MENU DE
PAZINA punghide supra su numene pro intrare in sa pazina chi bos
agradat
Pazinas disponibiles
TOTU
IMPARE PRO SA INDIPENDENTZIA DE SA NATZIONE SARDA
Est arribada s'ora de cumintzare sa
bardana pro torrare sa Sardigna a sos Shardanas
Sa tzerachia batut miseria sa suverania batut
prosperidade
Tzeladu su ventu sardista si pesat su ventu de
s'indipendentzia
novas/attividades |
| |
Domo 3 |
REMUNIDA DE IMPRENTA
DAE SU 1995 -
CASA COMUNE |
|
|
DIBATTITO: Apriamo un confronto a più voci
sui progetti politici del "sardismo diffuso"
«Quel partito che non c'è»
Tra la Casa comune dei sardi e la Rinascita fallita
Alcuni giorni fa un giornale isolano titolava la prima pagina
annunciando che Dini ed il suo Governo promettevano ai sardi la restituzione di parte di
ciò che loro era dovuto con una frase ad effetto: «Onoreremo il debito».
Il debito è quello contrato con l'isola circa due anni e mezzo fa, i
730 miliardi per la Rinascita della Sardegna centrale, e quello insoluto da un pezzo, il
rimborso sull'Irpef di oltre 1000 miliardi maturato negli ultimi dieci anni. Un bel
risultato se non si riflette sul fatto che la Sardegna, da questo stato fiscalista e
debitore insieme, vanta crediti ben più ampi. Crediti cinquantennali ai quali mai è
stato fatto onore, ed ai quali si è sempre data una risposta episodica in momenti di
particolari crisi, facendo sempre la cresta su ciò che si doveva restituire, con una
politica elemosiniera e stracciona che desse, alle segreterie dei partiti italiani in
Sardegna, l'occasione di montare campagne sull'utilità della cosiddetta "unità
nazionale" e continuasse ad assicurare consenso ad uno Stato che resta estraneo ai
nostri bisogni e nemico degli interessi dei sardi. Dico questo non certo per assolvere le
gravissime responsabilità di una pavida e telecomandata giunta regionale che non riesce,
anche perché dilaniata da troppi interessi, a spendere neanche il trenta per cento dei
capitali di cui dispone ma perché dobbiamo prendere atto che la Sardegna è a tutti gli
effetti terzo mondo. Lo è non per ragioni di Dna ma per le condizioni generali del
sistema e per le gravissime responsabilità delle sue classi dirigenti.
Ecco allora che mentre il sistema Italia riesce rapidamente ad inserirsi
nella ripresa dell'economia internazionale, vede la sua produzione aumentare e la
disoccupazione diminuire sensibilmente, per la nostra terra, una volta assolto il compito
di colonia dissanguandosi e ponendosi fuori dalla via dello sviluppo, non resta che un
futuro di dipendenza, di assistenzialismo e di miseria.
Dall'Unità ad oggi il nord Italia è cresciuto economicamente perché
lo Stato ha garantito tutte le risorse, in termini di capitali ed uomini, fossero drenate
dal sud al triangolo industriale costituendo un sistema squilibrato che ha in sé la
madrepatria e la colonia. Quando prevedemmo che, per la Sardegna, un futuro di disastrosa
continuità con un passato di rapina finanziaria, avrebbe seguito al crollo del sistema
del potere democristiano-socialista ed all'avanzata del nordismo, capimmo che la nascita
di un movimento per l'uscita dalla dipendenza coloniale era la condizione indispensabile
perché il nostro popolo, con le sue tradizioni, la sua storia millenaria e la sua
identità nazionale potesse ottenere i propri diritti. Questa consapevolezza che proprio
nell'autogoverno stanno le risposte ai problemi, ci portò a definire il progetto della
Casa Comune dei Sardi. Si trattava di superare inutili steccati per ricostruire l'unità
del nostro popolo che il colonialismo aveva disgregato. Dare un deciso segnale a tutti i
sardi che avevano perso il senso di casa. Costruire fiducia e speranza per coloro che
pensano d'esser stati inghiottiti e digeriti da società più ampie e che, considerando un
destino ineluttabile quello d'essere subalterni, non s'accorgono che il peggio deve ancora
venire perché più cresce l'internazionalizzazione delle economie degli stati-nazione e
più sarà dannosa l'odierna subalternità politica. Senza soggettività politica
internazionale la Sardegna sarà sempre più relegata in area di marginalità, vivrà la
catastrofe della dipendenza e del sottosviluppo e vedrà decadere persino le potenzialità
che gli verrebbero dal suo essere Isola, non più isolata ma centro di relazioni
mediterranee ed europee.
Dovremmo avere il coraggio di stare nel gioco del mondo, di osservare
l'enorme gamma di colori che compongono l'arcobaleno quando questo sorge dalle terre del
pianeta, e non appiattirci sugli eterni grigiori delle aree metropolitane che opprimono
persino le acide pozzanghere romane e milanesi. Dovremmo avere il coraggio di ritornare di
nuovo a casa per trovare le radici di una nuova e moderna prosperità. Dove la
disoccupazione non devasti più la nostra gente, dove l'eredità culturale non sia
cancellata dalle sole logiche di guadagno, dove il peggiore affarismo metropolitano non
continui ad uccidere le nostre menti.
La nostra casa è il posto comune a tutti noi ma anche un luogo dello
spirito che altri non hanno più. È la sede di una millenaria cultura dove trovare la
forza di cambiare il presente.
Il fallimento dei modelli d'importazione è evidente. È la storia della
"rinascita", di una industrializzazione estranea ed assistita, ma è anche la
storia delle banalità prese in prestito, di una falsa "modernizzazione" che ha
prodotto la distruzione della nostra economia storica, lo spopolamento dei nostri paesi ed
ha innescato un processo di devastazione del nostro ambiente naturale. Della nostra casa
comune. Chi doveva, con entusiasmo, lavorare per la sua difesa e schierarsi ha invece
pensato bene di tutelare le proprie poltrone, di invischiarsi negli estenuanti giochi del
potere e del sottogoverno, ed incapace di cambiare se stesso, ha finito di perdere una
faccia ormai compromessa da esperienze già vissute.
Eppure vi è ancora una grande base sociale che attende di scendere in
campo. Essa è formata da tutti quei sardi che aspettano il partito che non c'é. Un
partito che non c'è ma pure è vivo in tutte le vicende sarde. Un partito al quale si
rivolgono, per esorcizzarlo, ogni giorno i partiti italiani. Questi lo carezzano, lo
imboniscono, lo adescano perché non scenda in campo. Gli raccontano la bella fiaba
dell'unità dei parlamentari sardi, della infinita "vertenza Sardegna", la
favola del voto di sovranità e dell'autonomia non realizzata, gli narrano storie perché
resti bambino e non si svegli dai suoi sogni infantili. Gli danno caramelle perché non
pianga e non cresca. È il grande timore degli schieramenti di centro sinistra e di centro
destra. Perché senza mai essere presente nella scheda elettorale è il vero oggetto
politico che ciascun partito ambirebbe possedere. Ma nessuno può impadronirsene perché
è proprietà indivisibile di tutti i sardi. Qualcuno ha cercato di parlare in suo nome
trasformando il bisogno dei sardi all'unità nazionale in misere alleanze elettoraliste di
potere. Così per il Psd'Az che affogato nel suo autoritarismo, vanificata la sua
identità sardista si è omologato al centrosinistra dei partiti italiani. Eppure il
grande patrimonio sardista sopravvive a questa fine ingloriosa. Esso è il partito che non
c'è, e la sua sede sta in ognuno di noi. Nel minatore che difende il suo lavoro, nel
pastore e nel contadino che difendono la vita delle campagne, nell'intellettuale che cerca
la sua storia e la sua lingua, nel giovane che odia una servitù che lo fà subalterno
della disoccupazione.
Sardigna Natzione non crede di rappresentare tutto il sardismo né
pretende di parlare in suo nome. Il nostro compito non è quello di essere il partito di
tutti i sardi, ma di lavorare per costruire le condizioni perché questo possa sorgere.
Noi gridiamo perché il partito che non c'é si svegli, si alzi in piedi ed occupi il
campo.
ANGELO CARIA Unione Sarda 25/11/95
|
|
|
La questione sarda e i parlamentari
Quel partito trasversale
Dal centro vicino alla sinistra e dal centro vicino alla destra
vengono segnali che la Casa comune dei sardi è una costruzione che comincia a
interessare. Paolo Maninchedda ne parla come partito autonomistico sardo, Mario Floris
prospetta l'indipendenza dei partiti sardi e entrambi evocano una prospettiva catalana, un
processo, cioè, di convergenza e di unione di partiti e movimenti intorno ai diritti e
agli interessi collettivi, nazionali, dei sardi. Qualcuno, con l'aria trionfale di chi ha
scoperto i più segreti meccanismi della fusione dell'atomo, proclama che la Sardegna non
è la Catalogna. Constatazione che apre la strada a entusiasmanti giochi infantili: la
Sardegna non è un cavallo a cinque zampe né un presepe bizantino. Ma per i sardi quello
catalano potrebbe essere un modello da studiare né più né meno di come in Italia si
studiano i modelli presidenziali francesi o americani e quelli federali tedeschi.
Ho la sensazione che i due poli maggiori si dividono quando si tratta di
prospettare soluzioni per il governo dello Stato e hanno, invece, una singolare unità di
vedute quando si tratta di affrontare la questione sarda. Unità non su tutto ma su alcuni
grandi problemi. La divisione, quando c'è, è su concetti come l'autodeterminazion e la
sovranità. Non è questione che opponga un polo all'altro, quanto internamente settori
dello stesso polo che, così trovano alleati nell'altro: è quello che si chiama
atteggiamento trasversale. Per cui mi è capitato di prospettare questa problematica a
candidati e uomini di schieramento e di trovare in sintonia da una parte rappresentanti di
Alleanza Nazionale, del Pds e del Partito Popolare e dall'altra del Pds, di Sardigna
Natzione, del CCD e, del Psd'az e dei Pannelliani. Forse è anche giusto affermare, come
mi è stato fatto, che gli eletti al Parlamento italiano non si possono sostituire al
sistema dell'autonomia né ad esso sovrapporsi. E che è improponibile realizzare in
Parlamento un modello catalano che non esista nella società sarda, dove spesso le
divisioni derivano da esigenze di "visibilità" quando non di di personalismi.
Non si può dargli torto, soprattutto quando oggi assisti alla nascita di un nuovo
movimento, quello nazionalista sardo, che non va tanto ad occupare uno spazio lasciato
vuoto quanto a tentare di coalizzare sottilissimi e incomprensibili distinguo ideologici.
Questo non toglie che la contiguità con problemi, diciamo così, alti, non debba indurre
i parlamentari sardi a sperimentare la strada dell'unità (o anche della divisione) per un
atteggiamento comune, non di schierimento predeterminato, anche nel voto al Governo
nacente. Un'eresia? Forse lo sarebbe per parlamentari che rispondano più a interessi
esterni che a quelli interni di coloro che gli hanno mandati a rappresentarli; non lo è
certamente per quanti decidessero di contrattare con il governo soluzioni speciali per la
specialità sarda. Per dirne una, da quel che si legge nel governo Prodi siederanno sia
l'attuale primo ministro Dini sia l'attuale ministro della Pubblica Istruzione Lombardi,
l'uno e l'altro responsabili della chiusura nelle scuole sarde di altre 400 classi.
L'Unione ha parlato così a lungo degli effetti devastanti per la nostra civiltà che
avrebbe questa morte perché valga la pena di insistervi. Ebbene, è mai possibile che il
voto dei nostri parlamentari per un governo che comprenda queste persone sia indipendente
da un patto politico e sociale che preveda la scongiura di un tale disastro?
Gianfranco Pintore
Unione
|
|
|
La casa comune dei sardi
Ma serve davvero la Repubblica dei fichi d'India?
In due distinti interventi Bustianu Cumpostu e Lorenzo Palermo,
avanzano una medesima proposta: quella di una Consulta dei sardi o di un Assemblea
permanente del popolo sardo. Devo essere sincero: mi sfugge di cosa si possa trattare.
Perché se si intende alludere ad una assemblea eletta dai sardi, in modo proporzionale,
incaricata di legiferare con autonomia e di governare la Sardegna, bene, allora vorrei
indicare al segretario nazionale del partito Sardo d'Azione che quell'assemblea già
esiste. Addirittura esiste anche quel «luogo fisico» di cui Lorenzo Palermo vagheggia:
si chiama Consiglio Regionale della Sardegna e lo si può indicare a Cagliari, nella via Roma, in un
avveniristico edificio bianco.
Quanto al secondo desiderio, quello di vedere lì «i sardi lavorare in
pace per la loro libertà», me ne dolgo, ma - perlomeno nell'immediato - pare meno
realizzabile, considerando che la maggioranza di quei rappresentanti dei sardi,
democraticamente eletti, lavora poco e governa assai meno. Ma questo è noto, sia ai sardi
che conoscono l'attivismo di questa Giunta, sia a chi guida un partito che concorre a
governare l'isola.
Potrebbe, però, essere che non avessi ben compreso lo spirito ben più
nobile delle proposte sardiste. In questo caso l'idea di Palermo e Cumpostu parrebbe
consistere in un'Assemblea non elettiva, ma volontaria e unita dal vincolo della sardità:
ne farebbero parte i «migliori uomini della Sardegna», affratellati dall'afflato magico
della stirpe.
Tralascio l'ironia - della quale mi scuso - per chiedere più seriamente
ai due maggiori leaders sardisti di quale federalismo si tratti nei progetti delle
rispettive formazioni politiche. Nei paesi di cultura anglosassone la sezione preliminare
di ogni trattato scientifico o dei dispositivi delle norme di legge è dedicata alle
precisazioni terminologiche, aspetti formali pur se direttamente riconducibili alla
sostanza dei problemi.
Bisogna, insomma, intendersi: il Partito Sardo e Sardigna Natzione
desiderano la stessa cosa, e cioè una repubblica sarda che provveda ad una sua
legislazione in materia penale, amministrativa e civile? Oppure agognano che la Sardegna
possa vedersi riconosciute - compiutamente - dallo Stato le sue specificità ed una
Autonomia reale ed efficace? Ovvero si intende parlare dell'esigenza complessiva di un
decentramento, con l'attribuzione alle Regioni di poteri ora di esclusiva competenza del
Governo di Roma?
