro si dovranno battere col direttore e potranno usare catene, bastoni e coltelli. Se i detenuti riusciranno a battere il direttore (possono ucciderlo, anche) allora cento prigionieri otterranno la libertà. Poiché sono quasi tutti ergastolani, i prigionieri accettano la sfida e tra loro fanno una selezione per scegliere i dodici più forti che dovranno affrontare il direttore. I detenuti si allenano per un mese, durante il quale il direttore li stuzzica, ne punisce qualcuno ingiustamente e aizza la loro ferocia contro se stesso per farli caricare di rabbia e di desiderio di vendetta. Forse è un inconscio senso di autodistruzione quello che guida le azioni del direttore, o forse la certezza di essere davvero intoccabile, invincibile, perché protetto dall'invisibile cupola dell' aikido.

La vicenda si svolge ai nostri giorni. La sfida e le preparazioni avvengono nel massimo segreto, tutto organizzato dal direttore, col benestare dei guardiani, che ne traggono stimolo gratificante per una specie di spirito di corpo che stava indebolendosi a causa della dura vita nel supercarcere e della quasi prevaricazione dei carcerati. La complicità tra i detenuti è totale perché pensano che la vittoria sul direttore sia scontata e non par loro vero di avere a portata di mano "un'evasione tanto facile".

Il giorno dello scontro tutto si svolge come previsto: l'aikido contro la forza bruta; la gentilezza di quell'arte orientale contro i colpi più bassi e vigliacchi dei criminali: ottimo, per il direttore; era quel che voleva. I dodici detenuti si battono con ferocia contro il direttore che, con movenze da ballerina, si difende facilmente. Tutto si svolge nel cortile del carcere, divenuta un’arena con antichi gladiatori. Lo scontro dura molte ore e, uno ad uno, tutti gli attaccanti vengono uccisi. Il direttore vede appagata la sua curiosità, però lo sport non può dare soddisfazione in un modo così assurdo e, pur essendo uscito vittorioso, il direttore verrà ucciso, banalmente, da una donna tradita in passato.

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