narrativa    narrativa    narrativa

                se vuoi conoscere il riassunto di un'opera clicca sul titolo

Anelli di fumo - Romanzo (terminato di scrivere il 17 novembre 2005).

   IO NON SONO UN SERIAL KILLER - Romanzo, finito di scrivere il 15 febbraio 2009.

Il Volantino e il Melograno - Romanzo

  Romanzi              (vedi le copertine)

 

                                    

Racconti  

  salvino.lorefice@tiscalinet.it              HOME           vai ad indice teatro

Io non sono un serial killer

Romanzo – Thriller

Riassunto

 Un uomo si racconta, e scopre se stesso. Scopre com’era, com’è diventato. Scopre le sue origini, la sua infanzia, la sua impotenza sessuale. Prende coscienza di essere un assassino. Lo scopre parlando. Narrando. Descrivendo i suoi sogni, le sue debolezze e i suoi pensieri, nell’oscurità dello studio di un (taciturno) psicanalista.

Il protagonista del romanzo, che si chiama Cristiano Tenebroso, racconta ciò che non ha mai osato confessare neppure a se stesso. Inizialmente non accetta quelle verità che lui stesso, con i suoi racconti e le sue confessioni, fa emergere. Insieme allo psicanalista e nel dipanarsi delle vicende, il lettore scoprirà che Cristiano Tenebroso ha ucciso dodici persone (più una di cui, a sorpresa, si saprà alla fine).

Dodici vittime costituiscono, in genere, una (lunga) serie d’omicidi. E l’autore delle uccisioni è, per definizione, un serial killer. Tuttavia, Cristiano Tenebroso, rifiuta quest’appellativo, non si considera per niente un “serial killer”, e ripete, a se stesso e al terapista, in maniera ossessiva, maniacale: ”Io non sono un serial killer”. E giustifica questo suo rifiuto, questa sua opinione, con argomentazioni, a suo dire, scientifico-legali.

Dunque, l’uomo non è (non si considera) un serial killer. Il suo analista non giudica il suo paziente, non gli da consigli. Durante le sedute interviene sporadicamente e in maniera scarna, ma sarà anche una presenza fondamentale e determinante e sarà amato ed odiato dal suo paziente.

Dei dodici cadaveri, alcuni saranno rinvenuti, altri, invece, non saranno mai ritrovati: rimarranno nello stesso luogo in cui sono stati uccisi, ossia nelle loro abitazioni.  Altri cadaveri ancora, saranno sezionati dall’assassino, che ne disperderà i resti in una discarica a cielo aperto, che Cristiano denomina, quasi in maniera simbolica, “l’ultima dimora”.

Per capire il personaggio, tra l’altro amante della musica lirica, del cinema e della letteratura, il lettore è portato per mano in un percorso di vicende che, nello stesso tempo, lo sbalordiranno, lo affascineranno e lo divertiranno. Attraverso i due livelli alternati di narrazione (quella fatta ai lettori e quella fatta all’analista, entrambe in prima persona), si conoscerà la madre del protagonista, donna bigotta, abbandonata dal marito tradito, presunto padre di Cristiano. La madre aveva allacciato una relazione con il parroco della chiesa e procacciava indulgenze plenarie. Il nome “Cristiano” è quindi spiegato. In modo non molto scontato, e con uno stratagemma narrativo originale, sarà svelato che il vero padre di Cristiano è il giovane parroco. Il lettore lo scoprirà “in diretta”, in prossimità dell’epilogo, insieme allo stesso Cristiano e allo psicoterapeuta.

La madre influenzerà in maniera negativa l’infanzia del figlio. Quest’ultimo crescerà schivo, lontano dalle relazioni sociali ed affettive, sino a diventare impotente. Sino a diventare cinico. La sua impotenza e il suo cinismo lo porteranno ad odiare le donne e a diventare assassino.

Oltre a conoscere il passato e la personalità del protagonista, i lettori conosceranno le vittime.