Sono molti i fattori di cui una seria ed articolata discussione deve
tenere conto, perché, tra l'altro, tra la specificità della Sardegna di cui è doveroso
tenere conto, v'è anche un sottosviluppo economico e produttivo che non mi pare ci
consentirebbe di camminare saldamente sulle nostre gambe. Si rischierebbe - se mi si
consente - di creare una Casa comune, ma inutile dei sardi.
Per la Sardegna - per ora - sarebbe sufficiente una Giunta regionale che
faccia valere il suo lavoro e ricordi al Governo della Repubblica di avere uno Statuto
speciale. Serve lavoro, servono incentivi alle imprese, serve spendere i fondi che
l'Unione Europea dedica alle Regioni svantaggiate come la nostra. Serve meno - a mio
modestissimo avviso - creare una Repubblica dei Fichi d'India,
materia di cui siamo veramente ricchi.
* Consigliere regionale
di Forza Italia
Unione sarda 01-07-96 |
RISPOSTA A PIETRO PITTALIS DI F.I.
LA CASA COMUNE DEI SARDI
Lintervento di Pietro Pittalis,
consigliere regionale di F.I. sulla Casa Comune merita qualche osservazione sia sui
contenuti che sui toni.
Senza riferimenti a persone singole ma a
categorie politiche e culturali intervengo con piacere sullargomento.
Quando un popolo colonizza unaltro
popolo oltre che distruggerne la cultura, la lingua, leconomia e rapinarne le
risorse si premura di costruire una classe intermediaria, comporadora, con il compito di
cantare le lodi del padrone, la sua prodigalità ed il suo paternalismo e di evidenziare
quanto sarebbe misero il vivere del colonizzato senza la disinteressata benevolenza del
colonizzatore.
Allinterno di una nazione negata,
ognuno ha un suo ruolo, cè chi sceglie di lottare per la sovranità del proprio
popolo sulla propria terra e chi sceglie di essere organico alla sudditanza nei confronti
del dominatore di turno.
La casa comune dei sardi è il punto
dincontro di quei sardi che hanno scelto, pur con diverse motivazioni e per diverse
soluzioni, il primo schieramento, non riguarda e non può interessare chi continua a far
credere che la questione sarda sia risolvibile togliendo al potere la maschera
dellulivo e facendole indossare quella del polo.
La Casa Comune, non è il palazzone di
via Roma, come dice Pittalis e non ha niente a che vedere con lattuale consiglio
regionale, che in quanto organico ai partiti italiani è solo la casa comune degli
intermediari. La Casa Comune è alternativa ad esso e vuole essere lo strumento per creare
le condizioni per lautogoverno e la sovranità
del popolo sardo.
In quanto a Sardigna Natzione, la sua
scelta è chiara, siamo per lindipendenza della nazione sarda, siamo convinti che
non si possa parlare di federalismo se prima tutti gli stati membri non hanno conseguito
la piena sovranità sulle proprie scelte.
Altro che repubblica dei ficchi
dindia, caro Pietro Pittalis, abbiamo la pretesa di proporre allItalia e
allEuropa lunico modello di società possibile, se si vuole aggregare e non dividere i popoli.
La soluzione che tu proponi, alternanza
tra Ulivo e Polo, i sardi lhanno già subita è vecchia e disastrosa, non è altro
che la riproposizione del vecchio gioco tra centrosinistra
e centrodestra.
La vera proposta politica nuova è la
Casa Comune che vuole essere costruita da quei migliori sardi che hanno avuto
il coraggio di affrancarsi dalla partitocrazia italiana e proporsi alla guida del proprio
popolo per dargli lopportunità di dimostrare che
la nazione sarda ha risorse culturali ed economiche sufficienti per vivere senza elemosine
e per presentarsi in Europa e nel Mondo con dignità e soggettività proprie.
LHandicap del sottosviluppo
economico e produttivo, che secondo Pittalis, ci impedirebbe di camminare con le nostre
gambe è unicamente frutto della politica che lui propone non di quella dell
autogoverno dei sardi proposto dalla Casa Comune.
Se cè qualcosa di inutile quindi
non è certo la Casa Comune ma la vecchia politica della finta alternanza che non solo ha
impoverito i sardi ma li ha anche privati della loro dignità convincendoli di essere una
massa di assistiti non in grado di assicurare la propria sopravvivenza.
In quanto allironia del Pittalis,
sulla nobiltà delle proposte sardiste e sullafflato magico della stirpe rientra nei
luoghi comuni utilizzati da chi non si sente allaltezza di riconoscere i problemi
reali e cerca di eluderli riducendoli sul piano del ridicolo e dellironia.
Se Pittalis vuole proporre ai sardisti
la nobiltà e lafflato magico che anima i componenti di Forza Italia, faccia pure ma
prima ci spieghi se il tono è ironico o meno.
La nostra isola purtroppo non è solo
ricca di ficchi dIndia ma anche di politici che non sanno essere organici al loro
popolo e mentre i primi si possono esportare i secondi purtroppo no .
Bustianu Cumpostu
Coordinatore Nazionale |
|
SARDINIA NATZIONE: No
all'accordo Stato-Regione
È uno scippo contro la sovranità dei sardi
Per il presidente Palomba l'accordo firmato con il ministro Baratta è
un fatto storico. Ha senz'altro ragione: il nostro presidente ha scritto una nuova pagina
della storia della Sardegna, una storia che racconta i soprusi, le umiliazioni e le
espropriazioni subite dal popolo sardo.
Con questo accordo si è infatti imposta una nuova servitù, un altro
pezzo del territorio nazionale dei sardi e stato tolto dalla nostra pur limitata
sovranità ed è diventato Parco nazionale (italiano), affidato alla gestione di un Ente
Parco che di fatto esautorerà i Comuni interessati ed assumerà competenze tali da poter
mettere veti sulla gran parte delle deliberazioni delle amministrazioni comunali. Alcuni
Comuni perderanno il controllo sull'80% dei terreni comunali e sulle relative risorse,
questi beni appartenenti a tutti i cittadini di quel comune verranno di fatto espropriati
e interno del comitato di gestione conteranno quanto quei comuni che al parco hanno
contribuito con percentuali irrilevanti di territorio da vincolare.
Alcuni comuni avranno da perdere ed altri da guadagnare, ciò, secondo
Sardigna Natzione, può comportare delle tensioni sociali difficilmente controllabili e
dai risvolti imprevedibili.
Il presidente Palomba si stupisce che il Comune di Porto Torres abbia
fretta e voglia subito il parco dell'Asinara mentre i sardi pelliti del Gennargentu, come
al solito, fanno resistenza. Qualcuno dovrà far capire al presidente che tra i due fatti
c'è differenza: nel primo caso si tratta di un acquisto di sovranità sul proprio
territorio comunale, nel secondo la sovranità è in rilevante perdita.
Con questo non si vuole dire che Sardegna Natzione vuole iniziare una
lotta contro i parchi, la nostra lotta è sempre la stessa, siamo assolutamente contro
qualsiasi provvedimento che tolga ai sardi il controllo delle proprie risorse e del
proprio territorio.
Siamo convinti che sia possibile un altro tipo di parco, un parco
rispettoso delle popolazioni interessate, che le veda partecipi e protagoniste nelle
scelte fondamentali riguardanti il loro territorio ed il loro possibile viluppo.
BUSTIANU CUMPOSTU
Vicecoordinatore di Sardigna Natzione
Unione sarda 02-01-96 |
Via sarda al federalismo
Casa comune aperta all'Europa
Sono trascorsi ormai due anni dalle ultime elezioni regionali e
sul fronte delle riforme istituzionali, ed in particolare dello Statuto d'Autonomia non
c'è nulla di nuovo.
È venuta meno la tensione antonomistica in Sardegna e tra le
Regioni, è venuto meno quel coerente e incalzante confronto tra la conferenza delle
Regioni, ed in maniera specifica delle Regioni a Statuto Speciale, ed il Parlamento
Nazionale, che ha caratterizzato i primi anni novanta, che aveva registrato significativi
risultati sul piano del metodo e dei contenuti.
Erano i temi della "forma di Stato" e della "forma di
governo", una opzione federalista complessiva largamente condivisa e che
salvaguardava le "specialità autonomistiche" consolidate.
Temi giunti anni fa ad una convinta concreta maturazione, che solo la
miope strategia di alcune forze politiche non hanno consentito che approdassero in
Parlamento dimodoché hanno potuto prendere il sopravvento, purtroppo, i venti
secessionisti della Lega, che oggi ci richiamano tutti ad una responsabilità giuridica
ineludibile, diventata drammatica sotto il profilo politico, economico-sociale e della
stessa convivenza civile.
Il federalismo, l'indipendentismo, il secessionismo, l'autonomismo sono
termini comuni nella coscienza del Paese e devono trovare coerenti e urgenti risposte a
livello istituzionale.
In Sardegna è convinzione generale che la risposta sta nella "casa
comune dei Sardi", da costruire con determinazione, coesione e coraggio, attraverso
una moderna piattaforma autonomistica per ottenere reale e pieno riconoscimento dei
diritti e delle peculiarità della comunità sarda, come anche altri interlocutori
sostengono.
Se così è, la costruzione "della casa dei Sardi" e quella
dello Stato federalista deve avvenire senza confusioni, prendendo atto che c'è un
cambiamento direzionale dell'economia e dello sviluppo.
Si sta passando, tra l'altro, da una questione meridionalista ad una
questione settentrionale, nell'apparenza contrastanti ma non separabili nella sostanza,
con le quali occorre fare i conti puntigliosamente, per evitare che all'interesse per le
zone più povere e piene di disoccupati si passi al sostegno indiscriminato di quelle
opulente che vogliono correre verso l'Europa
mentre noi scivoliamo verso l'Africa.
Come rispondono i movimenti ed i partiti politici a questa nuova
situazione, a questa sfida? Il fattore economico passa fondamentalmente attraverso la
contrattazione politica ma qual'è il punto d'arrivo?
Per noi sono il federalismo e l'istituzione della zona franca per la
Sardegna. Dobbiamo ripartire dalla nostra condizione di Regione a Statuto Speciale, da un
riconoscimento, che c'è già, di una serie di peculiarità geografiche e storiche, di
cultura e di tradizioni che sono patrimonio proprio e inalineabile della Sardegna,
specifico della nostra terra e unico al mondo.
Lo Statuto sardo va accuratamente rivisitato, modificato e aggiornato.
Come tutte le cose umane mostra, infatti, il segno dei tempi.
Mutamenti storici, politici, scientifici e tecnologici lo rendono
inadeguato, anche se in parti fondamentali deve essere ancora attuato. Penso al potere in
materia di ordinamento degli Enti locali, per fare un esempio. Penso alle competenze sul
credito. Punto di partenza, dunque, le modifiche dello statuto, alcune delle quali devono
necessariamente coinvolgere tutti i sardi, attraverso referendum.
La nuova Regione deve guardare all'Europa. I giovani avvertono
l'esigenza di nuovi spazi, di contatti culturali nuovi e più vasti, di scambi sociali e
tecnologici, in una parola di "modernità".
Il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche passa, infatti,
attraverso un fecondo rapporto con l'Europa, il nostro partner privilegiato non si chiama
più Roma ma
Bruxelles.
Quindi dobbiamo percorrere non la strada di un'angusta nazione
autarchica sarda ma, al contrario, di una Regione che sappia far valere le sue
peculiarità, il rispetto per le sue tradizioni, valorizzando il patrimonio storico,
paesistico e culturale, facendo emergere le capacità intellettuali e professionali del
suo popolo.
Il patrimonio dei Sardi è patrimonio del nostro Paese e di tutti i
popoli, la nostra autonomia, con il federalismo, deve poter dialogare direttamente con
l'Europa e con il mondo, strumento per creare sviluppo duraturo e certo e per dare
prospettiva al nostro futuro.
* coordinatore regionale Ccd
Unione Sarda 04-06-96 |
Dibattito
Un popolo, noi Sta qui il partito che non c'è
La Casa comune dei sardi, la Sardegna, è quasi spianata.
Qualcuno minimizza il disastro, o crede ancora in vecchie favole e si aggrappa a un
Presidente della Repubblica, insopportabile predicatore, o a un Primo ministro, anfibio
tra palude tecnocratica e pascoli politici. Ma il disastro è qui e ne siamo responsabili,
comunque la si rigiri, noi sardi, noi popolo sardo.
Anche noi, abbiamo creduto per quasi quarant'anni nelle favole. Quella
della questione sarda come «questione nazionale» e, cioè, come problema che lo Stato,
in concorso con la Regione, avrebbe dovuto risolvere con massicci interventi finanziari e
di altra natura. Della Casa sarda simile alla Lombardia. Della Rinascita. Della Autonomia
regionale come strumento dell'autogoverno popolare. Della grande industria pubblica o
privata. Del pastore in tuta blu. Del sardo perfettamente italofono e anglofono, integrato
nell'Europa dei miracoli e del
razzismo.
I propalatori delle favole sono stati i partiti italiani, una volta
raggruppati nel «movimento autonomistico», e il Partito sardo, antesignano, che hanno
potuto accreditarsi imponendo alla Regione una sorta di prodigalità pelosa, la
«pioggia» di quattrini e di corruzione politica al dettaglio e all'ingrosso.
Altre vecchie favole incombono e minacciano la nostra residua esistenza
di popolo. Quella del «libero mercato», perchè questo esiste soltanto nei manuali di
economia, raccontata da tutti i partiti, perchè nella notte delle ideologie ogni partito
si tinge di grigio-liberale. In realtà, il cosiddetto libero mercato è una ferrea
organizzazione, con forti connotati criminali, gestita dai più grossi gruppi industriali
e finanziari mondiali, e dagli Stati che la sostengono, che impone l' antropofagia
commerciale su scala planetaria e devia l'economia dalla produzione di beni e servizi per
le collettività alla profusione di merci per la ricchezza e potenza di quei gruppi e
Stati.
Chiarisco che non sono contrario per principio nè all'intervento dello
Stato nè al «libero mercato», ma a considerarli divinità munifiche e affidabili,
perchè organizzazioni con le quali si tratta sempre pericolosamente e si convive
conflittualmente. E sono irriducibilmente contrario a barattare la nostra lingua, la
cultura, o altro per quattrini.
