Due
parole in… riflessione (Premessa)
di Franco Santamaria
Un pittore,
o un poeta, non può staccarsi dalla realtà per isolarsi in un mondo che
ha solo del fantastico e dell’invenzione.
Parlo del
fantastico e dell’invenzione che distraggono dalla riflessione sulla
vera condizione umana e della natura, che è aspirazione, tensione,
sofferenza, dolore, spesso disperazione e annullamento, modificazione
sostanziale, come risultato di ambizioni violente.
La pittura
e la poesia sono forme nobilissime di linguaggio che, sebbene con segni
diversi, hanno l’obiettivo di comunicare con il sentimento.
Per questo,
ne deve derivare un’emozione positiva, nel senso di una presa di
coscienza e di una spinta (costruttiva) capace di far risalire alle pure
sorgenti, per realizzare un’ipotesi di felicità ampia e duratura.
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L’arte
non è un fatto personale o circoscritto, ma deve riguardare e coinvolgere
tutti.
La socialità
dell’arte è nei contenuti espressi, dolorosi che siano.
Un quadro
che raffiguri un paesaggio, un vaso di fiori o una natura morta, comunica
acriticamente e sterilmente; comunica un concetto di "bello"
troppo ingenuo e privo di forza costruttiva di una società universale
senza le angosce e le limitazioni odierne.
Un quadro
che raffiguri l’uomo frustrato immerso in un ambiente altrettanto
frustrato, comunica emozioni ben più intense. Così che il destinatario,
protagonista egli stesso di uno stato di frustrazione, è chiamato al
dovere morale di operare per la redenzione, possibile.
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Anche la
poesia deve fondare la sua essenza sulla socialità, attraverso la
proiezione del reale. La presenza di un diffuso concettualismo astratto
determina il raffreddamento, se non la morte, del concetto della socialità
poetica.
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L’arte
– in questo caso, pittura e poesia – dev’essere espressione della
realtà del creato, solo in apparenza trasfigurata mediante il travaso
delle condizioni d’essere da un elemento negli altri elementi esistenti.
Esiste
un’analogia profonda, che diventa identità nella sensibilità del
pittore e del poeta, tra i fenomeni della natura, che non possono essere
visti e considerati separatamente.
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Nell’arte,
composizione cellulare e modalità di esecuzione del comportamento non
differiscono dall’uno all’altro elemento; così come i presupposti
della loro presenza nel creato: inizio, tempo di trasformazione e fine.
Nella
rappresentazione, pittorica o poetica, la figura, nella pienezza della sua
forma fisica, realizza solo un punto di riferimento immediato e di
aggancio con tutto il resto dell’universo.
Figura è
il visibile, ma, simbolicamente, anche il percepibile.
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Ciò che
interessa è lo stato interiore, in quanto denuncia un uguale e grave
disagio dell’essere, nonostante talune apparenze diverse.
Il pianto
dell’uomo che si sente privato della dignità è il pianto dell’albero
che sente le sue membra bruciare.
Il nudo,
non solo umano, esprime meglio questa condizione senza difesa.
Non è un
destino sancito nell’atto della creazione, ma il risultato di un’idea
di dominio suggerita (a copertura) dalla presenza di un serpente
innocente.
Il ritorno
è possibile. Doveroso.
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