L’unità tra uomini

27 settembre 1995


Don Giacomo:Iniziamo subito rivolgendo delle domande a Giussani. E la prima domanda che vorrei rivolgere è questa: tu che cosa vuoi dire alla comunità di Roma? Proprio come colui da cui è nata l’esperienza che Viviamo e che guida questa esperienza, cosa ci vuoi dire?

Don Giussani: Ma io non vorrei dire niente perché sapete già tutte le cose. Vorrei piuttosto chiedere che dire. Che cosa io chiedo si può tradurre così: che cosa io chiedo alla comunità di Roma con quella coscienza che la storia mi ha elaborato dentro l’anima e il cervello? Mi piacerebbe fare a voi.., secondo voi che cosa devo chiedere alla comunità di Roma? Così rovesciamo ancora la questione per la seconda volta.
Siccome voi avete vergogna a parlare io purtroppo non devo averla. Prima di tutto alla comunità di Roma che è la comunità di Roma, vale a dire la più significativa, la più esemplificativa, quella più chiamata alla testimonianza di fronte al mondo, perché è al Vescovo di Roma che è stata consegnata da Cristo, consegnato il compito più grande della storia, perché il significato della storia è legato a questo compito: la testimonianza resa a Cristo.
E ciò che qualifica la nostra esperienza è proprio questo, una certa modalità in cui la grazia dello spirito ha reso per noi più facile, più comprensibile, più evolvibile, più creativa la fede.
Il riconoscimento della grande presenza che c’è dentro il mondo da quando Dio è nato da una giovane donna di 17 anni circa in Palestina, duemila anni fa. A questa comunità di Roma che ha l’onere più grave che si possa concepire nella sua storia, io come credente reso appassionato dal carisma, come si dice, dal dono dello Spirito che ci è stato fatto, a tutti voi che siete qui è stato fatto, attraverso diciamo un incontro, attraverso l’accento con cui Giacomo ha parlato 20-25 anni fa e tutti siamo legati, siamo connessi, tutti, qualunque posizione abbiamo adesso, siamo legati a questo accento di Giacomo 20 anni fa, 25 anni fa.
E anche chi ha assunto posizioni diverse, qualificate, rispetto, a prima vista, a un indirizzo comune che uno vi ha dato, anche loro - l’ho capito parlando con l’uno e l’altro di essi - anche loro sono legati a quell’accento. Son qui per quell’accento. Che è il motivo per cui io son sempre stato amico di Giacomo e annovero Giacomo tra gli amici per cui la mia vita è stata più fortunata.
La prima cosa che chiedo a questa comunità è l’unità (non c’entra col giornale. anzi). E’ che si presenti come un’unità agli occhi di chi la guarda. E’ che si possa udire nella voce che usa, appunto, lo stesso ultimo accento, lo stesso contenuto di fede, lo stesso motivo di speranza, lo stesso impeto caldo di carità. Ma la parola unità non è da usare così facilmente, è una questione molto dura perché la tendenza che è in noi è contraddittoria con questa esigenza che pure è in noi: l’esigenza suprema della ragione del cuore umano è l’unità, a tutti i livelli, in qualsiasi senso.
Ma realizzare l’unità è una cosa dura, perché il cuore e l’anima, la mente e il cuore in cui c’è quella esigenza di unità nello stesso tempo albergano, ospitano una fuga singolare, una pretesa di privatizzazione, di possesso privato del pensiero, del proprio pensiero, dell’origine del proprio pensiero, del proprio cuore, dell’origine del proprio cuore. Potremmo dire semplicemente un egoismo che impedisce l’evolversi di quella apertura, di quell’abbraccio senza termine, sempre più dilatato che l’unità richiede.
Per questo l’unità, io dico, al fenomeno dell’unità si riferisce quello che mi pare ortodossamente possa indicare come il più grande miracolo da cui si rende più facile l’accesso vivo, al Dio vivo, da cui si rende più facile il sacrificio, il dono di sé per coloro che Dio ci mette vicini. L’unità è il più grande miracolo. Ma avete studiato, spero, nella Scuola di Comunità - anche se sul testo è stato un po’ ombrato ciò che io avevo scritto e soprattutto sono stati espunti gli esempi per citare, per farci entrare citazioni che potevano anche non esserci - comunque dico, nella Scuola di Comunità, che il miracolo -permettete questi ricordi, che richiami queste cose - il miracolo è un avvenimento che per forza richiama Dio, anche a uno che non crede proprio, gli fà pensare a Dio. Cristo. E’ un avvenimento che per forza ti costringe.