Forse che la rinuncia ai nostri diritti linguistici ci ha dato lavoro,
come dicevano i sindacalisti? Forse che l'accantonamento della nostra identità,
fortemente voluto dalla maggioranza degli intellettuali, ha portato miglioramenti alla
nostra economia?
L'aver acconsentito all'etnocidio ci ha fatto perdere economia e lavoro.
Consegnandoci corpo ed anima a divinità perverse abbiamo perso latti e cardaxu.
Allora un discorso nuovo non può muovere da residuati ideologici. Deve
muovere da un fatto: la riscoperta della nostra anima, l'affermazione della nostra
identità. La nostra anima non è un «oscuro simbolo egizio» come pretendeva Camillo
Bellieni. La nostra identità sarà sepolta, ma è viva. È spirito di indipendenza che
non soccombe mai del tutto alla dominazione e al dominio. È diffidenza, resistenza,
dissidenza, latitanza. È un'anima-identità libertaria non per arroccamenti ma per
comportamenti secondo giustizia. «Menzus terra chena pane, che terra chena giustiscia»
decreta una antica massima sarda.
C'è da sviluppare la carica progettuale della nostra identità. Per
ricavarne norme e progetti relativi a forme di comunità politica diverse sia dallo Stato
che dalla Regione e di associazione politica diverse sia dai partiti-guida che dai
partiti-clientela. Per riorganizzare un'economia del lavoro e della prosperità.
Forse «il partito che non c'è», esiste già nella mente di molti
sardi. Ma è probabile che a farlo emergere non sarà una azione puramente politica ma un
grande fatto culturale tutto da inventare: il Congresso della cultura e della identità
dei sardi.
Unione Sarda 06-12-96 |
La casa comune dei sardi
Una sfida al di là dei soliti schemi
Sbaglia chi pensa che l'iniziativa di numerosi esponenti
dell'area nazionalitaria per tentare di costruire la "casa comune" dei sardi sia
finalizzata alla creazione di un nuovo partitino, magari con il suo bel Comitato centrale
e in competizione sul mercato elettorale.
L'iniziativa tende invece a dar vita a un grande movimento nazionale
sardo, che aggreghi le migliori energie intellettuali, professionali e produttive, per
costruire, con e per la gente, sarda, un progetto di prospettiva, libertà e sovranità.
Inutile nascondersi che tale polo nazionale sardo, presuppone per
intanto, per essere credibile e affermarsi, il coagulo di tutto il "sardismo
diffuso", l'unità di tutti i federalisti e indipendentisti comunque oggi collocati,
con o senza tessere.
Epperò la "casa comune" non si costruisce assemblando un po'
di vecchio ceto politico ormai alla diaspora o recuperando qualche scontento o dissidente
dei vecchi partiti; si costruisce invece nella temperie dell'iniziativa politica.
Ma soprattutto aprendo un grande dibattito, senza rete e senza
preclusioni; innescando un processo, necessariamente lungo che abbisogna di un lavoro
certosino; intraprendendo una paziente ricerca che senza fretta di "chiudere" e
di definire linee e prospettive, individui con nettezza temi e valori comuni che
aggreghino e unifichino soggetti, gruppi e movimenti, anche di provenienza ideologica
diversa ma interessati oggi a dar vita a un polo politico sardo, capace di affermare e
sostenere i diritti e gli interessi della Nazione Sarda. E di rappresentarla. In Europa come in Italia. In cui, dopo
la decapitazione del Psd'Az, sia nel Parlamento italiano che in quello Europeo - e la sua
sostanziale marginalità nella Regione, i Sardi sono senza rappresentanza politica.
Non fa quindi meraviglia che i due poli, sia quello di Prodi che quello
di Berlusconi, presentino programmi sostanzialmente omologhi, se non nei dettagli, e
convergano nella identica filosofia, tutta nordista, metropolitana e industrialista, che
considera l'Isola e il Meridione una palla al piede per lo sviluppo. In cui nel passato ci
si poteva anche permettere di alloccare un po' di risorse finanziarie e di devolvere un
bel po' di miliardi. Non per creare però "sviluppo", bensì semplicemente per
oleare il meccanismo, perverso e infernale dello statalismo assistenzial-clientelare che
ha invece prodotto "sottosviluppo".
Il tutto favorito e mediato o comunque accettato da una classe politica
sarda, imbelle e incapace di progettualità e di scelte autonome, subalterna alle
segreterie dei Partiti metropolitani e del Governo romano. Cui periodicamente si
rivolgeva, con il capello in mano, per questuare altri miliardi, che, spesso - ma succede
anche oggi - non riusciva neppure a spendere.
Ebbene, costruire "la casa comune" dei sardi significa voltare
radicalmente pagina rispetto a questo passato segnato dalla subalternità e dal
piagnisteo, per tentare di dar vita a un grande progetto economico, politico,
istituzionale e culturale che rompa definitivamente con la omologazione, lo statalismo e
l'industrialismo che in Sardegna ci consegnano, dopo decenni di promesse di Rinascita, di
illusioni petrolchimiche e programmatorie, un cimitero di industrie e di ruderi, un
territorio gravemente devastato e depauperato, un ambiente degradato e inquinato, un
tessuto economico distrutto e sconvolto negli equilibri e nelle vocazioni naturali, interi
paesi in via di spopolamento e di estinzione. E non parlo dei 300.000 circa disoccupati.
A fronte di ciò - ha scritto Elisa Nivola - «la Regione si è fatta
Stato e l'Autonomia si estenua nei tempi morti della burocrazia, nei giochi simulati dei
vassalli che chiedono a Roma
gli inutili riti dell'investitura». Per questo aumenta a dismisura il distacco fra la
gente e la Regione, vista dalla maggioranza dei sardi oramai, come controparte se non
nemica. Una Regione - aggiunge Nivola - «di cui l'invalicabile Palazzo di via Roma a
Cagliari, blindato e dalle porte chiuse, enfatizza e ribadisce la separazione fra la
piazza e lo Stato, fra i dannati della terra e gli addetti ai lavori».
Ma è possibile che i «dannati della terra» possano ancora sperare in
una loro salvezza e redenzione?
La mia risposta è sì, ma a patto che il riscatto e la liberazione
siano capaci di costruirla con le loro mani, iniziando a recuperare il senso di
appartenenza e delle radici, ovvero «quell'umore esistenziale del proprio essere sardo,
come individui e come gruppi, che in ogni momento, nella felicità e nel dolore delle
epoche vissute, ha reso i sardi costantemente resistenti, antagonisti e ribelli, non nel
senso di voler fermare, con l'attaccamento spasmodico alla tradizione, il movimento della
vita e della loro storia, ma di sprigionarlo il movimento, attivandolo dinamicamente,
dalle catene imposte dal dominio esterno» (G. Lilliu).
* Dirigente Css
Unione Sarda 07/01/96 |
E la Casa comune?
Sempre divisi sia a destra che a sinistra
Fra le molte decine di persone che, ai funerali di Angelo Caria,
hanno sottoscritto il giuramento di essere fedeli alla patria sarda, poi messo accanto
alla salma, c'erano anche quelle di persone che non militavano nel movimento di Angelo. Ho
pensato lì per lì che si trattasse solo di un riconoscimento affettuoso e addolorato
all'uomo che si salutava per l'ultima volta e alla sua coerenza. Ma poi, di politici e
intellettuali con cui si ricordava la sua ricerca quasi spasmodica dell'unità dei sardi
nella loro casa comune, non uno, fosse di centro, di sinistra o di destra ha negato che
quella potesse e dovesse essere una prospettiva. Giuramento formale o no, la Sardegna e i
suoi interessi non potevano non essere il fulcro dell'azione politica, della ricerca
culturale, dei progetti e dei programmi e perché no di una comune utopia.
E invece il 21 di aprile andremo a votare divisi ancora una volta non
sulle scelte grandi e piccole che riguardano direttamente l'isola, ma su questioni che ci
mettono in mezzo volenti o non volenti. Ancora una volta non saremo stati capaci di
preparare un programma per noi, apprestandosi invece a scegliere fra i programmi altrui,
programmi nei quali siamo e saremo costretti a riconoscerci per vaghi accenni a un
regionalismo riverniciato, a un ectoplasma di meridionalismo, al riconoscimento che nello
stato italiano esistono aree svantaggiate.
So benissimo che ci si chiede di eleggere il parlamento dello stato e
non quello della Sardegna e che, quindi, partiti e coalizioni italiani a questo badano.
Tutto questo non solo non stupisce, ma meraviglierebbe un procedimento diverso. Angoscia,
invece, la inconsapevolezza succube e subalterna di chi ci chiederà di schierarci
indipendentemente da un progetto per la Sardegna e dalla sua accettazione da parte
dell'una o dell'altra coalizione. In epoca di pragmatismo, i sardi saranno chiamati a
votare ideologicamente a sinistra per paura della destra e viceversa.
E poco conta che sulla soluzione di problemi concreti, la specificità
del "noi sardi" e il comune riconoscersi in questa identità (nazionale per
alcuni, etnica per altri o solo autonoma per altri ancora) rimescolino le carte e uniscano
o dividano trasversalmente. Grandi questioni come rapporto fra comunità e ambiente, lotta
alla iperfiscalismo di Stato, organizzazione dei servizi primari, critica ai modelli
industriali e ricerca di nuove vie per il sistema economico sardo: su queste e molte altre
esistono politiche di destra e di sinistra, naturalmente. Ma non per forza quel che è
sinistra in Italia lo è in Sardegna o ciò che è destra oltre il mare lo è anche qui.
Molto più saggio sarebbe prender atto di ciò e individuare e nominare
i problemi concreti e da questi trarre l'ispirazione per un programma e un pacchetto di
soluzioni condivise e con questi presentarsi non solo ai sardi per ottenerne il voto ma
soprattutto alle grandi coalizioni statali per pattuire l'attuazione di essi contro
l'appoggio in parlamento. Questo sogno, che era di Angelo Caria ma non solo suo, rimarrà
un sogno. E continueremo a chiederci chissà per quanto ancora perché mai la politica non
riesca a essere conseguente alle sue ispirazioni. Perché, voglio dire, anche le migliori
intelligenze che pure frequentano i partiti debbano costantemente allargare le braccia e
dire "sarebbe bello, ma... ", anziché sperimentare concretamente se ciò che è
bello è anche possibile, o almeno programmabile.
Noi avremmo, ne sono sicuro, una grande opportunità di dimostrare che
autonomia e prosperità sono due facce della stessa medaglia e non, come teme la parte
più idiota del mondo politico, la prima insopportabile fardello e la seconda frutto, sia
pure acerbo, di benevolenze esterne. Basterebbe essere autonomi dentro ancor prima che
istituzionalmente, vedere nell'autonomia il senso pieno del nostro essere sardi.
Unione Sarda 07-03-96 |
Dibattito
La casa dei sardi? Ma ci vuole un vero progetto
Negli anni lontanissimi del liceo mi hanno insegnato che la
libertà non è un bene che possiamo attenderci ci venga regalato. La vita ha poi
dimostrato la verità di quella asserzione: la libertà occorre conquistarsela. Così per
l'individuo come per le comunità. Altrettanto può dirsi per il federalismo se lo si
intende come la forma di Stato più giusta e più funzionale alla realtà di una
determinata regione del pianeta e non come un artificio propagandistico.
Troppo spesso in questi ultimi anni, nei quali tutti più o meno si sono
scoperti federalisti, la questione è stata sollevata o per risolvere una diatriba su chi
paga le tasse e chi no (in effetti
un chiamarsi fuori dal fallimento finanziario dello Stato) o per superare un ingorgo
politico temporaneo (alleanze elettorali tra forze eterogenee per giungere non
all'attuazione di un programma, ma alla semplice conta dei collegi), oppure, come è
avvenuto di recente, per alleggerire il bilancio dello Stato trasferendone gli oneri sugli
enti locali che avrebbero dovuto imporre un'ulteriore imposizione fiscale.
Di fatto si è poco approfondito il tema perchè le varie forze
politiche che pure si dicono federaliste non hanno palesato - se lo hanno - un loro
progetto di società: la forma dello Stato, infatti, è sempre relativa alla società che
si vuole costruire. Per rinnovare quella attuale, che mi pare non piaccia a nessuno, si
deve cominciare dalle fondamenta. Si deve, cioè, cominciare dai diritti e dai doveri del
cittadino, anche quelli più elementari (come quello alla vita, ponendo mente alla
malasanità). Se tale progetto di società manca nelle forze politiche cosiddette
"nazionali" sembra mancare anche in Sardegna dove pure, nel passato, vi è stata
una elaborazione politica che sovente ha anticipato linee e temi diventati poi generali.
In tema di federalismo si è elaborato in Sardegna molto di più che in
altre regioni, eppure ancora non abbiamo un nostro progetto di Stato federalistico che
prenda atto dei rapporti che si devono instaurare non solo con l'Italia, ma con l'intera Unione
Europea e, quindi, dopo il convegno di Barcellona dei giorni scorsi, con gli altri
"partners" mediterranei. Non è che questi temi non siano stati trattati (basta
ricordare la linea delle "grandi modernizzazioni" della Giunta Melis, oppure
questioni come quelle dell'autonomia energetica o dei punti e zone franche), ma non c'è
la capacità culturale di metterli insieme per armonizzarli in un progetto coerente, punto
di riferimento per affrontare almeno il dibattito con le altre regioni. La tattica non è
niente senza una strategia.
Oggi, che si parla tanto di "casa comune dei sardi"
bisognerebbe individuare una stanza di quella "casa" per riunire intorno ad un
tavolo le forze sociali che dicano come vogliono la scuola, il credito, la sanità, la
previdenza, i trasporti, come possiamo trattare nel commercio internazionale, come e chi
deve governare le autostrade informatiche; come e da chi possiamo essere rappresentati in Europa e con gli altri partners.
Intorno a quel tavolo si formerà allora anche la formazione politica nuova che superi le
contraddizioni di un sistema invecchiato che ormai - come dicono al Censis - mostra una
chiara tendenza suicida. La globalizzazione dell'economia, nella società
dell'informazione, non rende obsolete le politiche regionali, anzi, le rende
indispensabili, non soltanto per la caduta delle ideologie, ma proprio perchè è dalla
dialettica costruttiva tra regioni forti e regioni deboli che nasceranno le nuove
soluzioni per lo sviluppo.