Cristiano Tenebroso ucciderà Amanda, una prostituta, ragazza-squillo, che lo ha svergognato in un privè, che è un club dove le coppie si scambiano i partner. Ucciderà Mariolina, un’ingenua cassiera di un supermercato. Dopo averla illusa promettendole eterno amore, la ucciderà perchè colpevole, agli occhi di Cristiano, di avergli impedito il soddisfacimento sessuale. Ucciderà, in un parco, una sconosciuta ragazza. La ucciderà al tramonto, “l’ora più sentimentale”, nel pieno svolgimento di un raduno Rasta, i seguaci delle idee politico-religiose e della musica di Bob Marley.

Cristiano non è un comune assassino di prostitute e d’innocenti ragazze. Egli, appunto, “non è un serial killer”. Le sue azioni non hanno il medesimo modus operandi. Ucciderà per svariati motivi. Verrà così fuori tutta l’umanità del personaggio, per il quale il lettore, dopo la normale avversione iniziale, può arrivare persino a provare simpatia. Se il romanzo fosse un film, sarebbe un film visto dalla parte dell’assassino, e non dalla parte del solito ispettore che gli dà la caccia. In questo romanzo, l’assassino non è un pazzo da catturare, e non c’è nessuna spietata caccia al killer. Non c’è un serial killer da individuare ed arrestare all’ultimo minuto. C’è un uomo, da capire. Che uccide e vuole farsi capire, vuole farsi conoscere. Quel killer è un uomo che si sottopone volontariamente sia alle cure di un Centro di Salute mentale, sia a quelle di uno psicanalista.

Cristiano non ucciderà solamente donne più o meno indifese. Cristiano Tenebroso ucciderà anche tre anonimi e avidi commercianti (titolari di negozi di collezionismo), che lo vogliono imbrogliare. Due di essi, commercianti di francobolli, lo vorrebbero derubare di rari “pezzi” che, a sua volta, Cristiano ha trafugato a zio Marcello, personaggio di cui si parla più avanti.

Cristiano, sin dall’infanzia è accanito lettore di Diabolik e, influenzato da zio Marcello, ne diventa collezionista. Per entrare in possesso dell’unico numero mancante alla collezione, Cristiano ucciderà la terza negoziante, una vecchia spilorcia e disgustosa, che si è emancipata da ex venditrice da bancarella di libri usati. Da poco aveva aperto un negozio e vendeva libri rari in Internet, tra cui il costoso numero di Diabolik cercato da Cristiano.

Il nostro “eroe” ucciderà Arrigo Pautasso, un pensionato allevatore di uccellini, dall’aria apparentemente innocua, ma che custodiva un’orribile mania, quella di cucinare e mangiare i pettirossi e i canarini che, con tanto amore, allevava.

Ucciderà Mariariosa, una sua collega di lavoro. Mariarosa vorrebbe sfruttare le mansioni che Cristiano svolge all’interno dell’azienda. Lei lo compra con l'inganno, con la promessa di favori sessuali in cambio di segreti aziendali. Promessa che poi la ragazza non mantiene.

Cristiano pratica l’Aikido, un’arte marziale. Egli decide di frequentare una palestra per acquisire sicurezza. Questo sport renderà Cristiano non solo sicuro di se, ma anche capace di avere involontari orgasmi quando gli capiterà di doverlo mettere in azione. Ad esempio, quando dovrà difendersi da un assalto notturno da parte di cinque teppisti o quando ucciderà Aldo Maria Truffini, un collega di lavoro che, come Cristiano, pratica l’Aikido. Lo ucciderà quando quest’ultimo invita Cristiano nella baita di montagna, per mostrargli un filmato ormai introvabile, girato negli Anni Venti. Nel filmato si esibisce, dando lezioni, Mohirey Uyeishiba, l’ottantenne maestro giapponese, inventore dell’Aikido. Cristiano accetterà l’invito con l’intenzione d’impadronirsi della pellicola. Aldo Maria Truffini, da parte sua, aveva invitato Cristiano con lo scopo di sedurlo. Per riuscirci, Aldo Maria Truffini si travestirà da donna  e rivelerà la sua vera natura di transessuale. Perderà la vita.