Quando quella notte Gesù dormiva a poppa della barca (la barca stava affondando, una tempesta terribile) e i discepoli dopo un po’ d’incertezza sono andati a svegliano: “Maestro salvaci, andiamo a fondo!” e Lui si svegliò e gridò al mare, al vento e al mare e si fece d’improvviso una gran bonaccia, tanto che - dice il Vangelo - quegli uomini che erano i suoi discepoli, i più vicini, i primi, quelli che erano andati a casa sua chissà quante volte, che ne conoscevano padre, madre, fratelli, sorelle, era familiare, familiare, di quest’uomo che era loro familiare dicono, pieni di timore fra dì loro, si dicevano dunque “Chi è mai costui?” e con questa domanda - dice la Scuola di Comunità - emergeva per la prima volta nel mondo l’interrogativo dell’uomo, su quell’uomo. Chi è mai costui? Ma come, sapete benissimo dove sta di casa, siete andati tutti i giorni, avete mangiato là tante volte, conoscete padre, madre e fratelli; eppure era così sproporzionata quella presenza a tutta la loro possibilità immaginativa, che hanno detto così: “Chi è mai costui?”. La stessa cosa che dopo un po’ di mesi dovevano ripetere finalmente i suoi nemici. I più saputi, intelligenti e colti fra i suoi nemici: gli scribi e i farisei. Quando nelle discussioni fatte nel tempio, all’epoca ormai di Pasqua, quando sta per venire la sua ora, come dice Lui, questi maestri d’Israele, questi dottori della legge a un certo punto arrabbiati dissero: “Dicci da che parte tu vieni, da dove vieni, chi sei”. Come? Andate all’anagrafe di Betlemme e lo trovate, è nato a Betlemme. Ma era così sproporzionata quella figura d’uomo a quello che loro potevano immaginare, loro che erano gli avversari carichi di ragioni contro di Lui, dunque sono stati costretti a fare la stessa domanda “Dì chi tu sei anzi precede “Perché ci tieni col fiato sospeso?” - letteralmente il Vangelo dice così. Ma perché gli chiesero così i dottori della legge, perché i suoi amici, come i dottori della legge, dicevano tra di loro “Chi é mai costui?”? Perché compiva miracoli. Il miracolo é un avvenimento che ti costringe a pensare a Dio. Anche se tu non anche se tu poi lo neghi, ti costringe a pensare a Dio. E lui di questi avvenimenti era il soggetto, l’agente. il creatore, da mattina a sera. “Giunse a sera stanco di guarire”. Tanto che lui stesso ha connesso una volta in dialettiche con i suoi avversari dotti, che stavano là- sul limitare della casa in cui si era rifugiato, era entrato perché invitato ‘a pranzo per mangiare a mezzogiorno e tutta la folla gremiva l’atrio e copriva l’arco della porta e in prima fila c’erano scribi e farisei e lui quando la folla lo seguiva così - nota Guardini commentando san Luca - non riusciva neanche a mangiare. Carlo Adam lo dice nel suo libro su Gesù: quando la folla lo premeva così non riusciva neanche a mangiare e rispondeva e magari compiva quei suoi gesti strani per cui uno da malato diventava sano. Così tutto é possibile allo sviluppo dell’umana scienza e anche uno malato che un tempo sarebbe morto, secoli dopo guarisce, per la scienza ha fatto dei passi ma ci vuole un mese, due mesi e poi tre mesi di convalescenza. Lì non c’era bisogno né di due mesi prima né di tre mesi dopo: guariva. E tutta la gente si meravigliava, è questo il punto:
tutta la gente si meravigliava. ii più grande, dunque, dei suoi miracoli é che portò nel mondo la possibilità di unità tra uomini, una unità tra gli uomini impossibile altrimenti, che non con il suo intervento; neanche tra l’uomo e la donna che si sposano e che hanno figli; si può esser tranquilli, perfino lì la zeppa della divisione é terribimente incombente che se non accade clamorosamente è perché c’é una convenienza che attutisce l’urto tra i due; ma é un sopportarsi, Dio mio, é un sopportarsi! Lui ha portato l’unità così che, perfino i suoi discepoli gli dissero quella volta, quando rispose ai farisei che ritenendolo un lassista, un - come dire - un moralista decaduto, perché mangiava e beveva con gli scribi, coi peccatori, con le prostitute e poi sembrava non rispettare il sabato perché con i suoi discepoli prendevano le spighe e le mangiavano anche di sabato; insomma lo credevano un lassista. Allora gli avevano fatto, come era tra loro, la domanda: “L’uomo può dividersi dalla moglie?” sicuri che lui avrebbe detto: “Ma certo, in qualsiasi caso”. E infatti l’avevano sottolineato, in qualsiasi caso, che l’uomo potesse dividersi- dalla moglie in qualsiasi caso era lo stigma dei lassisti, di chi era un liberale, immorale, mentre loro erano rigidi, i difensori della moralità stretta. L’uomo - dicevano - può dividersi dalla donna solo in un caso, come dice Mosé, solo dando il libello alla moglie di ripudio, insomma non abbandoniamoci a queste descrizioni, ma Mosé diceva in un solo caso; i liberali, i sadducei, e allora al tempo di Gesù si chiamavano sadducei, era come dire lo streaming, la corrente più larga, immorale, quelli dicevano in qualunque caso l’uomo si può separare dalla donna, in qualunque caso. E loro gli hanno detto: “Allora, maestro, l’uomo si può separare dalla donna in qualsiasi caso?” ed erano sicuri che Lui avrebbe risposto sì, perché era un lassista. Lui rispose no, e qui fu la prima sorpresa per i dottori della legge che lo interrogavano. Poi peggio ancora: “Anzi, in qualsiasi caso non può”. Allora qui loro si sentirono sorpassati sulla destra e si ribellarono e dissero: “Ma
come, Mosé ci ha dato il permesso e tu dici di no!”. “Mosé vi diede il permesso per la durezza del vostro cuore”: perché eravate ancora incivili, inevoluti come spirito. Ma all’inizio, l’ideale in cui fu concepito l’uomo e gli fu data la donna, non fu così: in principio l’unità indissolubile era la legge, poi l’uomo divenne incivile, selvaggio: “Per la durezza del vostro cuore”. Tanto dunque che gli apostoli stessi furono colpiti dalla risposta e gli dissero dopo:
“Maestro, ma se è così, se tale é la condizione dell’uomo verso la donna, non conviene più sposarsi!” e Gesù diede quella famosa risposta: “Ci sono degli eunuchi - ha saltato tutti i passaggi - ci sono degli eunuchi, gente che non si sposa perché impossibilitata per natura, ci sono degli eunuchi che sono stati resi tali dal potere, incapaci di amare con serietà perché il potere ha tagliato loro la possibilità che Dio aveva messo nella loro figura di uomini - quante cose implicano queste poche parole - e ci sono di quelli che non si sposano, eg1i eunuchi, gente che non si sposa, propter regnum coelorum ,per il Regno dei Cieli. E’ l’unità per il Regno dei Cieli. Questo è l’impossibile assoluto che avviene, dove Cristo è riconosc1uto seguito e, come uno può, amato.
Il miracolo dell’unità dice in sé, riassume in sé tutti gli aspetti del miracolo. La Scuola di Comunità vi osservava che il primo miracolo perciò, il primo avvenimento che vi costringe, che costringe l’uomo a pensare al mistero, a Dio, è la creazione, è l’universo creato. Che uno non ci crederà, che uno non concluderà, però guardando le stelle gli viene il dubbio, almeno, come fece Kant che aveva un unico dubbio su tutti i suoi ragionamenti: quando guardava le stelle.