La questione degli extracomunitari non si risolve certo con
provvedimenti di polizia o con l'esercito, ma cambiando il modello di sviluppo. E' questo
il significato del documento di Barcellona, che vuole non soltanto spostare verso il
Mediterraneo il baricentro dell'Unione Europea, ma vuole avere con i Paesi della riva Sud
un rapporto diverso da quello del passato. In questo contesto occorre ritagliare il ruolo
che potrebbe giocare la Sardegna.
Unione sarda 08-12-95 |
SARDIGNANATZIONE
«Io, unico testimone del guasto al fotocopiatore»
Anche nelle case meglio governate si puù guastare un elettrodomestico.
Figurarsi se questo non può accadere nel Consiglio regionale, la casa comune dei sardi,
non sempre per altro frequentata al meglio. C'è chi la considera un personale pied à
terre, chi un oscuro oggetto di desideri, chi un campo per scorribande, chi una occasione
per esibire la propria potenza e non moltissimi il luogo dell'autonomia. E' naturale che
qualcosa si possa guastare. E così, confesso, mi stupisce l'indignazione degli oppositori
per i motivi che hanno giustificato la richiesta di rinviare la seduta di qualche ora:
«Si è guastato il fotocopiatore». Ebbene, io sono in possesso di elementi certi per
certificare che quella è la pura e semplice verità, almeno in parte. Non mi si chieda
però quali, perché tanto me li porterò nella tomba: domando solo che mi si creda.
Intanto, per comprendere bene quale fosse la situazione dei fotocopiatori regionali prima
che il presidente della Giunta chiedesse il rinvio, bisogna avere un minimo di cognizioni
su queste macchine riproduttrici. Ce ne sono di rudimentali, di ottime e di estremamente
sofisticate, capaci di prendere un intero fascicolo e non solo di riprodurlo in centinaia
di copie ma addirittura di rilegarlo. Tutte hanno, tuttavia, un insopprimibile difetto
(quello che è, come vedremo, all'origine del guasto): fotocopiano solo fogli scritti o
disegnati e, al massimo, qualche oggetto inanimato. Tutte, anche quelle della Regione, che
sono fra le più raffinate in commercio. La clonazione, se ci capiamo, è insomma al di
sopra delle loro possibilità. Così, quando l'ufficio della Presidenza ha portato
all'addetto ai fotocopiatori il testo delle dichiarazioni programmatiche di Palomba, le
decine di fogli sono state impilate e, al via, le macchine hanno cominciato a sfornare,
allegre, fascicoli a iosa: una per ognuno degli 80 consiglieri, una per i capi dei partiti
alleati e oppositori, una per ogni giornalista, e così via allegramente fotocopiando il
problema è cominciato. Anzi è esploso quando all'addetto ai fotocopiatori è stato
consegnato un oggetto chiamato «spartizione dei posti in Giunta». «Me ne faccia una
copia», ha ordinato il funzionario. «Anzi, un paio, che può sempre venir bene nel
futuro». L'addetto, uso ad ubbidir tacendo, ha sollevato quella cosa magmatica che gli
veniva consegnata e l'ha alla meglio ricomposta sul piano del fotocopiatore; sistemava un
socialista, ne trasbordava un pidiessino: piazzava un sardista, ne fuoriusciva un
popolare; quanto ai pattisti, meglio non dirne. Fatto sta che, terminata la mesta opera
dell'addetto, il fotocopiatore prima si è bloccato, poi si è messo a fare rumori
indecenti e infine si è rotto. Malamente. E il presidente Palomba è stato costretto,
perciò, a ricopiarsela a mano la «spartizione dei posti in giunta». E' per questo che
gli è venuta così così, pacubeneddu suo.
Gianfranco Pintore
Unione Sarda 09-09-94 |
FEDERALISMO
Un convegno a Roma su Stato e riforme
Anche Sardigna natzione e la Casa comune dei sardi parteciperanno sabato
24 giugno a Roma
-appuntamento alle 10 nella sede del movimento Riforme e partecipazione, in piazza Gentile
da Fabriano - al convegno dei popoli e delle nazioni dello Stato italiano.
La discussione sarà incentrata sull'attuale situazione politica. Si tenta infatti di
creare un nuovo soggetto, alternativo a centrosinistra e centrodestra. Le proposte partono
dalla modifica del sistema elettorale maggioritario, «negazione dei diritti alla
rappresentanza politica dei popoli e delle nazioni dello Stato italiano». Per arrivare
alla creazione di un vero e proprio patto politicoelettorale in grado di rappresentare il
movimento di lotta che mette alla base «l'affermazione del diritto all'autodeterminazione
delle nazioni e dei popoli e la trasformazione in senso federalista dello Stato». Al
convegno parteciperanno tra gli altri Eva Klotz, Luciano De Crescenzo, Francesco Tassone,
Giuseppe Scianò, Lucio Barone, Angelo Caria, Patrizio Rovelli, Massimo Lazzari, Alberto
La Canna, Riccardo Meaggia, Giampiero Marras, Sebastiano Cumpostu e Gavino Sale. Al
termine dei lavori verrà nominato un coordinamento provvisorio per la formulazione di un
programma base dal quale si svilupperà la linea politica unitaria.
Unione sarda 11-06-95 |
Dibattito
Un progetto comune per i sardi
Il quesito posto da Bachisio Bandinu nell'Unione del 6 maggio, se la
questione sarda possa essere affrontata e risolta all'interno dei due poli italiani,
oppure se debba essere gestita da un terzo polo tutto sardo, credo sia l'argomento di
dibattito più interessante e attuale che il piatto scenario politico offra oggi in
Sardegna. Si va delineando infatti una sempre maggiore attenzione da parte di molti
partiti, intellettuali, gente comune, non solo di stretta osservanza sardista, verso
quella casa comune dei sardi che Angelo Caria, seguendo una sua personale intuizione,
aveva iniziato a sviluppare per la creazione nell'isola di un "polo per la
Sardegna" nazionalitario, indipendentista ed etnofederalista.
«Meglio un sicuro saggio sardista a Roma che un inutile 10%
in Sardegna», afferma il segretario del Psd'Az Lorenzo Palermo per giustificare
l'alleanza con l'Ulivo e questo non meraviglia nessuno. Il suo partito di seggi a Roma ne
ha superato di gran lunga il 10% consentendogli persino la presidenza della Giunta
regionale. Ma sia i rappresentanti espressi a Roma che l'alta percentuale conseguita, si
sono rivelati inutili, salvo che per chi ha occupato le poltrone. Il problema non è
quindi né di percentuali né di seggi, ma degli obiettivi che ci si prefigge di
raggiungere, di come si intendono affrontare i problemi e di come si vuole procedere per
risolverli. Infatti mentre ancora il problema maggiore per il Psd'Az è stato quello di
decidere se fosse meglio il centro sinistra del centro destra, col solo obiettivo di
accaparrarsi almeno un seggio, la Corsica vede rendersi possibile l'attuazione della zona
franca integrale, mentre i nostri rappresentanti alla Regione e al Parlamento continuano a
perdersi in sterili discussioni se non siano meglio i punti franchi o addirittura se la
soluzione zona franca sia più o meno valida. Così la Sardegna e il popolo sardo,
rischiano di perdere anche questo treno, nonostante la nostra sia stata una delle prime ad
avere affrontato e rivendicato tale soluzione e sull'argomento si siano versati
interminabili fiumi di parole. Eppure tutti i governi regionali che si sono succeduti,
l'ultimo compreso, mostrano ben diversa celerità nella svendita delle risorse, nella
concessione di licenze per estrarre ed esportare materie prime grezze, per la
cementificazione delle coste, per insediamento di mega mercati e così via. Né nulla di
più hanno fatto i parlamentari sardi in questi ultimi 50 anni sui nodi principali, quali
la continuità territoriale, la gestione delle risorse, la lingua e la cultura, per
citarne solo alcuni. La verità è che manca un progetto politico del popolo sardo, della
cultura come insieme di valori della Sardegna. Qual è il progetto, il traguardo che ci
stiamo prefiggendo di realizzare e raggiungere? Non esiste. Si vive alla giornata,
cercando di sopravvivere, di tappare le falle che sempre più numerose si aprono sulla
nostra economia e sulla nostra società. Questo non vuol dire che all'interno dei partiti
italiani, non siano persone e gruppi che abbiano una reale e sincera consapevolezza dei
problemi, della peculiarità e specificità sarde. Anzi molti hanno dimostrato di essere
più sardi di certi sardisti. Il problema è che i partiti nei quali militano hanno i
cervelli e soprattutto le tasche ben lontane dalla Sardegna e si rivelano trappole
inestricabili per minoranze quali le nostre. L'esigenza di liberarsi quindi, pur
mantenendo ognuno la propria specificità ideologica, da questa ingombrante veste
italiana, per assumere una più leggera e propria, quella sarda, sta diventando sempre
più una necessità pressante all'interno delle formazioni politiche. Questa è la strada
che dobbiamo percorrere se vogliamo uscire dal sottosviluppo. La "casa Comune dei
Sardi" come luogo di incontro di tutti, potrebbe dare un grande contributo a questo
scopo, diventando sede di discussione, di studio, di sperimentazione, per la formazione di
quello che può diventare il popolo dei sardi.
*Coordinamento nazionale Sardigna Natzione
Unione Sarda 12-05-96 |
Dibattito
Una casa comune ma con porte e finestre aperte
A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che
ha». Una delle frasi più sibilline del Vangelo si presta bene in qualche modo a
riassumere la storia della Sardegna, costellata di sopraffazioni, ruberie, scempi ed
omissioni dalle quali discendono, in parte, le sue condizioni attuali.
La Sardegna ha sicuramente sofferto i complessi di un popolo oppresso da
una classe dirigente estranea alla sua matrice culturale. Anzi, chiamarla classe dirigente
è improprio, più che altro sono stati "conquistadores" prima e colonizzatori
poi. Come ha potuto resistere un popolo continuamente soggiogato? Sicuramente mantenendo
la propria identità, cercando di non isolarsi e, infine, omologandosi. Il miscuglio di
influenze, accettate o subite, è stato tale che ora recuperare il bandolo della matassa
sarebbe impossibile. Ogni angolo della Sardegna, ogni gruppo di case ha la sua storia, le
sue vicissitudini, le sue rivendicazioni ed i suoi sensi di rivincita.
In questo contesto si favoleggia di una casa comune dei sardi, ossia di
un ideale che dovrebbe unificare gli obiettivi in un solo progetto: riscattare la Sardegna
e i sardi. Ma la speranza non è un bene di consumo e le fiabe servono solo a dimenticare
una brutta realtà. Per gli schiavi romani, perno di un impero che sembrava invincibile,
la speranza fu la promessa della liberazione: un mondo dove non ci sarebbero state
differenze e dove ad ogni uomo libero, schiavo o romano, sarebbe stata riconosciuta pari
dignità. Questa speranza è arrivata anche nell'Isola, portando altri importanti elementi
di arricchimento per una cultura già composita. Molto hanno potuto gli avvenimenti
storici, molto le influenze esterne, molto i caratteri peculiari di un popolo che pian
piano si è trasformato, assomigliando sempre più, per volontà propria o per
imposizione, a quella comunità nazionale chiamata Italia. Eppure, qualcosa degli antichi
complessi è rimasto, se è vero che taluni pretendono di imbastire un ragionamento che
rasenta il separatismo. Ma "casa comune" non può significare costruire un luogo
senza porte né finestre perché se volesse dire questo la condanna diverrebbe davvero
definitiva.
Paradossalmente, invece, dobbiamo aprire porte e finestre, accettando le
differenze, acquisendole come ricchezza e convincendoci che i nostri problemi potranno
essere risolti solo a patto che il nostro unico punto di unione non sia quest'orma
depositata in mezzo al mare ma un legame profondo che ci fa partecipare ad una comunità
più vasta.
Oggi l'economia viaggia su canali mondiali, la Sardegna quale potere
contrattuale avrebbe se cercasse di confrontarsi in solitudine? Nessuno. Allora, non
rinchiudiamoci nella favola, non fingiamo che non esistano differenze, accettiamo di
essere quello che siamo senza complessi. Fatto questo, rivendichiamo una classe dirigente
non più estranea, nel senso che non si riconosce nella sua gente e crede di esserne al di
sopra per virtù accademiche o di censo.
Questo sì, dobbiamo pretendere: aumentare il pluralismo ed il
confronto, combattere i verticismi e quei nuclei di potere che tanta parte di
responsabilità hanno nelle scelte sbagliate che hanno umiliato l'isola. Una terra che non
è riuscita a difendersi da chi ha voluto, con uno sviluppo industriale fittizio e
statalista, creare artificialmente una classe operaia per orchestrare il proprio consenso
e da quei gruppi di potere che hanno difeso solo i propri interessi di casta.
Oggi la chiave dello sviluppo, la soluzione dei problemi
dell'occupazione, risiedono solo nella capacità dei sardi di partecipare alla
composizione di una nuova classe dirigente e politica, opponendosi a chi cavalca il
disagio e a chi, su una sponda opposta, cerca di reprimerlo o comprarlo, continuando a
fare i propri interessi. I sardi non hanno più bisogno di qualcuno che gli dica,
paternalisticamente: «A Sarde', che te serve?».
Unione sarda 13-12-95 |
Caro presidente gli
sconfitti sono gli altri
Caro presidente Melis, non se la prenda se gli amici sardisti hanno
tagliato le radici più nobili del partito. Il cannibalismo, soprattutto in politica, è
una pratica tollerata sia in piccole che grandi dosi. E se gli amici di ieri hanno dovuto
spaccare il congresso per seppellirla viva, è meglio sia andata così. O avrebbe magari
preferito una presidenza onoraria, che sa tanto di fiori alla memoria? Meglio, caro
presidente, essere sconfitti da vivi che adulati dopo il trapasso.