Tra i personaggi, spicca zio Marcello, un uomo anziano e ammalato di cancro ai polmoni, raffinato collezionista di tutto ciò che è raro, bello e costoso. Egli colleziona francobolli, sculture, diamanti, dipinti. Farà da maestro a Cristiano.

Zio Marcello vive nel cuore di Torino, in un appartamento di 15 stanze trasformato in un personale museo privato e contenente le collezioni. Un vero tesoro, che ha raccolto nel corso della sua vita e che custodisce, come già detto, nel suo grande ed anonimo appartamento di un condominio, nel quale abita insieme alla sorella gemella. Un tesoro accumulato in modo misterioso. Un mistero che, alla fine, sarà svelato. E saranno dipanati altri avvenimenti, come nella miglior tradizione di questo genere letterario.

Al fine d’impossessarsi di alcuni diamanti e di rari esemplari di francobolli, Cristiano Tenebroso cercherà di carpire la fiducia di zio Marcello, ma questi, prevedendo una simile mossa, si premunisce e farà cadere Cristiano in una trappola, dalla quale riuscirà a fuggire con un ingegnoso stratagemma che, dal punto di vista narrativo, lascia il lettore senza fiato. Si leggano, a tal proposito, i capitoli 42 e 43 (Il cubo e Il bottino).

La lettura è scorrevole e, aldilà del contenuto, il romanzo è da notare per la sua struttura narrativa, che è sospesa tra fatti (raccontati direttamente al lettore, in una sorta di cronaca degli avvenimenti), e ricordi (confessati all’analista, in una sorta di sospensione temporale, una confessione che diventerà una salvifica terapia). Con tale struttura, l’autore entra nella testa del protagonista e ne riferisce le elucubrazioni tramite i racconti che lo stesso protagonista fa al suo psicoterapeuta.

Grazie al racconto del proprio passato, il più nascosto o sconosciuto, che può redimere qualunque azione, Cristiano scoprirà se stesso nelle sue profondità. Ritrovando se stesso, vorrà redimersi.

Con l’aiuto del terapista e dell’ipnosi, Cristiano scenderà nel tunnel del profondo. Andrà indietro, nel passato infantile, nell’imminente periodo prenatale. Vedrà il buio. Vedrà drammatiche vicende che “non ricordava”, evidentemente rimosse. Vedrà la luce, quella fisica, ossia la nascita. E vedrà la nascita morale, quella del ravvedimento e del pentimento. Rassegnato, Cristiano Tenebroso capirà che l’unica via d’uscita è quella dell’espiazione.

Con l’implicito consenso dell’analista, Cristiano deciderà di andarsi a costituire, ma ci sarà un colpo di scena finale che stravolgerà un intero ciclo di psicoterapia. Stravolgerà l’intera vicenda. E la vera natura dell’uomo avrà il sopravvento.

Il romanzo ha un finale aperto. Terminerà laddove un film del genere inizierebbe.

Il Volantino e il Melograno

 Romanzo

Il volantino e il melograno potrebbe sembrare, a prima vista, un romanzo autobiografico della peggiore (o migliore?) specie. Ma ad una lettura più completa si noterà che il romanzo è, se non un’ironica visione della vita, una parodia della vita stessa, quella descritta nella letteratura “esistenziale”. Ma è anche una parodia del mondo degli scrittori, degli artisti, dei “generi letterari” e della “critica letteraria”, del mondo del lavoro e dei (cosiddetti, a torto) fannulloni della Pubblica Amministrazione, dell’odio e dell’Amore… tra colleghi e tra Sudditi e Potere.

Il romanzo, scritto in prima persona, è strutturato come un insieme di episodi che hanno varie connotazioni. A volte sono metafore, altre volte sono la condizione stessa del vivere, ossia dei semplici avvenimenti più o meno significativi. Gli episodi sono collegati tra loro, e richiamano situazioni e luoghi che vanno a costituire l’unità narrativa.