Il secondo livello del miracolo è un avvenimento che accade nella mia vita e mi costringe a pensare a Dio, a pensare a Gesù, mi costringe a pensare al Signore; perché quello che è accaduto è proprio una grazia; e siccome Dio, il Dio vivente - non il dio dei pensieri e dei pensatori, delle nostre indagini, ma il Dio vivente - si è fatto familiare con l’uomo, è diventato uno di noi. Ho già ricordato a voi una delle impressioni più grandi che ho avuto nella mia vita, quando in un raduno della comunità della Cattolica di Milano un ragazzino, matricola, uscì e disse, e incominciò il suo dire dal balcone: “Colui che è tra noi.., e ci fu un silenzio, un silenzio. Non proseguì subito, perché era evidente che c’era tra noi. Ecco, questo è stato un momento importante per la mia vita, che ricordo come punto di riferimento. Ma non posso andare da Bobbio, dal professor Bobbio, oppure da Clinton e dire: “Guardi, è successo che eravamo in mille, in mille nel teatro, mille studenti della Cattolica di Milano, e un ragazzino è uscito e ha detto: ‘Colui che è tra noi’; ma in un modo tale che era evidente”. E’ un avvenimento che ha toccato me ma non ha toccato Clinton, quindi dice: “Va bene, addio”. Non gli può interessare perché è un avvenimento che Dio ha creato per me e per quelli che eran lì. Questo è il secondo livello del miracolo, quando l’avvenimento è per così dire destinato a una coscienza, alla coscienza di uno, privata di uno o delle persone che più gli si stringono attorno, di chi è presente o di chi gli è familiare, di chi gli vuole
bene, perché quando ho raccontato a mia mamma, che c’era ancora, questo fatto si è commossa.
E c’è un terzo livello di miracolo, e quello è il miracolo propriamente detto, quando l’avvenimento è così eccezionale da far ricordare, da obbligare a pensare a Dio in qualsiasi caso, qualunque persona prendesse nota della cosa. Sono i miracoli documentabili come quello di cui le nuove “Tracce” ha dato un resoconto, mi pare, uno o due mesi fa. Il miracolo di De Rudder, che era quello che raccontavo sempre a scuola: di quel boscaiolo belga che ha avuto una pianta sulla gamba, che gli ha spiaccicato la gamba a livello del ginocchio, e c erano cinque centimetri di vuoto, si poteva ruotar la gamba ed erano tenuti insieme, il superiore dall’inferiore, dai due tendini laterali. Spiegava lo scienziato che ci descrisse la documentazione in seminario, che la portata di calcio nel sangue non può arrivare a portare, a formare, a riformare cinque centimetri di osso. E questo, portato alla prima grotta di Lourdes, che veniva creata lontano da Lourdes, a Oostacker in Belgio - era lontano, ma finalmente si decise a farsi portare lì - e sdraiato sulla panchina che c’era, improvvisamente si è trovato in ginocchio con la gamba intera. E, bellissimo, le fotografie fatte portano tutto il callo osseo che è l’esuberanza di creazione che la natura fa, gli serve per assicurare la sutura. Voglio dire che il metodo di guarigione di quella gamba, che era impossibile a guanirsi, è lo stesso metodo che la natura usa in tutti i casi. Era lo stesso creatore. Soltanto che, come dicevo ai ragazzi, è come uno che ha inventato una nuova macchina: chi va su per provarla la porta a un rendimento del 70-80%; va su uno e la porta, poniamo, ad un rendimento del 100%: è impossibile. Eppure l’ha portata ad un rendimento del 100%. E’ l’autore, il creatore, l’inventore di quella macchina. E’ presente l’inventore della natura. Io dico che l’unità tra gli uomini è un avvenimento più grande che la guarigione della gamba di De Rudder, più grande degli otto miracoli fra le centinaia e centinaia documentati dai presidenti delle commissioni d’indagine scientifica che la Chiesa ha stabilito, aveva stabilito per Lourdes, e nelle quali il presidente doveva sempre essere preferito ateo: se c era un ateo era preferito a tutti gli altri, per essere oggettivi. E tutti i presidenti delle commissioni avute a Lourdes, alla fine della loro missione - cinque, sei, sette anni, non ricordo più - tutti sentivano il dovere di documentare in libri i miracoli che avevan visti; ne traessero una conclusione di fede come i più, o rimanessero amaramente scettici come altri si mantennero. Ma le cose erano inspiegabili.
Bene, l’unità tra gli uomini è un avvenimento così impossibile che qualsiasi miracolo, a me pare, qualsiasi miracolo non si può paragonare a un simile avvenimento. Nati lontano, lontani, siamo stati lontani tu ed io; siamo stati così lontani che non conosco neanche la tua faccia. Eppure siamo una cosa sola. E non per modo di dire, letteralmente: se dovesse, se ci fosse bisogno, necessario nella mia vita la darei per te e tu daresti la tua per me. Perché é più facile decidere di morire per l’altro che neanche svolgere durante la vita tutti gli atti in modo buono, giusto e perfetto. Cosicché la perfezione che è nel morire per l’altro, come dice Gesù, stranamente si prepara nella vita o si distende nella vita più come una storia tutta di atti imperfetti il cui significato, la cui possibilità è una perfezione, una perfezione strana: è una Grazia divina. L’unità tra uomini, quando sia vera unità, porta questo paradosso: è come se uno, se uno desse la vita per l’altro, uno condividesse la vita dell’altro fino a morirne. Voi che siete stati battezzati vi siete immedesimati con Cristo: non esiste più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna ma tutti voi siete uno, una persona - eis - una persona in Cristo Gesù. E San Paolo ne trae una conclusione: ma lo sapete, siete membra l’uno dell’altro. Tu che sei qui, di cui non conosco neanche il viso perché sei nato lontano e non t’ho mai visto e non riesco a vederti neanche adesso, tu sei membro di me, membro di me, sei così unito a me che sei come un membro del mio corpo. E io sono un membro del tuo corpo. E se il Signore, invocato tutti i giorni, ha aiutato dei fratelli che vivono con me proprio per aiutarmi a capire questo e a vivere questo, mi fanno passare il tempo denso di questa consapevolezza, e quando e e l’occasione io la traduco in atto. Tra me e te c’é una unità, c’é una unità che chi lo vedesse direbbe: “Ma come fanno ad essere così?”. Non si tratta di padri, non é l’amore del padre e della madre, del figlio verso i genitori, é più, più, senza paragone più. Tant’é vero che la legge del rapporto giunge fino a una parola, alla parola assoluta: perdono. Al perdono, che e obbligo, cioè legge, norma, tanto il mistero che fa le cose, il mistero dell’essere realizza quest’unione tra me e te, questa unità tra me e te.