Politico si intende. Magari con parole commosse che per lei, grande conoscitore
dell'arcipelago sardista, suonerebbero false, dolorose come lame taglienti. Eppoi, caro
Melis, lei si sente davvero sconfitto? Nonostante le chiamate al voto, le telefonate
segrete, i fax dell'intrigo dei suoi avversari, è riuscito ad aver con sè una buona
metà del partito, che non è poco. E con lei saranno quei sardi ma non sardisti, come mi
battezzo per farla arrabbiare, che la stimano profondamente nonostante le polemiche
feroci. Seguite, come è inevitabile, dalle riappacificazioni all'arma bianca. Lei ha
scritto pagine di storia (spesso usando parole di troppo, non me ne venga) che gli
aspiranti becchini del suo partito non vogliono leggere, ben sapendo che non potranno
imitarla se non con i succedanei, in vendita nelle botteghe del postsardismo a buon
mercato. Lei al congresso ha ricordato, a ragione, i servizi dei giornali americani,
inglesi, francesi e quant'altri, sul vento sardista alimentato dalla sua presidenza,
quando gli ambasciatori facevano la fila per incontrarla. E il signor De Mita, il più
nuovo del vecchio, la chiamava mezzoterrorista. Forse, perchè se ne è scordato nella
foga oratoria, non ha pensato di citare giornali più casalinghi, come il nostro, che quel
vento hanno alimentato anche a nove colonne, in occasione del grande scontro col
presidente Ronald Reagan sulla base atomica di La Maddalena. Parlavamo proprio l'altro
ieri (ricorda?) della resa incondizionata di un ministro della Repubblica, il compianto
Giovanni Spadolini, che venne da lei, dopo aver solidarizzato di persona con L'Unione ,
per dirle che gli alti gradi della Marina l'avevano ingannato. Riconoscendo al nostro
giornale il merito di aver denunciato l'arroganza dei militari. Ecco, caro presidente,
quei tempi non possiamo certo dimenticarli, così come dobbiamo riconoscerle di esserne
stato un protagonista, persino ingombrante. Soprattutto per un partito alleato, (quell'ex
Pci) che le aveva graziosamente regalato un assessore-carabiniere, con la delega per le
servitù militari. Qualcuno, nella cerchia dei malevoli, dirà che se non fosse stato per
gli ex comunisti lei, in tempi difficili, non sarebbe approdato neppure in Parlamento.
Verisssimo.
Ma quanto le è costato quell'apparentamento che oggi i suoi amici sardisti considerano
indispensabile per la causa federalista? Penso che se le daranno ancora diritto di parola,
dopo la conversione democratica di Cecilia Contu, saprà spiegare dove è opportuno andare
a cercare nuove alleanze. Magari in quella casa comune dei sardi di cui lei, con Sardigna
Natzione, ha voluto costruire le basi. Procurandosi l'anatema dei nipotini ciechi del
Psd'az.
Unione Sarda 14-03-95 |
L'intervento
Occorre una battaglia per dare al popolo sardo la reale
autonomia
Il dibattito sulla "Casa comune" dei sardi ruota
stancamente nel vuoto siderale dell'indifferenza. La spiegazione, ridotta all'essenziale,
è molto semplice: delusione. La contraddizione insita nel rapporto tra regionalismo
istituzionale e centralismo partitico si risolve nell'imbavagliamento dei politici sardi,
condannati, se ribelli, a non essere ricandidati dai rispettivi partiti e così cancellati
dalla scena politica. In queste condizioni l'autonomia è parola vuota di senso, del tutto
dipendente dalla benevolenza del Principe.
Centralismo, autonomia, federalismo evocano, se non si riducono a vuoti
"nominalismi", forme di governo attraverso le quali si esercita il pubblico
potere. In breve: prefigurano la sede del potere. Lo stato è infatti la struttura
organizzativa del potere come s'è venuta definendo in una particolare fase storica.
Quando si fa riferimento al federalismo non ci si limita quindi a definire una determinata
architettura
istituzionale, più o meno efficiente rispetto al centralismo, ma si evoca una diversa
concezione politica della democrazia. Il federalismo si inscrive così fra i valori
ideologici al pari del liberalismo e del socialismo e si propone quale specifica e diversa
visione del mondo.
Mentre infatti il centralismo colloca il potere in un vertice
decisionale nel quale al cittadino è difficile accedere in virtù di lontananza
gerarchica e fisica, il federalismo ne realizza l'articolazione territoriale creando un
policromismo decisionale di cui diventano protagonisti i cittadini resi partecipi attivi
del potere statuale.
L'indifferenza dell'opinione pubblica al nostro disqusire nasce dalla
delusione delle attese. Il regionalismo, nei fatti, non riesce a rappresentare e difendere
il diritto dei sardi al progresso, al lavoro, alla cultura, alla sanità, ai trasporti e
in ultima analisi, alla pari dignità con i cittadini di altre regioni d'Italia e d'Europa. A questo punto s'impone una
seria riflessione sulle cause della crisi regionalista. L'attuale smarrimento esprime una
crisi di crescita e denunzia lo spegnersi della speranza aprendo così larghe brecce al
grigiore della rassegnazione? Siamo cioé alla fase della rimozione o stiamo invce
prendendo coscienza che la forma di autonomia in atto non è altro che il «paravento
dipinto di vari colori, dietro sui si nasconde tutta la pesante macchina statale, quella
che ci soffoca e che ci opprime e contro cui s'è levata la nostra ribellione?» (Così
Camillo Bellieni in un profetico messaggio al congresso sardista dell'ottobre del 1921).
All'interrogativo rispondo: crisi di crescita; come si spieghrebbe
altrimenti il diffuso parlare di federalismo? Il popolo é consapevole che la sede del
potere non é, se non in modesta parte, nel governo regionale, mentre é sempre più
arroccato nei vertici nazionali delle istituzioni statali, economiche e partitiche. La
risposta che i sardi si attendono dalla loro dirigenza politica, é la lotta ferma e
inflessibile volta a rivendicare il potere di organizzare la nostra democrazia politica,
economica e culturale in forme coerenti alle specificità e diversità che danno precisa
connotazione alla nostra identità. "L'autonomia é arte, é sapienza, é
religione" insegna Bellieni. Così anch'io fermamente credo. Dobbiamo trovare in noi
stessi la sapienza e la forza politica per questa lotta. Dar vita a una vasta
mobilitazione che muovendo dalla realtà sarda coinvolga il popolo e lo faccia
protagonista nel rivendicare diritto e responsabilità di governo reale della Sardegna non
già per combattere alcuno, ma per promuovere, in un dialogo fervido e paritario con le
altre realtà regionali, d'Italia e d'Europa e mediterranee, un processo di sviluppo e
d'integrazione che consenta di assumere, da sardi, il ruolo che ci spetta nell'ambito
italiano, europeo e mediterraneo.
Un nuovo partito? Dio ne guardi e neppure una corrente dell'attuale
Partito sardo d'azione, ma piuttosto una federazione dei partiti operanti in Sardegna,
disposti a darsi un'organizzazione regionale che pur mantenendo legami ideologici con
partiti confratelli presenti in ITalia, in Europa e nel mondo, ne siano disancorati da
qualsivoglia rapporto gerarchico. I valori della Fede non contraddicono il loro
radicamento territoriale. Il problema è e rimane quello dell'allocazione del potere. Se
lo abbiamo, decidiamo. Se non lo abbiamo, decidono gli altri. E decidono anche per noi!
Una volta chiarito questo punto nodale diamo alla vocazione federalista
le architetture istituzionali che riteniamo più giuste: presidenziale o parlamentare,
leggi elettorali proporzionali o maggioritarie, a doppio turno o a turno unico,
l'importante é che ciascuno comandi in casa propria e tutti insieme nel governo dello
Stato. Camera delle Regioni, Corte costituzionale pariteticamente rappresentata dal potere
centrale e regionale; federalismo fiscale e solidarietà, identità, cultura,
responsabilità e trasparenza saranno i requisiti base del nostro progetto di democrazia.
Una democrazia tanto più forte quanto più partecipata. Restituiamo ai sardi la speranza,
e, con essa, l'entusiamo dell'impegno.
Unione sarda 17-12-95 |
L'intervento
Occorre una battaglia per dare al popolo sardo la reale
autonomia
Il dibattito sulla "Casa comune" dei sardi ruota
stancamente nel vuoto siderale dell'indifferenza. La spiegazione, ridotta all'essenziale,
è molto semplice: delusione. La contraddizione insita nel rapporto tra regionalismo
istituzionale e centralismo partitico si risolve nell'imbavagliamento dei politici sardi,
condannati, se ribelli, a non essere ricandidati dai rispettivi partiti e così cancellati
dalla scena politica. In queste condizioni l'autonomia è parola vuota di senso, del tutto
dipendente dalla benevolenza del Principe.
Centralismo, autonomia, federalismo evocano, se non si riducono a vuoti
"nominalismi", forme di governo attraverso le quali si esercita il pubblico
potere. In breve: prefigurano la sede del potere. Lo stato è infatti la struttura
organizzativa del potere come s'è venuta definendo in una particolare fase storica.
Quando si fa riferimento al federalismo non ci si limita quindi a definire una determinata
architettura
istituzionale, più o meno efficiente rispetto al centralismo, ma si evoca una diversa
concezione politica della democrazia. Il federalismo si inscrive così fra i valori
ideologici al pari del liberalismo e del socialismo e si propone quale specifica e diversa
visione del mondo.
Mentre infatti il centralismo colloca il potere in un vertice
decisionale nel quale al cittadino è difficile accedere in virtù di lontananza
gerarchica e fisica, il federalismo ne realizza l'articolazione territoriale creando un
policromismo decisionale di cui diventano protagonisti i cittadini resi partecipi attivi
del potere statuale.
L'indifferenza dell'opinione pubblica al nostro disqusire nasce dalla
delusione delle attese. Il regionalismo, nei fatti, non riesce a rappresentare e difendere
il diritto dei sardi al progresso, al lavoro, alla cultura, alla sanità, ai trasporti e
in ultima analisi, alla pari dignità con i cittadini di altre regioni d'Italia e d'Europa. A questo punto s'impone una
seria riflessione sulle cause della crisi regionalista. L'attuale smarrimento esprime una
crisi di crescita e denunzia lo spegnersi della speranza aprendo così larghe brecce al
grigiore della rassegnazione? Siamo cioé alla fase della rimozione o stiamo invce
prendendo coscienza che la forma di autonomia in atto non è altro che il «paravento
dipinto di vari colori, dietro sui si nasconde tutta la pesante macchina statale, quella
che ci soffoca e che ci opprime e contro cui s'è levata la nostra ribellione?» (Così
Camillo Bellieni in un profetico messaggio al congresso sardista dell'ottobre del 1921).
All'interrogativo rispondo: crisi di crescita; come si spieghrebbe
altrimenti il diffuso parlare di federalismo? Il popolo é consapevole che la sede del
potere non é, se non in modesta parte, nel governo regionale, mentre é sempre più
arroccato nei vertici nazionali delle istituzioni statali, economiche e partitiche. La
risposta che i sardi si attendono dalla loro dirigenza politica, é la lotta ferma e
inflessibile volta a rivendicare il potere di organizzare la nostra democrazia politica,
economica e culturale in forme coerenti alle specificità e diversità che danno precisa
connotazione alla nostra identità. "L'autonomia é arte, é sapienza, é
religione" insegna Bellieni. Così anch'io fermamente credo. Dobbiamo trovare in noi
stessi la sapienza e la forza politica per questa lotta. Dar vita a una vasta
mobilitazione che muovendo dalla realtà sarda coinvolga il popolo e lo faccia
protagonista nel rivendicare diritto e responsabilità di governo reale della Sardegna non
già per combattere alcuno, ma per promuovere, in un dialogo fervido e paritario con le
altre realtà regionali, d'Italia e d'Europa e mediterranee, un processo di sviluppo e
d'integrazione che consenta di assumere, da sardi, il ruolo che ci spetta nell'ambito
italiano, europeo e mediterraneo.
Un nuovo partito? Dio ne guardi e neppure una corrente dell'attuale
Partito sardo d'azione, ma piuttosto una federazione dei partiti operanti in Sardegna,
disposti a darsi un'organizzazione regionale che pur mantenendo legami ideologici con
partiti confratelli presenti in ITalia, in Europa e nel mondo, ne siano disancorati da
qualsivoglia rapporto gerarchico. I valori della Fede non contraddicono il loro
radicamento territoriale. Il problema è e rimane quello dell'allocazione del potere. Se
lo abbiamo, decidiamo. Se non lo abbiamo, decidono gli altri. E decidono anche per noi!
Una volta chiarito questo punto nodale diamo alla vocazione federalista
le architetture istituzionali che riteniamo più giuste: presidenziale o parlamentare,
leggi elettorali proporzionali o maggioritarie, a doppio turno o a turno unico,
l'importante é che ciascuno comandi in casa propria e tutti insieme nel governo dello
Stato. Camera delle Regioni, Corte costituzionale pariteticamente rappresentata dal potere
centrale e regionale; federalismo fiscale e solidarietà, identità, cultura,
responsabilità e trasparenza saranno i requisiti base del nostro progetto di democrazia.
Una democrazia tanto più forte quanto più partecipata. Restituiamo ai sardi la speranza,
e, con essa, l'entusiamo dell'impegno.
