Franco
Santamaria: Immagine e Parola
di Vittorio Mazzone
A)
Ricco
e complesso appare il percorso di ricerca di Franco Santamaria, un artista
che, sorretto da una solida tensione ideale e da un tenace assillo morale,
intimamente e dolorosamente vissuto, ha saputo misurarsi con una
molteplicità di linguaggi, avendo di mira sempre il medesimo obiettivo:
dar vita ad una espressione artistica capace di rappresentare il senso
genuino delle proprie ansie interiori ed al tempo stesso provocare
emozioni ed occasioni di meditata riflessione.
Nel
corso degli anni l’impegno artistico di Santamaria ha spaziato dalla
produzione pittorica a quella letteraria con la partecipazione a mostre
personali e collettive e con la pubblicazione di raccolte poetiche,
l’ultima delle quali particolarmente apprezzata, dal titolo "Storie
di echi", pubblicata dai Fratelli Ferraro di Napoli.
Oggi
Santamaria ci dà conto di una nuova e più impegnativa fatica, che assume
anche il carattere di un nuovo cimento.
L’artista,
infatti, ci presenta una serie di liriche e di dipinti, che vanno dal 1984
al 1997, raccolti in un volume unico dal titolo "Immagine e Parola".
In
quest’opera l’esercizio della parola fa da contrappunto e da
integrazione/supporto alla rappresentazione cromatica, dando vita ad un
dialogo stringente e appassionato tra poesia e pittura alla struggente
ricerca di quel ‘filo da disbrogliare’ di montaliana memoria, che
possa aprire più mondi e squarciare il cono d’ombra che ci attanaglia.
L’esperimento
ci pare del tutto riuscito e rappresenta compiutamente le qualità
artistiche e la delicata personalità di Santamaria.
Egli,
quasi unico nel deserto dell’imperante moda presente, lungi
dall’ammiccare al lettore/fruitore di immagini, avverte dominante,
invece, l’imperativo categorico di pungolarlo, spronarlo perché,
finalmente, non si fermi alla sola percezione sensibile.
Ne
viene, così, una forte suggestione ed una stringente sollecitazione ad
andare oltre ed a ritrovare in se stessi la giusta forza morale ed
un’adeguata disposizione dell’animo, che ci agevoli in un lavorio di
analisi e di scandaglio nei recessi del nostro io, aiutandoci a risalire
alle ragioni intime delle cose e all’essenza stessa dell’uomo e della
vita.
L’arte,
nelle sue più diverse espressioni, e segnatamente la poesia e la pittura
non possono essere un puro ‘divertissement’. Possono, o meglio,
debbono rappresentare occasione di elevazione, di ricerca di purezza
ideale, grande leva per il cambiamento e la realizzazione di un nuovo
mondo.
E’
questa, in sintesi, l’idea della ‘socialità dell’arte’ di cui
l’autore ci parla in quella sorta di premessa teorica che ritroviamo
nelle prime pagine dell’opera e che ci rimanda all’evanescenza dell’
‘apparire’ e alla necessità dell’ ‘essere’.
Questo
richiamo all’attenzione e alla riflessione più opportuna, però, non è
mai avanzato in forma pedagogica. Trova la sua forza, invece, nella
capacità dell’autore di saper provocare emozioni, proponendosi in tutta
la sua genuinità e sottolineando il senso profondo di alcuni valori
fondamentali.
Particolarmente
toccante è il caldo richiamo dell’autore alla propria terra, alle
proprie radici, da cui non si può prescindere se ci si avvia per un
percorso di ridefinizione della propria identità.
"Sulla
cima di un calanco era la mia terra,
cullata da un guscio di fossile millenario".
Della
sua terra Santamaria serba un ricordo dolcissimo, quasi un Eden lontano
alle cui pure fonti è necessario attingere per risanarsi dalle ferite.
Ed
il dipinto, dello stesso titolo della lirica, "In un guscio la mia
terra", ci aiuta a meglio comprendere le ragioni di questo legame
forte e irrinunciabile.
Il
guscio di fossile millenario, che gelosamente protegge dalla
contaminazione del tempo le braccia di uomini, pervicacemente protese in
una stretta di anelante fraternità, evidenzia emblematicamente i valori
forti dell’amicizia, del legame solidale che gli uomini ormai sembrano
avere distrattamente abbandonato e che, invece, rappresentano i sentimenti
che contano e di cui riappropriarsi per reinventare una nuova era della
storia umana.
Della
forza viva di questi sentimenti l’uomo ha necessariamente bisogno, se
non vuole soccombere, vittima sacrificale di un mondo ostile che rinnega
bellezza, purezza e genuinità.
Del
destino dei viventi Santamaria ha una visione sconsolata.
Il
"male", come mostro proteiforme, è perennemente in agguato e
tutto tende a distruggere nella sua insaziabile voracità.
La
stupidità umana, gli egoismi più biechi, le diverse forme di violenza,
invece di costituire un argine possibile alla forza bruta della natura,
rappresentano manifestazioni insopportabili di ingordigia e di aggressività
e decretano la mortificazione di ogni idea di rispetto e di solidarietà.