Dio mio quanta strada! Ma strada possibile, non solo strada possibile, tanto che non ho vergogna a dirlo anche se, anche se - ma l’ho già detto prima -anche se é tutto imperfetto il mio modo di stare con te. Pero se mi domandassero, a metà della giornata, di dar la testa per te, la darei. Capisco che la darei. Cosciente di queste cose. Per questo dal battesimo per la morte e resurrezione di Cristo, nella morte e nella resurrezione di Cristo, noi rinasciamo una cosa sola - così come ho cercato di descrivere prima -realmente, ed é soltanto una grande dispersione, una grande distrazione, l’arma del potere del mondo. L’arma del mondo, di Satana, é la distrazione, il non essere uomo, il non pensarci, il non riuscire a sentire, il non rendersi familiare agli atteggiamenti che ci sono necessari per avere un minimo di dignità e di nobiltà, così come siamo stati fatti: per Dio, per l’infinito, per il mistero e per l’eternità. Non c’é piccolo o grande, é grande magari più il piccolo che il grande. Il battesimo ci fa nascere una cosa sola: membra gli uni degli altri. E così abbiamo la predicazione della Chiesa sulla carità. Non c’é nessun altro posto al mondo dove si predica una carità come quella della Chiesa, che non ha eccezioni. Non considera il sentimento o la reazione dell’uno con l’altro tanto che nel peggiore dei casi ci dice: eccomi, cioè riconosci come tuo un altro. Anche se mi uccidesse io spero in lui. ... Io mi fido dite, dite, anche se mi uccidi, capisco che cento volte al giorno se vivo con te, trasgredisco poco o tanto questa nostra legge, questa nostra unità, però se a mezzogiorno, a meta della giornata mi dicessero: “Senti, quello sta male se tu non offri la tua testa offro la testa! - perché é più facile offrire la testa che fare una giornata intera di atti che non siano imperfetti.
Ed è questa la sorgente di quella malinconia nel guardare se stessi, di quella malinconia che l’uomo che ama Dio, che fa quel che può, che invoca Dio per essere,.per essere uomo, é questa malinconia in cui sente se stesso, guarda se stesso, quella malinconia con cui guardiamo noi stessi, con una delicatezza e una tenerezza che lo sguardo di Gesù ha per noi. Si voltò e vide tutta la gente che lo seguiva ed ebbe pietà di loro perché erano come un grande gregge senza pastore. Un gregge col pastore é una cosa sola, un popolo, invece di gregge popolo: nel battesimo é sorto nel mondo un popolo nuovo. Il vero attore grande della storia, un nuovo protagonista nella storia: il popolo cristiano che dopo duemila anni coinvolge in qualche modo anche noi che stiamo qui, se siamo qui; senza soluzione di continuità, corpo di Cristo misterioso in questo mondo la cui forma perfetta ci si rivelerà in paradiso, ma già in questo mondo, nel tempo, gloria di Cristo, lode di Cristo, annunciatore di Cristo. miracolo di Cristo e sperimentabile da noi, tra di noi. Se ci siamo lasciati raggiungere da quell’annuncio che secondo tante modalità può raggiungere l’uomo e noi siamo raggiunti secondo quella modalità che é stata l’animo del giovane don Giacomo 20 anni fa, 25 anni fa, quell’accento di cui parlavo prima, é quello che ci ha uniti; se siamo qui é per quello. L’origine è lì, che ha caratteristiche che altri non hanno ed é felice il nostro cuore quando vede altri che da altra sorgente han tratto il loro fiume, perché apparteniamo tutti allo stesso grande popolo che é la Chiesa; ma sperimentare quello che é nato tra di noi, adesso, come unità che ci riconosciamo vivere, attenzione vicendevole, prontezza a servire nel bisogno condividendo il bisogno dell’altro, aiutando in ciò di cui l’altro ha bisogno, collaborando ad opere buone che diano gloria a Gesù e alla Chiesa nel mondo di oggi, che difendano la verità nel mondo confuso di oggi, che purifichino l’aria un po’ dalla menzogna di oggi. Diventa come una grande elemosina questa unità vissuta, diventa come una grande elemosina in cui siamo perdonati dai nostri peccati e infatti si dice con parola credo esatta la dimensione sacramentale della vita, per cui la vita é come un seno che contiene il mistero del Dio fatto uomo, morto e risorto per noi. Così il mistero in un certo qual modo coincide con il segno che é la nostra unità, per questo é il più grande miracolo; tutti gli altri miracoli nascono da qui.
Noi abbiamo avuto vicino Milano in un paese - io vivo con la figlia del medico condotto che lo ha sostituito quando é morto - Riccardo Pampuri, un giovane medico, giovanissimo medico condotto della bassa milanese, che volendo la perfezione é entrato al Fatebenefratelli, c’é stato pochi anni poi é morto. Morto, chiuso, seppellito. Una ridda di miracoli! Scusate l’espressione. Una ridda di miracoli - anche la settimana scorsa due - la maggior parte dei quali ha toccato la nostra gente vicino la comunità lombarda: cancri diagnosticati ed improvvisamente guariti - qualcosa forse avrete letto anche sul numero di “Tracce” perché qualche documentazione é stata portata anche sul numero di
“Tracce”. Ma io non ci sono ancora potuto andare, cioè non ci sono ancora andato; si vede che é il diavolo che mi trattiene, perché volevo andare a dire la Santa Messa perché il Signore santifichi gli ultimi miei anni. Sono sempre gli ultimi gli anni perché in qualsiasi momento il Signore può chiamare.