Unione sarda 17/12/95 |
INTERVENTO Né col
Papa ma neppure con l'imperatore
Il partito Sardo spaccato dopo il suo Congresso di Chia? Può anche
darsi, ma, certo, è una «spaccatura» strana, dove i documenti politici e quelli sulla
concordia interna passano a grande maggioranza mentre le divisioni vere son quelle che
riguardano altro, essenzialmmente le persone: ed anche qui con una serie di sorprese,
poichè non sfuggirà ad osservatori non grossolani un atteggiarsi delle forze e degli
equilibri interni diverso da quello dei numeri elettorali. Niente che ricordi la divisione
quasi speculare che vive oggi il Partito popolare o il mezzo voto di Rifondazione
Comunista al governo Dini. Semmai c'è da lamentarsi che il Congresso abbia deluso, a
parte alcuni interventi veramente interessanti (e fra questi inserisco d'ufficio il saluto
del popolare Maninchedda), uno dei temi che inevitabilmente verranno ad incrociare il
cammino del Partito sardo nel suo immediato futuro. Il Congresso è stato così occupato a
giurare fedeltà all'attuale quadro politico regionale da non essersi reso conto
abbastanza che i problemi non finiscono lì. In Italia viviamo una pesante guerra fra
l'imperatore e il Papa; i quali, occupati ognuno nelle proprie investiture, non badano
molto a cosa accade nelle periferie dell'impero. Forse hanno sentito parlare della Giunta
Palomba ma, accecati dalla fama di fedelissimi della Brigata Sassari, ritengono che i
sardi dove son messi stanno, e che essi, una volta infeudati, rimarranno dalla parte
giusta finchè Papato o Impero dureranno. Ho l'impressione che questo non sia ragionamento
giusto e che in Sardegna
stia nascendo la coscienza che si può non esser vassalli né dell'Imperatore né del
Papa; ed alcuni, come il Partito Sardo, giurano di respirarla da 70 anni. C'è solo il
Partito sardo a pensare questo? E' esperienza comune di questi tempi che il Psd'Az sia
destinato ad incontrare una serie di compagni di strada verso un obiettivo che, giura, non
ha mai perso di vista. Improvvisamente, addirittura, se ne è trovato uno lì dove invece
pensava vi fosse solo il nemico, nella Lombardia ricca ed opulenta, che gli ha scodellato
addosso la sua ideologia federalista. Ma, a parte questo, come può il Partito sardo
seriamente pensare di non trovare un modus vivendi con altre forze sarde che si pongono
con grande insistenza il problema dell'aria libera? Così come non si può più ragionare,
in Italia, come se il federalismo fosse un fatto privato dei Sardi e dei Tirolesi, allo
stesso modo non si può far finta, in Sardegna, che il pensiero nazionale sardo sia
proprietà di un'unica formazione politica: bisogna affrontare con intelligenza il
problema i cui termini possono esser compresi solo da chi mostrerà abbastanza elasticità
da riconoscere che l'identità nazionale sarda esiste e non c'è bisogno di inventarla, ma
che la stessa è in continua evoluzione, e che bisogna quindi saperla riconoscere con
prontezza ed intuito politico. Purtroppo, sul progetto di casa comune si sono avventati, a
mio modo di vedere ipotecandone l'immagine, persone che tutto hanno a cuore meno che
l'unità dei sardi e la loro pacifica coabitazione nella stessa casa. Con il rischio così
di ammazzare, per esigenze dettate da visioni contingenti, un progetto che è nato con
respiro molto più ampio, e con ambizioni non ristrette (e bloccando iniziative sardiste
altrettanto interessanti). Un progetto che può durare, favorito in ciò prima di tutto
dalla coscienza insieme culturale e politica che la Sardegna di oggi non è né quella di
mezzora fa (nelle sue componenti politiche, nei rapporti con lo Stato, nelle dinamiche
delle categorie, nei bisogni popolari, ecc.) e nemmeno quella di domattina: lo sviluppo in
questo senso non è incompatibile (anzi è garantito) dalla presenza di un partito sardo
forte e ben assestato al suo interno; e che non tema la concorrenza di tutti coloro che in
buona fede ed in concordia nazionale cominciano a respirare l'aria che rende liberi. *
Dirigente sardista
Unione Sarda 18-03-95 |
Tra l'unità d'intenti e la Casa comune
La nuova spiaggia del Psd'az
In un recente convegno dell'Ulivo, i dirigenti del Psd'az hanno
ribadito che «questo è il momento di unirsi». Come non essere d'accordo? La letteratura
sardista ha già convinto a tal punto anche gli oppositori di un tempo, che oggi il Psd'az
farebbe torto perfino a se stesso se si presentasse ancora come esclusivo depositario di
un'ipotesi di riscatto della Sardegna. Il punto però è sapere «come e con chi» unirsi.
La questione è tutt'altro che nuova, ma le recenti elezioni l'hanno
riproposta in termini ineludibili e per certi versi drammatici. Mentre il sistema
maggioritario imponeva le alleanze, il sistema proporzionale, col suo «catenaccio» del
quattro per cento, precludeva al Psd'az la possibilità di esprimere una sua
rappresentanza in Parlamento, anche nel caso improbabile in cui avesse riscosso la
totalità dei consensi in Sardegna. Si era dunque alle prese con un sistema elettorale
obiettivamente lesivo della libertà di espressione delle Regioni o quantomeno della
nostra regione. Questo sistema appare tanto più assurdo ora che da quasi tutte le parti
politiche si propone, o si accetta, una riforma costituzionale dello Stato in senso
federale. Né si può ignorare che le forze autonomistiche sarde hanno accolto
impassibilmente la mannaia del catenaccio, non hanno neppure accennato a una protesta né
hanno tentato una denuncia.
Tra falsi entusiasmi e atteggiamenti di mesta rassegnazione, anche il
Psd'az, associatosi alla variegata compagnia dell'Ulivo, si è affrettato lungo il cammino
stabilito. Il risultato, lo sappiamo, è stato un vistoso e preoccupante calo di consensi
ma anche il recupero del simbolo dei Quattromori e l'elezione di un senatore. Forse non si
poteva fare diversamente. Ora però, guardando al futuro, occorre domandarsi se il Partito
sardo abbia fatto bene a cercare una sola collocazione nel sistema bipolare.
Gli ascendenti del Psd'az sono improntati a una visione democratica,
antifascista, liberale, eccetera, che non è in discussione, ma il progetto sardista,
nella sostanza e per la sua peculiarità, prescinde dalle ideologie che storicamente si
contrappongono sulla scena politica Italiana e va temporaneamente al di là dei diversi
interessi delle classi sociali presenti in un universo dotato di una unitarietà quasi
obbligata come la Sardegna. È un progetto che si fonda sul valore dell'identità e del
comune interesse "nazionale", che si esplica nella propugnazione di alcune
grandi riforme - zona franca, lingua, continuità territoriale, federalismo - e che per i
suoi contenuti e per la sua portata è rivolto all'intero popolo sardo, non solo ai sardi
di centrosinistra o di centrodestra o di un eventuale "terzo polo".
Perché, dunque, omologarsi al quadro delle alleanze e delle
contrapposizioni della politica nazionale, vincolarsi alle altrui egemonie e compromettere
la propria libertà d'iniziativa e trattativa politica, se il problema è ben altro che
assicurarsi uno spazio nel tram tram dell'ordinario governo regionale?
Il dirigente di Sardigna Natzione Bustianu Compostu, in un suo
intervento su questo giornale, ha giustamente affermato che tutti i "nazionalisti
sardi" dovrebbero ritrovarsi in una "Casa comune". Anche da un tale ambito,
tuttavia, si dovrebbe procedere per rivolgersi a tutte le forze politiche, non solo ai
sardisti dichiarati, al fine di suscitare le solidarietà e le convergenze ancora
più vaste indispensabili per l'attuazione delle grandi riforme rimaste fin'ora nel mondo
dei sogni.
GIOVANNI COLUMBU
Unione sarda 18-05-96 |
Casa comune per i
sardi
L'irrompere sulla scena politica della Lega da un lato, di Berlusconi
(associato al riaccendersi della vampata missina) dall'altro non rappresentano novità
attendibili ed affidabili. Nascono entrambi da movimenti di generalizzata protesta contro
il potere partitocratico. Mentre la Lega dà voce al malessere delle popolazioni del Nord
convinte di sopportare il peso più alto del contributo finanziario e fiscale per lo
Stato, e propone il secessionismo fiscale, definendolo impropriamente federalismo,
Berlusconi si preoccupa soprattutto e sommamente di Berlusconi, dei suoi interessi
economico-finanziari, che sono vasti e molteplici, dei suoi debiti, che sono altrettanto
vasti e molteplici; mentre i sostenitori ne trasfigurano il ruolo e lo vedono vindice
delle subite sconfitte e frustrazioni. L'uomo forte capace di ridare dignità allo Stato,
lavoro agli emarginati trasparenza al potere. Ma né Berlusconi né la Lega definiscono
programmi e strumenti sui quali costruire questo futuro. Si rivelano piuttosto agguerriti
nel contendersi i nuovi spazi di potere scatenando risse funeste per l'occupazione di aree
strategiche quali la Rai, le banche e quant'altro. Sono bastati sette mesi perché
l'iniziale trionfo elettorale esplodesse in rissa che ha travolto il loro governo. Noi
sardi per chi dovremmo parteggiare? Per l'imprenditore assetato di rivincita personale o
per il secessionista fiscale preoccupato di mantenere la ricchezza nell'area privilegiata
che la produce? Quanta saggezza nel contadinopastore gallurese quando -come ci ricorda
Bachisio Bandinu nel suo "Narciso in vacanza" - considerava: «Pà noi non va
meddori sia chi vinca Carulu chintu o Enricu imperadori».E' pura follia credere che
dei nostri problemi si facciano carico gli altri. La politica è confronto, è scelta fra
interessi contrapposti. I nostri, quelli dei sardi, o li difendiamo noi o non saranno
difesi da alcun altro. Anzi, gli altri li utilizzano a loro favore, invadendoci con le
loro produzioni, occupando i nostri posti, restringendo i nostri spazi e quindi
mantenendoci in una condizione di marginalità assistita che a loro costerà meno dello
sviluppo che, una volta affermato, diventa concorrenza che andrà a restringere i loro
spazi. La storia ci insegna come la Sardegna ha clamorosamente
fallito con i suoi politici che, spesso in buona fede, hanno creduto di salvarla operando
dall'interno dei partiti nazionali. In quei partiti vincono gli interessi che sono
prevalenti nello Stato; non sono mai i nostri. Dal secolo scorso a oggi la pleiade delle
figure prestigiose è significativa: Siotto Pintor, Musio, Giorgio Asproni, Francesco
Cocco Ortu, Antonio Segni, Enrico Berlinguer, Francesco Cossiga; loro hanno volato sulle
ali del successo sino ai vertici delle massime responsabilità dello Stato, ma la Sardegna
ha continuato a perdere terreno rispetto alle regioni forti del Paese. Allora il problema
non si risolve parteggiando per Carlo V o per Enrico Imperatore. Anche ai nostri vicini
così è accaduto lo stesso con Napoleone. Noi dobbiamo vincere con un ideale «Giovanni
Maria Angioi» come i corsi con Pasquale Paoli.
Suscitiamo una grande mobilitazione di popolo che si costituisca in movimento politico
capace di superare le vecchie antistoriche divisioni dando vita ad una federazione di
tutte le forze che si ispirano ai valori primigeni di un sardismo aperto al vento
impetuoso della storia. Un movimento che non si propone di rompere ma sollecita nuove e
più credibili alleanze all'interno delle quali ciascuno resta se stesso, in un rapporto
paritario con gli altri ai quali ci si lega non in virtù di condizionamenti
politico-militari ma di solidarietà fervida, rispettosa e partecipe, capace di dar senso
unitario alle diversità. Regionalizzando i partiti senza ovviamente rinnegare i valori
ideali che li ispirano in Sardegna, in Italia e nel mondo, possiamo costituire, in nome
del Comune Sardismo, una grande forza unitaria.
Unione Sarda 19-01-95 |
L'autonomia? Un manto stellato
È proprio così: i vecchi amori non si dimenticano mai, anche quando il
ménage è stato per lo più burrascoso e i protagonisti si sono rifatti una vita. Sarà
per il rimpianto di ciò che poteva essere (la "unità-della-sinistra") e non
fu, sarà per la malinconia della breve stagione di una intensa passione (il fronte
popolare), ma anche quando si parla di unire i sardi in un progetto comune, les amants
d'antan, gli amanti del passato si cercano fra la folla e si ritrovano. L'ex Pci e
l'ex Psi ricominciano da due.
Il segretario del Pds e quello di Federazione democratica, Mario Pinna e
Antonello Cabras, si sono messi d'accordo per costituire una federazione della sinistra
sarda. Disposti ad aprire il loro rapporto anche al partito sardo, cooptato tra le forze
di sinistra.
Quanto al ruolo che, nel ménage a trois, è destinato al Psd'Az
è difficile da dire, data la stringatezza delle notizie che si hanno sul progetto, anche
se non riesco a vedere altro se non quello del reggi-moccolo o, nella migliore delle
ipotesi, quello del fiore della sardità all'occhiello. Per farla corta, fra le molte
ipotesi di possibili patti tra forze autonomiste, federaliste, nazionalitarie, quella che
viene delineata da Pinna e Cabras mi pare la meno appetibile, perché destinata
inevitabilmente a riscaldare in Sardegna
la pietanza che si sta cuocendo in Italia. Con in più l'insaporente sardista, sempre che
in quel partito ci stia.
Strani europeisti, i due: fra tutti gli esempi che si possono leggere in
Europa, vanno a scegliere non
quello che più conviene all'autonomia ma quello che più s'assomiglia alle costruzioni
nello stato da cui si rivendica - come si legge nel programma di Palomba - la sovranità
sarda. Sovranità che non si delinea come un obiettivo cui si voglia tendere ma come un
manto stellato. La conquista e la gestione di questa sovranità ha bisogno di ben altra
coesione che non sia una "federazione di sinistra", una "coalizione di
centro" e un "polo di destra".
Ha bisogno di quel partito che non c'è ancora e che Paolo Maninchedda,
qualche mese fa su questo giornale, individuava in un "partito nazionalista
sardo". Un partito, una federazione di partiti, una "casa comune dei sardi"
o quant'altro si voglia che fondi davvero una politica di sovranità. Che senso ha se
davvero il consiglio regionale si appresta quest'anno a votare una dichiarazione di
sovranità "anche unilaterale", riproporre in Sardegna schieramenti omologhi e
omologati?
Fossi in un grande partito come il Pds proporrei a tutti i sardi che ci
stanno un Congresso del popolo sardo con, il compito di costituire il nostro "Partito
del congresso" oltre che di elaborare il programma sardo da contrattare, prima,
durante e dopo l'acquisizione della sovranità, con il governo sovraordinato, statale o
federale che sia.
La linea di divisione che inevitabilmente si designerà è tra chi pone
gli interessi autoctoni al centro del programma e dell'azione e chi non vuole o non può
perdere il suo ruolo di intermediatore economico, sociale e culturale. I primi sono la
"sinistra sarda", o meglio il "centrosinistra sardo", i secondi il
"centrodestra sardo". Detto con molta franchezza, non ho l'impressione che
l'attuale sinistra in Sardegna sia tutta sinistra sarda. Né che la destra in Sardegna sia
tutta da mettere nella categoria dei compradores.