Il titolo è per il personaggio una metafora salvifica, e il suo significato è svelato nel finale. Si scopre così che il Volantino è quello dei comunicati sindacali dell’allora nascente Sindacato di Base. Il volantino, usato come arma, e non solo come simbolo delle armi vere, cioè quei kalashnikov utilizzati dai terroristi in quegli Anni di Piombo, si rivela in tutta la sua chiarezza.

Il Melograno, invece, è la metafora del Potere e del Padronato Politico e Amministrativo. Leggendo il romanzo ci si ricorda che l’INPS di cui si parla è quello che un tempo era governato dai Sindacati, quelli della Triplice, nemici giurati dei Sindacati di Base. (La Triplice, dal canto suo, si è battuta strenuamente, ma invano, perché i Sindacati di Base non attecchissero nella Pubblica Amministrazione.)

Il melograno ha “mille nidi, mille uova, mille paia di lenzuola”, e può essere aspro o dolce, acerbo o maturo, un “mostro”dai mille colori, dalle mille facce. Proprio come il Potere, che ha mille meandri. Il melograno nasconde, annida, copre il buono e il marcio. Il volantino svela, diffonde tutto ciò che il Potere vuole nascondere, e rende visibile le connivenze, i guasti, i difetti e le colpe dei dirigenti del Sistema. Quel Potere (il Potere è sempre, per qualche motivo, un Nemico) che vuole imprigionare l’Individuo (il protagonista) trasformando la sua sopravvivenza in un impiego a vita, e lo sottrae alla sua libertà, creativa e no, occupandogli la mente con cartellini da timbrare (quelli di entrata e di uscita), con straordinari, turni, ferie, missioni, assenteismi più o meno colpevoli coperti da complicità varie. Volantino e Melograno in antitesi, dunque.

Questo romanzo (il cui sottotitolo potrebbe essere Confessioni, ricordi ed esperienze esistenziali di uno scrittore assunto all’Inps e poi rinato), seppur con un linguaggio a volte crudo è, soprattutto, una satira del mondo impiegatizio della Pubblica Amministrazione, che nel romanzo è identificata con l’INPS, quella di circa venti o trenta anni fa, quando esistevano i “carrozzoni” statali e parastatali e l’aggettivo “fannulloni” non era associato ai pubblici dipendenti. Naturalmente, oggi l’INPS non è più come appare in questa narrazione (i computer cominciano a fare capolino). Infatti, i tempi e i riferimenti sono evidenti, basti notare la presenza di Alberto Moravia in uno degli episodi narrati, o i titoli dei film citati (La chiave). Il riferimento all’INPS è un pretesto e i luoghi descritti sono casuali. E proprio per essere satira, la vita in ufficio è esasperata al massimo, sino ad essere esorcizzata, sino a diventare comicità, ma anche motivo di riflessione.

Non è una narrazione fantozziana. Il personaggio principale non è un Fantozzi. Ciascun capitolo ha un suo ritmo, un suo respiro, una sua lunghezza e durata. In molti episodi vi è un messaggio che ha un suo significato, a volte “forte” e a volte “tenero”, quasi delle Storie di ordinaria follia che ricordano il buon, vecchio, caro Bukowski.

Il protagonista è un personaggio che vive in un mondo tutto da scoprire, che è forse nascosto nella coscienza del Lettore, un mondo dove solo la creatività, la libertà e l’individualismo più sfrenato hanno diritto d’esistenza. La sottomissione alle regole della convivenza lavorativa, dell’ordine costituito, del perbenismo, non hanno, invece, dignità, e sono da bandire. Oltre la letteratura, c’è il paradiso. Null’altro. Come notazione importante è da riferire che le Opere del protagonista sono puntualmente respinte dalle Case editrici, alle quali le invia con meticolosa regolarità. In questa situazione, il nostro eroe vince un concorso, il Posto all’INPS desiderato da milioni di persone. Ma quel Posto è da lui disprezzato, persino  vilipeso. Inizia così a vivere in conflitto con se stesso. Egli nota la differenza tra ciò che era (e che vuole continuare ad essere) e quello che è adesso (che teme, intuisce, che diventerà).