Perciò l’unità della vostra comunità é il servizio più grande che Dio possa conseguire dal dono che vi ha fatto del Suo Figlio, dello Spirito di Cristo che vi ha creati in questa circostanza, vi ha investiti di quell’accento di cui ho parlato prima e poi vi ha messi insieme così che vi sosteniate come potete. Quella cosa é un ideale perfetto ma che si dispiega lungo il tempo che passa in mille atti quotidiani imperfetti.
Poi c’é una seconda cosa che vorrei dalla comunità di Roma perché non é una unità vivente se non nella libertà, io non so come dire altrimenti, ma la libertà é una caratteristica propria dell’essere fatto ad immagine e somiglianza del mistero della Trinità, dell’uomo; perciò é soprattutto in una unità ecclesiale che la libertà ... Ma libertà, cosa vuoi dire libertà? Che libertà non é faccio quel che voglio (questo é chiaro), non é neanche poter scegliere tra un sì e un no, questa é una conseguenza della libertà; ma la libertà, come dice la nostra esperienza, se ci pensiamo uno si sente libero quando é soddisfatto, quando raggiunge qualcosa che giustamente desidera, allora respira, é un respiro. La libertà - dice san Tommaso - é la capacità di aderire all’essere, é la capacità di realizzarsi nella propria figura completamente, é capacità di felicità, é la capacità del fine, é la capacità del rapporto con l’infinito. Per questo la libertà é una fonte impetuosa di affezione, una forza di appartenenza. E’ più libero, molto più libero uno che può dire: io appartengo a, di uno che dice io non appartengo a nessuno; anzi uno che dice io non appartengo a nessuno é in pericolo, in pericolo di schizzofrenia, é in pericolo psichicamente (se qui c’é uno psicologo dica se é vero o non é vero).
La libertà, il che vuoi dire che se siamo insieme, se lo Spirito di Gesù ci ha messo insieme per camminare verso il nostro destino, perché questo é il concetto di compagnia cristiana: gente che si mette insieme liberamente, applicando così, realizzando così il loro battesimo secondo le circostanze e la provocazione che il dono dello Spirito particolare dà a loro. Gente che si mette insieme per aiutarsi a camminare verso il destino, che é Gesù nel suo trionfo, che é dentro il tempo, l’ultimo, l’ultimo tempo, ma che si crea giorno per giorno mentre il tempo passa, anno per anno mentre il tempo passa. E’ il significato della storia. Cristo tutto in tutti. Questa é la formula dell’esistenza cristiana, della storia cristiana, mentre la formula del paradiso é Dio tutto in tutti. Tutto é di Cristo finché Cristo darà tutto nelle mani del Padre, allora tutto sarà compiuto. La nostra compagnia perciò é una amicizia, l’abbiamo sempre definita una amicizia, come una compagnia guidata al destino. La nostra compagnia é sempre un’amicizia, quindi. Perché l’amicizia é mettersi insieme, riconoscermi insieme a te perché tu mi aiuti e io ti aiuti a camminare verso Cristo, la sua gloria, fino ai confini estremi del tempo in cui Egli darà tutto in mano al mistero del Padre, all’origine di tutto. E questa é l’amicizia della famiglia, tra l’uomo e la donna, tra i genitori e i figli, non c’é un altro significato più radicale, compiuto di questo. Ma senza essere moglie e marito. padre e madre, noi ci mettiamo insieme e siamo da questo punto di vista, possiamo essere da questo punto di vista più amici che un uomo che é sposato alla sua donna, se non guarda alla donna e la donna non guarda all’uomo come compagnia per il destino. Se una madre, dicevamo una volta, guardando il bambino che gioca, almeno qualche volta da lontano, da due o tre metri, da lontano, diventasse pensosa e dicesse: “Chissà quale sarà il destino di questo bambino”. Se é cristiana sa qual4 il destino e allora prega lo Spirito e la Madonna che lo faccia viver là. Se la madre non ha vissuto un momento di questo genere, Dio santo, amo più io il suo bambino di lei, coscientemente.
Ci mettiamo insieme, dunque, per aiutarci ad andare al destino. Abbiamo chiamato Fraternità ogni - diciamo, per fare in fretta - gruppo, ognuna di queste compagnie; l’una del resto richiama l’altra, l’una é esempio dell’altra, le leggi dell’una sono le leggi dell’altra, anzi la legge é una sola, quella di amare Dio con tutto se stessi, tra di sé, come se tutto, ognuno degli altri fosse se stesso. Perciò una realtà del nostro movimento é stato così destato dallo Spirito che é come fervido di questi gruppi, di queste amicizie, di questo mettersi insieme di buona volontà, così cariche del sentimento della propria debolezza, del proprio essere peccatori. Ma c’é qualcosa che travolge questa malinconia dell’essere peccatori, questo riconoscimento più profondo: tu, Dio, t’amo Dio mia forza, io sono debole ma non c’é nessuna debolezza mia che può essere più forte della forza di Dio e mai una tentazione può essere talmente forte da essere più forte della forza di Dio. Non é automatico, non é come schiacciare un bottone e sentire il suono, é una storia, sempre una storia. Se uno vi è fedele, se uno é fedele, in questo senso dunque ogni comunità nostra lascia libertà totale a questo riconoscimento vicendevole, a questo mettersi insieme, a questo ritenersi amici, mettersi insieme come amici; pensate a una parrocchia dove questo fermento generi queste compagnie, come é arricchita, come il ‘parroco é aiutato, come gli altri trovano l’esempio buono, sono edificati, edificano la parrocchia. (Ma può essere uno stabilimento, la maggior parte sono gli stabilimenti, i gruppi che lavorano lì, lo stabilimento é edificato, o arrabbiato o edificato.)