GIANFRANCO PINTORE
Unione sarda 22-07-95 |
SARDIGNA NATZIONE: Lunedì
Parte da Ittiri la marcia per il lavoro
Partirà da Ittiri alle 8, 30 di lunedì prossimo la marcia per il
lavoro, l'ambiente e la cultura sarda indetta da Sardigna Natzione. L'iniziativa si
articolerà in cinque tappe che attraverseranno tutta la Sardegna, dal sassarese all'oristanese, dal
nuorese all'iglesiente, per concludersi, dopo aver toccato diversi centri della provincia
di Cagliari, dinnanzi al palazzo della Regione. «In quella occasione - ha spiegato il
coordinatore di Sardigna Natzione, Angelo Caria - verrà chiesto un incontro al presidente
della Giunta regionale, Federico Palomba».
Alla marcia, alla quale sinora hanno aderito la Casa comune dei sardi,
la Confederazione sindacale sarda (Css), l'associazione sarda per la Giustizia giusta,
parteciperanno giovani disoccupati, sindacalisti, donne, operai in cassa integrazione,
intellettuali, professionisti ed esponenti politici dell'area nazionalitaria.
Per ulteriori adesioni ci si può rivolgere fin da oggi al coordinamento
di Sardigna Natzione (0784/39188), alle principali sedi del movimento, alla sede di
Sassari della Confederazione sindacale sarda. Nei prossimi giorni verranno illustrate le
singole tappe.
Unione Sarda 24-08-95 |
CONVEGNO: A confronto i movimenti
autonomisti europei
Il federalismo possibile
L'appello unitario di Sardigna Natzione
Il federalismo possibile: questa la sfida lanciata da Sardigna Natzione,
che ieri, nella biblioteca Satta, ha chiamato a raccolta gli esponenti dei movimenti
nazionalitari. Ed ecco alternarsi al microfono catalani, corsi, messicani, per raccontare
le loro battaglie. Non poteva mancare naturalmente il Sud Tirolo (ancora italiano, seppure
bilingue perfetto) e il vecchio leader indipendentista Alfons Benedikter si è cimentato
in una confessione pubblica: la spinta all'autodetrminazione (per la costruzione del
Grande Tirolo, da Bolzano a Insbruck) è stata frenata dalla "corruzione del
privilegio". I troppi contributi statali insomma, il benessere diffuso, sono stati la
carta perdente per la politica dei tirolesi.
La dimensione opposta del naufragio economico, delle penalizzazioni
continue, l'hanno illustrata invece gli esponenti delle due anime del sardismo (Mario
Melis, Psd'az e Angelo Caria, Sardigna Natzione) i quali stanno da tempo costruendo le
fondamenta della "casa comune dei sardi". Melis se l'è presa con le
discriminazioni "dello Stato centralista fallito n el letamaio di Tangentopoli",
mentre Caria ha ricordato certi morti in casa, come "l'attuale assessore
regionale alla cultura che non ha mosso un dito per il movimento sardista, ma anzi, sul
riconoscimento delle minoranze linguistiche, si è fatto precedere addirittura da
esponenti di altri partiti italiani. Una vergogna! ".
E su questo versante ha battuto il tasto Tore Fadda, un transfuga del
Psd'az, ex consigliere regionale, spiegando che il fallimento della politica agricola, di
quella urbanistica, il mancato decollo di un piano turistico "a misura di
Sardegna", "sono colpe nostre, di una classe politica locale miope, che non ha
saputo gestire neppure i grandi spazi di autonomia regalati dal Governo".
Al convegno, che continuerà oggi, hanno portato il loro contributo
anche il catalano Jordi Mirò,, il messicano Cristobal Mugnos, il corso Achille
Martinetti. Ben accolto anche il sindaco di Nuoro Carlo Forteleoni. UNione sarda
24-09-95 |
I leader storici
Mario Melis e Italo Ortu contestano la segretaria Contu
Sardisti al vetriolo
Angelo Caria: «La nemica dell'unità»
La segretaria del Psd'az, Cecilia Contu, ha liquidato l'argomento con
una battuta d'avanspettacolo alla Wanda Osiris: «E' una sorta di teatrino di
second'ordine».
Ma l'idea di una Casa comune dei sardi, capace di riunire il grande movimento sardista,
oggi polverizzato in correnti e sottogruppi, piace anche a Mario Melis e Italo Ortu, due
leader storici dei Quattro mori.
«L'incontro di domenica scorsa a Oristano sul Federalismo è stato una cosa seria. Bene
farebbe la direzione del partito a non chiudersi nella presuntuosa certezza di possedere
la verità», ha suggerito ieri l'ex presidente della Giunta regionale Malis, dall'alto
della sua esperienza. Insomma, a meno di due mesi dal Congresso nazionale è scontro
all'interno del Psd'az. Abituato a battaglie politiche aspre, Mario Melis ha deciso di
replicare punto su punto alle accuse mosse da Cecilia Contu. A costo di rischiare
l'allontanamento dal partito, come è accaduto ai dirigenti che avevano dissentito dalla
linea politica della segreteria sull'appoggio alla Giunta Palomba. «Non mi sono dimesso
in occasione del mancato referendum su La Maddalena perché così ha deciso il Consiglio
nazionale del Psd'az», ha detto Melis riferendosi alla polemica sulla base militare
americana.
Mentre in occasione del voto negativo del Consiglio regionale sul problema della lingua,
«non mi sono dimesso perché era ormai di fatto conclusa la legislatura». E ha concluso:
«Prima di attaccarmi Cecilia Contu non avrebbe potuto chiedere spiegazioni?». Anche un
altro leader storico del Psd'az, Italo Ortu, ha criticato le affermazioni dell'attuale
segretaria del partito, che nei giorni scorsi aveva addirittura ringraziato Dio per aver
"risuscitato" il problema del bilinguismo. «In materia di lingua, cultura,
istituzioni, economia ed equità sociale - ha detto l'ex segretario regionale -non ci si
può affidare al soprannaturale, a poteri e forze trascendenti.
Sarebbe come uno sfuggire alla realtà e alle proprie responsabilità, all'impegno
politico costante per rifugiarsi nell'infinito metafisico attribuendogli compiti e
responsabilità che non gli sono propri». Secondo Ortu - che ha invitato il presidente
della Giunta regionale Federico Palomba a dimettersi in segno di solidarietà con il
parroco di Bulzi, a cui è stata impedita la messa in limba -questa è «una sorta di
volpino processo di rimozione», nella «confusa ricerca di lontani ed evanescenti
teatrini senza autori ed attori: nè piccoli nè grandi. Un mondo fantasioso in cui,
forse, sarà dato che la vittima appaia carnefice e viceversa». Il riferimento al
«teatrino di second'ordine» non è piaciuto nemmeno ad Angelo Caria, coordinatore di
Sardigna Natzione, il movimento autonomista che assieme ai dirigenti sardisti
"sospesi" ha lanciato l'idea della Casa comune.
«Senza avervi partecipato, la signora Contu -scrive Caria - formula un giudizio non
richiesto sull'assemblea del Comitato per la Costituente sardista. Un'espressione così
elegante dimostra evidentemente una sua frequentazione con gli ambienti
dell'avanspettacolo, che a noi purtroppo manca. Ne faremo tesoro». Caria muove poi alla
segretaria del Psd'az una precisa critica politica. «L'abitudine della Contu - afferma il
coordinatore di Sardigna Natzione - di tentare di infrangere ogni tentativo di costruire
unità e solidarietà tra le forze dell'area sardista e nazionalitaria è pari soltanto al
suo sforzo disperato e del tutto "resistibile" di trasformare il Psd'az nello
sgabello dei partiti italiani. Ma ciò non fermerà certo il nostro impegno». ALESSANDRO
CAREDDU
Unione Sarda 25-01-95 |
Concluso a Nuoro il meeting di Sardigna Natzione
con baschi, catalani, tirolesi
Popoli in cerca di Stato
Mario Melis rilancia la "federazione dei
sardisti"
NUORO. Uniti si vince. Ne sono più che convinti i leader dei
movimenti nazionalitari chiamati a raccolta da Sardigna Natzione, lo hanno ripetuto per
due giorni di seguito i vari oratori che si sono alternati al microfono nella sala
conferenze della Biblioteca Satta. Primo fra tutti uno degli esponenti storici e di
maggior prestigio del Psd'Az: l'ex parlamentare e presidente della Regione Mario Melis,
che ha lanciato un accorato appello alla «mobilitazione del popolo sardo» e si è
comunque dichiarato fiducioso sul futuro del sardismo.
Le «giornate internazionali» organizzate da Sardigna Natzione hanno
fatto il punto sulle sofferenze delle piccole patrie, puntualmente «tradite e soffocate a
dispetto delle ipocrite manifestazioni di solidarietà dei potenti». Ma hanno
anche registrato la voglia di autonomia (e persino di indipendentismo) che permea i
«popoli senza stato» e che li spinge ad allearsi nel nome del diritto
all'autodeterminazione. Il dibattito ha visto la partecipazione di baschi, catalani,
corsi, e tirolesi, che hanno raccontato le loro esperienze di «popoli minoritari» ed
hanno sostenuto la necessità di robusti collegamenti internazionali per sottrarsi ai
meccanismi della dipendenza economica con l'obiettivo di costruire (da soli) un futuro
migliore.
Con un discorso, che è stato a lungo applaudito, Mario Melis ha
proposto una «federazione di tutti i movimenti sardisti». E non è stato tenero con il
suo partito. «Personalmente - ha affermato - vorrei un Psd'Az più generoso, più
disponibile, calato in un più ampio movimento mobile ed agile, in grado di superare tutte
le strettoie e tutti gli ostacoli». E ancora non basta, perchè «credo possibile - ha
sottolineato l'ex presidente della Giunta regionale - mobilitare tutto il popolo sardo per
riscattarci uniti dal potere romano». Melis ha ancora auspicato più stretti rapporti con
i cugini della vicinissima Corsica, «dai quali ci dividono pochi chilometri di mare, ma
dai quali siamo divisi perchè altri ci hanno separato e persino costretto a
combatterci». Ma i sardi vogliono «riappropriarsi delle radici dell'etnia» e scrivere
da soli la loro storia. E «se sapremo ritrovare l'unità - ha concluso Melis - nutrirò
fiducia e speranze non infondate».
Nella sostanza una dichiarazione a favore della «casa comune dei
sardi». Tema ripreso da Bustianu Cumpostu, che per farsi megli capire dagli ospiti
(c'erano anche i rappresentanti di tutti i gruppi nazionalitari del Meridione) si è
espresso in italiano, pur senza rinunciare ad alcuni passaggi in limba. Provocatoriamente
Cumpostu si è chiesto se l'obiettivo di tutti i movimenti sardisti sia
l'autodeterminazione, per poi dichiarare chiaro e tondo che per lui qualunque prospettiva
deve passare attraverso la sovranità dei sardi sul loro territorio.
«Ma non tutti sono d'accordo - ha puntualizzato - e noi ne siamo
perfettamente consapevoli. Così come abbiamo capito che uniti avremo più dforza. E
proprio per questo diciamo che seppure su diverse posizioni si possono fare dei tratti di
strada assieme». Proprio per questo «abbiamo progettato e proposto la casa comune dei
sardi, perchè diciamo che al di là delle ideologie e pur militando in partiti diversi
c'è in ognuno di noi il sentimento profondo della sardità». Sentimento cui ha fatto
riferimento anche Riccardo Meaggia, il quale ha ricordato che per «andare avanti occorre
comunque lottare ed impegnarsi a fondo». E ha infine ricordato le travagliate fasi
storiche di ogni popolo per la salvaguardia della libertà.
Sempre ieri ha preso la parola una giovane esponente d'un movimento
romano per la libertà - Barbara Mazzone - la quale ha ha rivendicato con forza il diritto
dei popoli all'indipendenza. Una scelta di sovranità che viene riconosciuta - ha
ricordato il rappresentante del Fronte indipendentista siciliano Pasquale Scianò -
persino dal diritto internazionale. Ha concluso Angelo Caria, coordinatore di Sardigna
Natzione, che «interpretando le indicazioni del convegno» ha lanciato un forte appello
unitario «ai sardisti e a tutti i sardi».
ANTONIO GHIANI
Unione Sarda 25-09-95
|
Dopo i leader
storici anche Francesco Casula (Css) attacca la segreteria
«Il Psd'az torni ai sardi»
Lina Crobu: costruiamo la Casa comune
La Casa comune dei sardi si farà: parola di Francesco Casula. Dopo le
prese di posizione dei leader storici del Psd'az, Mario Melis e Italo Ortu, contro
l'attuale segretaria del partito, Cecilia Contu, sotto accusa per avere definito la
Costituente sardista «un teatrino di second'ordine», sulla vicenda ha preso posizione
ieri anche l'ex segretario della Confederazione sindacale sarda (Css), il movimento
sindacale sardo. «Ho presieduto, assieme al coordinatore di Sardigna Natzione, Angelo
Caria, l'assemblea costituente di Oristano», ricorda Francesco Casula. «E al di là
delle legittime differenziazioni e sensibilità culturale, dal dibattito è emersa una
volontà unanime: l'esigenza, non più procrastinabile, di imboccare e costruire la strada
dell'unità di tutte le forze sardiste, indipendentiste, federaliste comunque schierate e
organizzate in questo momento». Secondo il leader della Css ("sospeso" qualche
mese fa dal Psd'az perché in dissenso con la linea politica della segreteria), questa
volontà non nasce solo «per affrontare le prossime scadenze elettorali, sia
amministrative che politiche», quanto «per rimettere al centro del dibattito e
dell'iniziativa politica la questione nazionale sarda, che sembra ormai scomparsa
dall'agenda del Parlamento italiano, derubricata e liquidata dai partiti e dagli stessi
parlamentari sardi, interessati alle polemiche e beghe romane più che ai problemi dei
sardi e della Sardegna».
Casula non nega di essere sorpreso dalla reazione negativa della segretaria del Psd'az
davanti alla prospettiva di un dibattito così importante. «Cecilia Contu continua con la
trita politica degli insulti - afferma il leader della Css -, oltrettutto non avvedendosi
che, lei sì, sta recitando in un teatrino di second'ordine. E neppure un ruolo di
primattore, ma di semplice comparsa. In modo amichevole, fraterno, senza alcuna supponenza
voglio perciò dare un consiglio alla segretaria: lasci perdere gli insulti, lavori per
l'unità reale dei sardi e dei sardisti. E inizi a stendere la relazione per il Congresso
di marzo del Psd'az, mettendo al centro la proposta della Costituente sardista.