Il protagonista (il cui nome non è dato sapere, quasi a rilevare l’universalità della storia narrata) è un uomo il cui solo scopo è di Creare Opere Immortali. Egli è un Artista. E per Opera non intende solo ciò che lui “scrive” (romanzi e racconti), ma anche tutto ciò che fa, ogni attimo della sua esistenza, ogni sua azione (ad esempio: da giovane è stato decorato con la medaglia di bronzo al valor civile per aver salvato l’equipaggio di un mercantile, evento briosamente narrato). Quello che fanno gli “altri” (i colleghi, gli amici, altri studenti universitari), è Nulla, il vuoto della vita, il vuoto della mente. Quella vita è un trascorrere del tempo, nell’attesa della Morte. Malgrado ciò, il protagonista è un personaggio sensibile, benché individualista sfrenato. È un animale solitario che ama andare a caccia da solo e, da solo, perdere (o vincere, dipende dal punto di vista). Dai suoi colleghi viene umiliato e deriso. Mai lodato. Per converso, egli reagisce secondo la sua cultura: con feroce ironia, con i fatti e con le parole. E tale reazione rende ancor più cinici, invidiosi e violenti i suoi colleghi.

Come si diceva dianzi, non è narrazione di vita del genere “Fantozzi”. Gli episodi sono dei pensieri, delle riflessioni, delle farfalle svolazzanti che denotano la voglia di libertà del protagonista che ”suo malgrado” è stato assunto all’INPS e viene quindi sottratto all’esistenza che aveva nutrito sino alla soglia dei trent’anni, sbarcando il lunario tra università, lavori saltuari e collettivi studenteschi, passando poi all’anarchia edonista. Sfocia, infine, nella vita sbandata e “sempre senza soldi”, quella dei frequentatori di ippodromi e casinò. Una vita, di poco dissimile da quella dei barboni. (Ciò che lo distingueva da quest’ultimi era il semplice fatto che il protagonista aveva un tetto - una lurida soffitta - sotto cui rifugiarsi).  In quest’ambiente, giova ripeterlo, giunge quell’assunzione all’INPS.

Queste rare farfalle svolazzanti, scritte a mo’ di diario, sono narrate senza censure, senza ipocrisie né timori, perché liberino, da una tenaglia psicologica, il protagonista, che lotta per non essere completamente ghermito dal Sistema. Egli non vuole rassegnarsi all’idea di essere un mattone incasellato in un Grande Muro. Le narra a modo suo, le sue avventure, lui che lo sa fare, lui che sa capire. Riflette, sulla sua Condizione Umana. Non reagisce, ma sogna.

In un finale onirico, il protagonista capisce che giunge l’ora di liberarle, quelle sue farfalline. Finalmente volano via. E il protagonista, forse in un ultimo furore di rassegnazione, sembra ripetersi: “per favore, tu che non vuoi o che fai finta di non volerle acchiappare, chiudi queste pagine: le farfalle resteranno spiaccicate, è vero, ma saranno pronte per il futuro, per quando cambierai idea, nel tempo in cui la tua morale ti consiglierà di farlo, per il tempo in cui la Libertà ti scioglierà le ali”. E uscirà vincente da una sfida tra Individuo e Sistema.

Nel frattempo, bene o male, avrà servito la sua Nazione, e la libertà arriverà, forse troppo tardi, con la sua pensione: un finalino, l’ultima pagina, di commovente tenerezza.