Una terza cosa, e concludo la risposta, una terza cosa mi occorre ancora. In una comunità poniamo che sorgano dieci fraternità, alcuni sbandati, solitari, perché tutto é sempre libero davanti al Signore, stanno dentro ai confini della comunità ma non sono in gruppo. Mi dispiace e dico loro: pregate la Madonna perché possiate trovare amici; allora, tante volte pregate la Madonna perché accettiate gli amici: a quel punto, gli amici ci sarebbero ma non sono riconosciuti e accettati. Tutte queste fraternità, nella comunità intera hanno come scopo missionario immediato quello di aiutare, di erigere, di far diventare più grande, di far conoscere agli altri, di dilatare i confini della comunità stessa. E’ l’unità ancora della comunità che queste fraternità devono aiutare; questo é il segno della loro autenticità. L’unità della comunità non
sopprime la libertà, dunque, ma convoglia la libertà vissuta con buona volontà, la convoglia a un’opera comune, la grande opera dì Cristo e della Chiesa che è la missione, la missione nell’ambiente del paese, della città o la missione per cui chiamano dalla Russia o dalle Pampas argentine; ma questa può essere anche una missione diversa, può essere anche il sostegno di un giornale, il sostegno di una stampa più buona di quella che c’é in genere, che non fa sentire le notizie più buone: la creazione di un ospedale, la creazione di un asilo, la creazione di una scuola, l’organizzazione di un’azione per la libertà dell’educazione cristiana. Per cui, - permettete lo scandalo - in prima liceo del mio Berchet, la prima ora di scuola in una delle tante sezioni, scoppiò la discussione sulla libertà di educazione e tutti accusavano me dell’educazione clericale che non fa conoscere certe cose e che é un po’ così consumata e io conclusi: “Quando avrete il potere in mano succedendo ai vostri padri, mandateci in giro nudi per le strade, toglieteci tutto ma non toglieteci l’educazione, la libertà di educazione”. Questa dovrebbe essere politicamente la posizione suprema del cristiano e subito dopo la passione che tutti hanno per il loro lavoro, perché un uomo senza lavoro é un uomo che percepisce meno se stesso, che tocca meno se stesso. Almeno su queste due cose qui siamo d’accordo.
La comunità é guidata dal sacerdote, normalmente, o da chi é dal movimento messo come guida della comunità stessa. Bisogna servire l’unità della comunità con tutte le energie che noi troviamo nei nostri raduni particolari. Se un raduno particolare ci estrania dall’unità della comunità c’è qualcosa di sbagliato. Come si fa a vivere la fraternità nel proprio gruppo particolare e poi aiutare la comunità? Per esempio la comunità una volta al mese si ritrova col sacerdote che è a capo o con la persona che è a capo. Tutte le fraternità vanno quella volta lì, in cui chi guida cercherà di dire qualcosa o di esaminare la vita come interessa a tutti. Ma la questione non sta ancora qui, c’è un punto in più: alla fine si danno gli avvisi, prendere sul serio gli avvisi che, poniamo, Don Giacomo dà a tutti, è il modo più completo per partecipare alla unità della comunità. Perché gli avvisi sono sulle cose in cui la comunità si impegna, sulle opere che sostiene, sulle mire missionarie che il Signore ha destato davanti agli occhi o al cuore del gruppo leader, oppure di uno che l’ha suggerito o del sacerdote stesso che guida. L’obbedienza a quelle direttive e l’impegnarsi innanzitutto con quegli, scusate, avvisi, che sono sempre delle cose da fare; e questo fa essere i singoli gruppi costruttori della unità di tutti, e questo è un miracolo dentro il miracolo. Perché la passione della mia libertà è la ricchezza di tutti: il superamento da ogni parte dell’egoismo, del punto di vista egoistico. Vi auguro comunque che il miracolo della unità vostra sia visibile fino ai confini della terra. Era visibile nell’America del Sud. Era visibile nell’America del Sud tra alcuni di voi, dei vostri amici che ci stanno, che ci stanno proprio con lo scopo strettamente missionario di far conoscere la Chiesa e il Movimento, cioè la Chiesa secondo l’esperienza che io ho fatto fare lì a loro. Sono presenti anche in Siberia, nelle comunità che, nelle nostre comunità che sono nate in questi anni. Ma comunque l’esito, il frutto, la crescita, questo è ancora grazia dello Spirito. Il calcolo e la misura non entrano mai nel rapporto tra la libertà dell’uomo, la libertà dei fratelli e la libertà di Gesù, la libertà di Dio. Il calcolo non c’entra mai. E’ un dono senza ritorno, la Carità: Karis. Dono senza ritorno: dono di sé senza ritorno. Si chiama gratuità, la possibilità della gratuità. La possibilità della gratuità: provate a pensarci. Un atto totalmente gratuito. Magari lo Spirito ve lo fa fare tante volte ma non vi accorgete, perciò non ne potete trarre gioia. Perché Gesù disse - Dio ha detto queste cose - prima di morire disse: “Vi ho dette tutte queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. La gioia sulla terra è come la profezia della felicità eterna. O la letizia, come diceva, come raccomandò San Paolo: “Siate lieti. Ve lo ripeto: siate lieti”. Ma la letizia e la gioia stanno tutte, si identificano tutte con la coscienza di questa cosa, grande, che è in noi e quindi tra di noi. Questa cosa grande che 2000 anni fa era un uomo che moriva in croce e che è risorto dai morti, risorto dai morti: per questo è arrivato a me e arriva a te, e niente potrà fermarne il corso fino a quando il Padre lo farà giungere a quel giorno. Farà giungere il mondo a quel giorno. Die auiem iIlo nemo scit : quel giorno che nessuno sa, neanche gli angeli di Dio, neanche il Figlio dell’Uomo ma solo il Padre. In cui si rivelerà ai nostri occhi spalancati, direttamente il Mistero che fa tutte le cose. (Sono già le 7 e 25, un’altra domanda, l’ultima, cinque minuti.)