"Là,
e qui, è un campo di verginità violentate,
di pensata barbarie, di veglie e di amori
che non hanno mai
conosciuto l’amplesso della pietà silenziosa".
La
morte che inesorabilmente avanza e la vita che disperatamente si difende:
questa è l’essenza stessa del trascorrere del tempo.
Ed
alla terra non resta altro che affidare la sua resistenza "a non
ancora violati alvei".
In
questa lotta per l’esistenza e per la dignità della vita non ci si può
arrendere. E da Santamaria proviene una netta dichiarazione di intenti:
"Non
temo di fermarmi o, chissà, di scavalcare il muro
per ricercare il frutteto dai mille colori".
L’autore
è consapevole che da solo non potrà farcela e che il suo impegno di uomo
e di artista è solo una piccola parte di un tutto che ancora non si vede.
Eppure
il sogno è grande, è presente e di per sé costituisce un progetto:
"Solo
potessi tramutare quel rintocco spento
in musica d’ali, di voci, di mani
festanti intorno al falò riacceso, e strappare
alle crepe le presenze solitarie e indifese".
L’uomo
ha diritto di sognare. Coltivare utopie è un bisogno necessario per
ritrovare la dimensione giusta che ci aiuti a guardare oltre l’arida
realtà ed a ricostruire in primo luogo in noi stessi quella pace
dell’anima che rassomigli ad un ‘sogno di farfalla’.
Senza
mai lasciarsi andare, però. Il male incombe minaccioso e senza tregua .
"Sulla
terra che conosco i vulcani spandono lava
per pietrificare i fiori di ginestra".
Questo
il messaggio conclusivo che Santamaria ci affida a chiusura del suo
lavoro. Un lavoro che sollecita una piena partecipazione emotiva,
affidandosi alla sincera disponibilità dell’interlocutore a lasciarsi
coinvolgere in un dialogo ideale, che lo renda più forte e avvertito.
Ed
in questa operazione di ricostruzione di un’identità dell’uomo si
avvertono sensazioni di vera emozione, grazie ad un uso ‘caldo’ della
parola, delle forme e dei colori , che sintetizzano nella sostanza un
linguaggio del cuore capace di comunicare messaggi universali.
B)
Una
prima sensazione di profondo calore umano ti prende subito
nell’osservare i dipinti di Franco Santamaria.
Sono
in primo luogo i colori caldi e pastosi, quasi messi lì apposta per farti
sentire a tuo agio, che ti invitano a fermarti, a riflettere, ad entrare
in sintonia con la personalità dell’artista.
Il
primo "miracolo" è avvenuto; il feeling si è determinato; il
dialogo più intimo, allora, può avere inizio. Quasi inavvertitamente ti
trovi a girovagare per il complesso mondo onirico dell’autore, che con
sincerità e senza pudore ti squaderna sogni e paure, frustrazioni e
speranze, che, a ben riflettere, rappresentano sentimenti e stati
d’animo che non sono affatto lontani dalla tua condizione esistenziale.
I
temi della vita, dell’amore, della pace, della fraternità tra gli
uomini, sembrano dominare la pittura di Santamaria.
Proposti
con mano sicura e sapiente abilità tecnica, ritornano quasi con
insistenza ossessiva, a significare che questi valori non sono per
l’autore fatti transeunti o semplice concessione a mode passeggere, ma
rappresentano parte costitutiva di un uomo che, anzi, con la sua pittura
sembra voglia sollecitare se stesso e noi tutti a cimentarci, con sempre
maggiore coerenza, con i molteplici aspetti della moderna condizione
umana.
La
ricchezza di questo mondo interiore tende a colpire direttamente gli
ambiti più riposti del nostro io, costringendoci a mettere da parte modi
di agire stereotipati e di maniera, per dare voce, invece, alla parte più
nascosta e vera di noi stessi.
E’
quasi come se l’artista, con le sue provocazioni, volesse accompagnarci
in un viaggio lungo la nostra memoria, alla ricerca di ciò che davvero
siamo e/o vorremmo essere. E tutto ciò avviene naturalmente, solo se
lasciamo da parte per un attimo il mondo che ci circonda, un mondo che,
nella durezza e nella tragica "normalità" della vita quotidiana
ci appare un tutto compatto e immodificabile.
Santamaria,
invece, vuole dirci che così non è: la realtà, con le sue brutture e le
sue amarezze, non è un dato a priori di fronte al quale l’uomo non può
far altro che rimanere passivo.
Nei
suoi dipinti, allora, l’artista gioca con la realtà. Non l’annulla,
ma la frantuma e ce la presenta nelle sue parti più significative, come
pezzi di un immaginario puzzle che l’uomo è chiamato a ricomporre,
facendo leva sulla sua sensibilità e su un’auspicabile ansia di
riscatto.
Le
mani che si protendono disperatamente alla ricerca di legami forti e
salutari, emblematicamente, testimoniano questa struggente tensione ideale
che anima tanta parte della produzione di Santamaria.
Rappresentano,
in definitiva, un atto di fiducia nelle risorse razionali e spirituali
dell’uomo ed al tempo stesso un messaggio di speranza per ciascuno di
noi, impegnato con affanno nella quotidiana battaglia della vita.
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