 

Anelli di fumo

Romanzo

 RIASSUNTO

 In Anelli di fumo vi è la narrazione Bukowskiana  di episodi di vita quotidiana immersa nella Torino degli Anni ‘70-‘80, periodo dominato dalle notizie di “azioni militari” eseguite delle Brigate Rosse. Questo è uno dei temi trattati dal punto di vista di un giovane universitario fuori corso che si definisce scrittore, il quale viene contattato da due brigatisti sbandati che vorrebbero costituire una Nuova Colonna Combattente. I due chiedono la collaborazione del giovane e lo invitano a scrivere per loro le “rivendicazioni” e i “comunicati eversivi”. Il giovane rifiuta per non essere costretto a vivere poi nella clandestinità e soprattutto per timore di non poter scrivere liberamente. Essere schiavo di una Ideologia, infatti, gli impedirebbe di esprimere il proprio pensiero ribelle su molti argomenti, dal sesso alla droga, dall’emarginazione cui sono costretti alcuni individui alla fuga nel vizio del gioco, dal mondo truffaldino delle scommesse alle prime esperienze sessuali, dal mondo dell’editoria al rapporto con il denaro. Tutti temi trattati nel romanzo con toni vivacemente ironici, tra realtà, immaginazione e ricordi giovanili.

Ma oltre a questo, il romanzo presenta una forte introspezione dell’autore. Vi sono infatti narrazioni surreali e dialoghi con la Coscienza, rappresentata dallo Specchio (con la “s” maiuscola), che il protagonista considera il suo Doppio.

Il protagonista è un giovane che si trova a Torino per studi universitari e vive in una soffitta. Scrive solo di notte, bevendo vino e fumando la pipa e qualche spinello. Amante dell’antiquariato, il giovane, ogni sabato notte vaga per la città in compagnia di un amico, in cerca di libri o piccoli mobili o quadri abbandonati a lato dei cassonetti. A volte possiede molti soldi  vinti al gioco, altre volte vive con poche lire guadagnate facendo lo scaricatore ai mercati generali o prestategli da Mary, sua ex compagna, con la quale di tanto in tanto ha dei rapporti sessuali e di amicizia. Incallito scommettitore, frequentatore di ippodromi e casinò, il giovane si trova il più delle volte senza soldi. In un episodio è costretto dal bisogno a tentare un colpo. Sceglierà come vittima un pensionato all’uscita dall’ufficio postale. Il giovane però non porterà a termine la rapina perché viene bloccato dalla propria coscienza, in una riflessione interiore che farà emergere la sua umanità. Il desiderio principale del protagonista è quello di diventare scrittore e di vivere la vita seguendo schemi diversi da quelli della gente comune, libero da ogni preconcetto morale.

Nel romanzo emerge l’amicizia con due brigatisti rossi: Carlo e Adriana. Il primo, è un tossicodipendente rivoluzionario di vecchia data che ha diversi colloqui-scontri con il protagonista. Al primo incontro, voglioso di rivolta e di esecuzioni, Carlo simboleggia la lotta armata. Al protagonista viene offerta la possibilità di entrare a far parte di una Colonna Bierre. Al secondo incontro, Carlo è fiaccato dall’arresto di Adriana e dalla sua successiva morte per AIDS. Le  convinzioni di Carlo, un tempo ben salde, cominciano a vacillare: la lotta armata non ha più le imprese gloriose di un tempo. Durante il terzo ed ultimo incontro avvenuto in un parco, Carlo è ormai ridotto a poco più che un barbone e muore di overdose tra le braccia del protagonista, consapevole dell’ormai imminente fallimento della lotta armata.

In Anelli di fumo emerge sia una descrizione della Torino degli Anni di Piombo, Epoca in cui le persone erano diffidenti e sospettavano di chiunque conducesse una vita “diversa”, sia una Torino sommersa, quella di persone che vivevano ai margini della società.

Il romanzo si conclude con delle riflessioni concepiti in una fase successiva a quella della narrazione dei fatti. Il protagonista, appare chiaro, non ha soddisfatto le proprie aspettative di vita, ma non ne fa un dramma. Asserisce che la vita “non è né bella né brutta: è vita e basta”. Da giovani si vuole cambiare il mondo e si ha la volontà di farlo, ma gli eventi possono impedirlo. A volte, ciò che accade è diverso da ciò che si voleva far accadere. Bisogna accontentarsi di ciò che si è ottenuto mantenendo, tuttavia, la consapevolezza che le proprie Idee e tutto quello che è stato fatto resteranno nel tempo. Per sempre.

Torna a indice romanzi