Don Giacomo: In questi tempi tante volte hai ricordato il “si” di pietro come h sorgente della morale. Ecco, se ci potevi...

Don Giussani: Sono quelle cose che si dicono bene quando il Signore ispira, e non si riesce più a ripeterle quando il Signore crede opportuno non ispirartele. Per cui sei imbrogliato, adesso sono un po’ imbrogliato ma può darsi che se la legge di abbandonarsi nelle mani di Dio ... perché questa rappresenta certamente la cosa più bella e più grande, più profonda, più intima che, credetemi, Dio mi abbia fatto percepire nella mia vita di prete e di credente. Prete e credente secondo il carisma che ha dato vita al Movimento che si chiama CL. Come in altri ha dato vita ad un movimento che si chiama Focolarini, Neocatecumenali, ecc. Ed é magnifico questo sterminato numero di cose diverse che fanno una unità sola. E per arrivare ad una unità bisogna entrare nel profondo di sé, non abbandonare sé per sommarsi con gli altri: ci pensa chi ci crea ad unirmi all’altro, come pensa all’altro, pensa lui ad unire l’altro a me. Comunque una ragazza mi disse: “Che coraggio ha avuto san Pietro a dire “Sì, ti amo”. A parte il fatto che a me ha sempre colpito quell’uomo, erano uomini: gli Apostoli erano uomini, alcuni sposati con figli, ed avevano la loro età, non erano tutti ventenni. Quell’uomo che hanno incontrato in varie occasioni, secondo varie occasioni, era un uomo talmente diverso, talmente vero, talmente bello, talmente buono che non c’era neanche più la concorrenza del viso femminile, per quegli uomini, o del viso maschile per quelle donne. Uno che lo vedeva, o una che lo vedeva, come la Maddalena, da marciapiede: basta! Se ne andava a casa, ritornò a casa la sera, quella sera Andrea dalla moglie, in famiglia. Lo dicevo una volta: se n’é tornato a casa e sua moglie dice: “Ma cos’hai questa sera, perché - dice - sei diverso?” ed infatti stava pensando a cosa aveva sentito e visto, visto e sentito. E sua moglie incalzava, e lui glielo disse; e lei ebbe come un po’ di risentimento, però era piena di rispetto perché... “Ma guarda cosa gli succede!”. Tanto che il giorno dopo invece di andare a pescare è andato ancora a vederlo. E l’altro giorno ha saltato anche la notte. Preoccupazione degli amici, preoccupazione della moglie. Ma, io non so come si siano comportati circa il problema che dovevano sfamare i figli e sfamare loro stessi, ma dovevano aver fatto l’una e l’altra cosa; cioè andavano a pescare e poi, invece di stare sulla spiaggia a rassettare le reti e basta, ad una certa ora si davano un appuntamento ed andavano a trovarlo. Abitava vicino a Nazareth. Oppure passavano per i viottoli, oppure in giro, da un certo punto in poi erano in giro, a Cafarnao e predicava ai crocicchi: andavano là e lo trovavano in un crocicchio che stava parlando. E quella volta magari passavano vicino, San Pietro passò vicino, rallentò il passo e lo sentì dire: “Io sono la Resurrezione e la Vita”. Dico uno, ognuno di noi risente queste parole. E quella sera, da ultimo, quella sera che fece la cosiddetta ultima cena, erano là tutti nella sala, la luce fioca delle fiaccole, e lui parlava, parlava, era già un po’ che parlava - Giovanni lo ridice in quattro capitoli: dal 14 al 17, anzi dal 13 al 17 - e a un certo punto sospese la voce e disse, forse li guardò o erano loro a guardare lui: “Senza di Me non potete far niente”. Ma proviamo a pensarci: ma chi può dire così? Chi può sognare di dir così? E sentire uno che sta mangiando con te e dice così; quella domanda “Chi è mai costui?” capite che se la sono ripetuta centinaia di volte. Comunque Simone figlio di Giovanni, dopo quella sera in cui lui era andato, dopo quel pomerig2lo in cui il fratello Andrea lo condusse da Gesù e lui andava un po’ curioso, spavaldo e curioso, per vedere chi era questo che il fratello Andrea gli aveva detto che era il Messia. E lui è andato là tutto curioso e si sentì guardato da Gesù, che era là in piedi ad aspettarlo, si sentì guardato in modo tale, scrutato di dentro, che subito capì che era qualche cosa di eccezionale. E Gesù gli disse infatti: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni, ti chiamerai Pietro”. Perché gli ebrei cambiavano nome per altri motivi ma anche per indicare il carattere di uno. Ma lì era indicato il carattere ed il destino di quell’uomo. “Ti chiamerai Pietro”. Ed il giorno dopo ci va ancora Pietro da lui, a trovarlo come dicevamo. E poi dopo un’altro giorno va da lui, e poi un’altro giorno. Insomma, provate a pensare tre anni, due anni o tre anni come un filo rosso che unisca tutte le giornate e l’animo in quelle giornate di Simone. E tutti giorni questo stupore che aumentava l’attaccamento, l’attaccamento, cioè la sua libertà, era un qualcosa che aderiva a quella Presenza. Questa è la libertà: capacità di aderire all’Essere. A quell’Essere che aveva davanti, che era così diverso dagli altri - e chissà chi è, chissà chi è Costui? - aderiva a quello lì. E tante volte quello lì lo rimproverava, una volta gli ha detto perfino: “Va via Satana, mi impedisci di fare quello che dice il
Padre mio”. La peggiore delle cose, chissà come si sentì umiliato. E quella volta che lo ha tradito per una donnetta, lì tra i soldati. Per paura di una donnetta l’ha tradito. Chissà, improvvisamente s’è accorto di quel che aveva fatto, che aveva detto: e uscito fuori, pianse amaramente. Non un ragazzino, un uomo. E poi, e questo da allora lo seguì , lo aspettò perché era morto e poi è risorto. E lo aspettavano, e lui lo aspettò con gli altri. Appena arrivava era con la faccia illuminata, vergognosa e illuminata nello stesso tempo, perché la coscienza di sé lo seguiva continuamente. E quel mattino, tornando con la barca s’accorgono... insomma c’è uno sulla spiaggia; e Giovanni, il più giovane, dice: “Ma quello lì è il Signore!”. E allora Simone si butta in acqua e per primo arriva, approda alla riva, ed era davvero il Signore; e tutti arrivano, con le barche piene di pesci, loro che avevano lavorato tutta la notte senza prender niente. E aveva preparato Gesù, il Signore, risorto, in carne e ossa, aveva preparato il pesce, il pesce da mangiare Lui e loro, il pesce arrostito: “Avrete fame, mangiamo”. Poi sono stati tutti a mangiare e Simone che per vergogna aveva voltato le spalle a Cristo, e Cristo invece si è messo lì vicino. E Simone non sapeva più che cosa fare perché é tanto attaccato, molto più di prima. E’ come se il tradimento lo avesse attaccato più di prima. Nello stempo aveva vergogna di sé, aveva compassione di sé. Ma non orrore, compassione di sé. Quasi aveva dentro, sentiva un po’ in sé, verso di sé, la tenerezza che aveva quell’uomo lì. Che egli aveva tradito e che gli aveva perdonato. Di fatto, di fatto gli aveva perdonato. Finché si è sentito chiamare, l’ha chiamato; Lui l’ha chiamato e gli ha detto: “Simone - chissà cosa vorrà, oddio, ci siamo - mi ami tu?” Avesse commesso un assassinio il giorno prima, in quelle condizioni uno che fosse stato tre anni con Lui, avesse commesso assassini i giorni precedenti, davanti a quella domanda, a quel capovolgimento di questione, quello strano riinizio - mi ami tu’? - ha detto: “Si, Signore, io ti amo”, poi dopo la terza volta: “Lo sai che ti amo”. Sono tuo, aderisco a te, la mia simpatia é per te, la mia dedizione é per te, la mia vita é con te. Vuoi dire questo. Più che con qualsiasi altra cosa. Come ... se avesse commesso un assassinio il giorno prima. C’é stato uno che aveva commesso assassini fino a pochi giorni prima: il buon ladrone. Non era mica nella stesse condizioni? Lo stesso. E all’ultimo, dopo la terza volta che era come, era come quasi tentato di angoscia, Gesù gli dice: “Guarda, tu dirigerai il mio popolo, guiderai il mio popolo, il mio gregge, le mie pecore”. Con questa promessa a Simone fu chiaro che la vita era più vera di prima, più grande di prima, che solo nel loro rapporto era vero come prima. Perché avere una simile convalida: sarebbe stato capo del suo gregge! Ma adesso queste sono questioni secondarie però completano l’immagine in modo interessante. Tant’é vero che poche righe dopo Simone, che ha trattenuto più chiaramente la promessa, come dire, il ruolo che Cristo gli dava, quello di guidare il suo gregge, vedendo il più giovane degli apostoli, Giovanni, subito si fa premura e dice: “Maestro, cosa facciamo di lui?”. Si é investito del ruolo che gli aveva dato, la prima cosa che fa é investirsi del ruolo - ognuno di noi avrebbe fatto così - e Gesù gli dice:
Ma che te ne importa, ci penso io; tu vai a fare quello che devi fare perché quando eri piccolo ti vestivi e andavi dove volevi, ma adesso che sei grande altri ti vestirà e ti porterà dove tu non avresti voluto”, significando così la morte di cui sarebbe perito san Pietro.
Allora da quel momento, da quel “Io sì, io t’amo” dice, ha detto Giacomo, io faccio derivare la morale, la vita morale di san Pietro, fino ad allora era come un “sì” detto, non nell’inconscio, ma era un attaccamento, aveva deciso l’attaccamento a quell’uomo - deciso questo, poi tutti gli errori - ma quando Cristo gli ha domandato “Mi ami tu?” non è stato lì a dire “Dunque, che sbagli ho fatto: l’ho tradito, m’ha detto ‘vai via satana”‘, non ha fatto il calcolo dei suoi errori, gli ha detto subito di sì, rivelando il fondo del suo atteggiamento morale, la scelta di Cristo, l’attaccamento a Cristo, il riconoscimento di essere Suo, l’appartenenza a Cristo; da lì, da quel momento lì in poi che sensibilità e che tensione per essere degno, più degno di Lui, per evitare gli errori, magari ne avrà commessi anche di più, ma la sua tensione fu a non commetterli più. Chiunque ha questa speranza - scrisse San Giovanni -, come Pietro ebbe in Cristo, chiunque ha questa speranza si purifica come Egli è puro.
Ed è un itinerario infinito, ma la storia della nostra purità, della nostra volontà, voglia, amore del bene, del giusto, della Gloria di Cristo, parte da questo si ti appartengo” che è frutto di una Grazia che gioca insieme ad una libertà che non si palesa in grande stile; è più una fedeltà a una convivenza amata cui si è affezionati, una fedeltà, una affezione, la storia di una affezione fedele da cui si compone, si plasma un “si che resta per sempre; e su questo “sì” uno si purifica come Egli è puro, da lì nasce la storia della Sua Santità. Insomma è il contrario di quello che i moralisti di qualsiasi natura, genere siano, di qualsiasi colore e di qualsiasi religione farebbero: per dire “io t’amo” con verità uno deve essere perfetto, sarebbe un problema senza soluzione. E’ il “sì” che c’è prima.., e dopo l’uomo è in cammino verso quell’ideale che lì è incarnato in quella faccia, in quei capelli, in quelle mani, in quella potenza, in quel cuore: in Gesù figlio di Maria.
Se non siete d’accordo dite al vostro confessore che vispieghi oppure che mi scriva dove sbaglio.