Anche perché si farà comunque». L'idea della Casa comune dei sardi piace anche a Lina
Crobu, l'insegnante sardista che nelle ultime elezioni regionali ha evitato con le sue 13
mila 490 preferenze la prematura scomparsa dei Quattro mori. «Qualche mese fa non avevo
accettato di far parte della Costituente per una questione di metodo: ero stata inserita
nella commissione senza preventivo consulto. Ma l'iniziativa di Sardigna Natzione mi
piace, la trovo qualificante per tutti i sardi e sardisti», spiega l'ex candidata alla
presidenza della Giunta regionale. «Come si fa a rifiutare a priori alla discussione sul
Federalismo? Occorre lasciare da parte i rancori e discutere. Questo dibattito sulla Casa
comune, sul Federalismo non è patrimonio esclusivo di una segreteria o dell'altra. E'
patrimonio di tutti i sardi e sardisti.
Altro che teatrino di second'ordine. Se approderà a qualcosa di concreto, cambierà non
solo il futuro della Sardegna, ma dell'Italia intera. Ecco perché credo che il Psd'az
debba parteciparvi senza esitazioni, al più presto». ALESSANDRO CAREDDU
Unione Sarda 26-01-95 |
SARDIGNA NATZIONE:
Ok della Lega: sul federalismo pieno accordo
monza «Chi vuole il federalismo non può inseguire rapporti
privilegiati. Tutti coloro che hanno a cuore questo progetto devono lavorare assieme.
Perciò Lega lombarda e Psd'az devono farlo in direzione dell'internazionale federalista,
ma senza escludere Sardigna Natzione da questa casa comune». Lo afferma il sindaco
leghista di Monza, Aldo Montifiori, protagonista nei giorni scorsi dell'abbraccio con il
movimento indipendentista sardo.
Una iniziativa condivisa dall'intera Lega. Lo stesso Roberto Maroni,
numero due della Lega ed ex ministro del Governo Berlusconi, ha condiviso la presa di
posizione del sindaco di Monza, chiarendo così presunte perplessità sull'apertura a
Sardigna Natzione. «L'auspicio è che tutti collaborino», ha detto il sindaco
Montifiori, «su questo siamo tutti d'accordo: da me a Maroni, dal Psd'az a Sardigna
Natzione. I conflitti interni danneggiano i movimenti federalisti e favoriscono lo Stato
centralista, pronto a trarre vantaggio dalla sua filosofia del divide et impera».
Il coordinamento nazionale di Sardigna Natzione, intanto, continua con
le iniziative in vista della manifestazione popolare che, nella settimana dal 28 agosto al
primo settembre, interesserà tutta la Sardegna: oggi alle 16, ad Oristano (hotel Isa), è
in programma una riunione di dirigenti e attivisti del movimento.
La marcia per il lavoro e la cultura sarda (che prenderà il via lunedì
da Ittiri) scaturisce «dalla constatazione - spiega il coordinatore Angelo Caria - del
perdurare dello stato di impoverimento della nostra gente, dello stato di soggezione e
sfruttamento della nostra terra da parte di piccoli e grandi potentati economici
stranieri, nonché dalla vergognosa acquiescenza ed incapacità politica della classe
dirigente regionale». Unione Sarda 26-08-95 |
SARDITÀ: Dibattito a Nuoro
Rinasce l'idea della federazione di tutti i sardi
Si dice sardista e si pensa subito al Psd'Az. Ma nel pianeta Sardegna
esistono movimenti culturali e politici che non accettano egemonie e meno che mai diritti
di primogenitura. Ci sono federalisti, autonomisti, indipendentisti e persino separatisti.
In questo grande calderone, dove ribollono secolari ingiustizie e aspirazioni sempre
frustrate, c'è tuttavia un collante che unifica e fa vibrare i sentimenti più profondi.
In una sola parola, la «sardità».
A Nuoro, nel salone della Biblioteca Satta, davanti ad un'attentissima
platea, l'ex presidente della Regione ed ex parlamentare Mario Melis ha proposto questi
concetti con la facilità d'esprimersi che gli deriva dalla sua professione di avvocato,
ma soprattutto con la convinzione profonda d'essere sardo e sardista. Ed è andato anche
oltre Mario Melis. «Attenti - ha affermato - la sardità è un sentimento trasversale,
che travalica i confini dell'appartenenza politica, qualunque essa sia». Insomma, sardi
prima di tutto. Ed è per questo che Melis - durante la due giornate di dibattito
organizzate da Sardigna Natzione - ha lanciato l'idea d'una Federazione di tutti i
sardisti, ma aperta anche a chi milita in altri partiti. «Sogno - ha detto - una
mobilitazione di tutto il popolo sardo, unica via per riscattarci dai poteri forti di Roma».
Un progetto che in verità era stato già avanzato da intellettuali ed
esponenti politici di varia appartenza. E che si sintetizza nella «Casa comune dei
sardi», intesa come luoghi di incontro e di dibattito per stimolare iniziative unitarie a
tutti i livelli. Contro le chiusure veterosardiste che vanno obbligatoriamente superate e
«contro chi tenta di ingabbiarci nei poli di destra e di sinistra», come ha sottolineato
a Nuoro Bustiano Cumpostu di Sardigna Natzione. Tra le rivendicazioni forti c'è un
autonomismo spinto e naturalmente la questione della lingua. Un problema che tocca tutti,
che spinge i più intransigenti ad usare nella parlata usuale (e soprattutto tra le pareti
domestiche e davanti ai propri figli) solo ed esclusivamente «sa limba». Una sorta di
ostinata (e giustificata) rivendicazione contro quanti hanno tentato di strappare ai sardi
la loro cultura delle origini e di «renderli muti». Gian Piero Marras, indipendentista
di Sardigna Natzione e già iscritto al Psd'Az, è stato da sempre un difensore del sardo,
che vuole introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado e in tutti gli uffici pubblici. E
durante il convegno di Nuoro (al quale hanno partecipato baschi, catalani, corsi,
irlandesi e popoli minoritari d'Italia) ha illustrato una proposta di legge d'iniziativa
popolare.
«Oggi il popolo sardo - sostiene Marras - rivendica il pieno possesso e
l'uso del proprio linguaggio etnico, da introdurre per legge nei pubblici uffici e nelle
scuole della Sardegna di ogni ordine e grado. Una lingua intesa sia come strumento di
comunicazione verbale, usato da oltre l'ottanta per cento degli abitanti, sia come valore
da esaltare quale simbolo inalienabile di individualità nazionale».
Di qui questa nuova proposta di legge d'iniziativa popolare «attraverso
la quale il popolo sardo dovrà esere chiamato ad esprimere il suo parere sulla
questione». E' comunque certo - afferma con decisione Marras - che i sardi «sono una
minoranza linguistica e chiedono allo Stato l'applicazione nei loro confronti degli
articoli previsti dalla Costituzione».
Per riaffermare la sardità, per gridare in definitiva che prima di tutto «siamo sardi».
antonio ghiani
UNione sarda 26-09-95 |
«Cara Cecilia ti
ospitiamo nel teatrino»
La polemica aperta dalla segretaria del Psd'az Cecilia Contu con Mario
Melis e Italo Ortu ha suscitato ieri altre reazioni. A replicare è adesso Sergio Satta,
dirigente di Sardigna Natzione, il movimento che aveva convocato a Oristano il congresso
per la nuova «casa comune dei sardi», contestato dalla Contu che l'aveva definito un
teatrino per primattori. «Cara Cecilia - dice Satta - la Costituente sardista,
federalista e nazionalitaria è un traguardo impellente e necessario per il bene di tutti
i sardi e della Sardegna.
Non può aspettare che tu ti decida, un giorno o l'altro, ditoglierti la benda dagli occhi
e il cerume dalle orecchie...Tu hai voluto ignorare i nostri convegni, preferendo regalare
la bandiera dei quattro mori
alla Lega Nord di Bossi». Sergio Satta fa notare che i sardisti hanno aderito
all'iniziativa di Sardigna Natzione «tralasciando quel poco che li divide per il bene
della Sardegna. Solo tu tieni fuori il Psd'az, per quale motivo? Forse perchè hai paura
di perdere la leadership del sardismo? Se è solo per questo, sappi che nella prossima
costituente sardista non ci sono e non ci saranno primattori nè comparse. Ma se proprio
ci tieni ti faremo l'onore di presiederla, così il teatrino di second'ordine, come tu lo
hai definito, assurgerà a teatro di prim'ordine». Intanto la dirigenza della fondazione
sardista «S'Iscola Sarda» (presieduta da Giampiero Marras) ha proclamato il 1995 «Anno
della lingua sarda», avviando una serie di iniziative per celebrare il trentennale della
battaglia intrapresa da Antonio Simon Mossa per il riconoscimento della lingua sarda. La
fondazione si impegna inoltre a stimolare i Comuni, le associazioni culturali, le forze
politiche e sindacali perchè si mobilitino in modo che il Consiglio regionale approvi in
tempi rapidi una nuova legge per il bilinguismo nelle scuole e per la sardizzazione degli
impieghi.
Uninone sarda 27-01-95 |
Ma chi ha mai detto che
l'indipendentismo non vale per l'Italia?
Lunedì si saprà se nel palazzo dell'Onu siederà il rappresentante di
un nuovo Stato, il 186°. Nel Quebec si sta per votare il referendum che oppone chi vuole
l'indipendenza e chi, al contrario, vuole continuare l'esperienza federale con altre nove
province e i due territori all'interno del Canada. I sondaggi danno la vittoria agli
indipendentisti, ma non è cosa scontata.
È un fatto interno, che coinvolge un diritto collettivo, quello
dell'autodeterminazione, e la libertà di coscienza dei sei milioni e mezzo di persone. E
malgrado ciò, gli interventi dell'esterno sono di una pesantezza inaudita e includono
persino quello del presidente degli Stati
Uniti il quale sta tentando di orientare il voto di cittadini per lui stranieri,
ricattandoli sul terreno economico. Una ingerenza decisamente grave: che reazione avrebbe
ciascuno di noi se alla vigilia di elezioni governative, Clinton o Chirac o Eltsin
facessero un comizio a favore di Prodi, di Berlusconi o di chi altri?
La realtà è che nel Canada è in gioco la teoria degli Stati nazionali
ed esso è il primo Stato occidentale a sperimentare l'esercizio concreto del diritto alla
autodeterminazione. (Prima di oggi, bisognerebbe risalire al 1905 e all'indipendenza della
Norvegia). Diritto molto curioso, nell'idea che i governanti occidentali ne hanno: è
legittimamente esercitato solo se conviene loro. Va bene per sfasciare l'Urss e meno bene
per l'ex Jugolasvia; è tollerabile se divide l'Eritrea dall'Etiopia, va combattuto se
divide la Cecenia dalla Federazione russa. Ci sono ciniche ragioni di realpolitik (la
Cecenia indipendente aumenterebbe l'influenza internazionale dell'area islamica) che
presiedono questi atteggiamenti.
Ma solo cinismo, non rispetto del diritto internazionale. Né rispetto
del principio della non ingerenza, anche questo estremamente elastico: va rispettato
chiudendo un occhio sui massacri russi a Grosny, non è osservabile in Canada dove un
popolo sta per scegliere con il voto la sua sorte futura. La chiave per svelare il mistero
sta, è chiaro, nella paura che il Quebec, proprio per la sua qualità di nazione
occidentale di lingua francese e cultura europea, sia un esempio e, soprattutto, la
dimostrazione del possibile. Il terrore per tutto ciò è bene espresso in un editoriale
di sabato di La Repubblica dedicato ai leghisti che testimoniano solidarietà ai quebechesi. Non si
faccia illusioni la Lega - scrive il quotidiano - perché il referendum del Quebec non è
esportabile in Italia, la Costituzione
non lo permette. Manca l'indicazione di quale sarebbe la sanzione se qualche popolo dello
Stato osasse ricordare che anche l'Italia
ha firmato patti e trattati riguardanti l'autodeterminazione, ma la minaccia è implicita.
Così come è implicita la confessione che, almeno per gli strati sociali e politici che
il quotidiano rappresenta, è normale che lo Stato italiano violi gli impegni
internazionali assunti. Milan Kundera ha scritto un bell'articolo per un gruppo di
giornali europei, La Repubblica compresa. Sconcertato per l'accoglienza avuta in Europa dalla raggiunta indipendenza
di Slovacchia e di Slovenia, si chiede: «L'Europa è capace di creare una casa comune in
cui la diversità sia il più alto dei valori?». No, almeno stando alla preghiera che la
cultura politica di sinistra fa per la sconfitta del Quebec, per evitare il contagio.
Gianfranco Pintore
Unione Sarda 29/10/95 |
CONSIGLIO
Manifestazione sardista per «sa limba»
Per sollecitare l'approvazione della legge sulla lingua e la cultura
sarda il Comitato per la Costituente sardista e federalista organizzerà una
manifestazione davanti al Consiglio regionale.
La decisione di scendere in piazza è stata presa sabato scorso ad Oristano, a conclusione
dell'assemblea che ha approvato, a grandi linee, il «manifesto federalista» da
presentare l'11 febbraio a Cagliari. Tre grandi temi sono stati al centro delle assemblee
di Oristano e verranno presumibilmente ripresi nella stesura del manifesto. Innanzitutto
il federalismo, che «per noi - hanno precisato Angelo Caria e Giampiero Marras,
presidente di «S'Iscola sarda» - è l'etnofederalismo». Inteso, dunque, come
«identità nazionale dei sardi, della nostra storia, della nostra cultura e della nostra
lingua». Altro tema centrale, quello del modello di sviluppo, che «deve essere - hanno
sottolineato Francesco Casula e Gavino Sale - redicalmente diverso da quello
industrialista, tutto giocato sulla grande industria e sulla petrolchimica di base».
Modello che «non solo non ha creato lavoro ed occupazione -hanno affermato i due leader
sardisti - ma ha distrutto il tessuto economico e produttivo sardo, degradando
l'ambiente». Lo sviluppo della Sardegna, dunque, «deve essere
- ha sostenuto Roberto Cotti, dirigente dei verdi - legato alle risorse locali,
ambientalmente sostenibile e compatibile, perchè una volte che si distrugge una risorsa
pregiata come l'ambiente non vi è possibilità di creare lavoro». Infine, la questione
del biliguismo. Argomento sul quale hanno particolarmente insistito sia Bastiano Cumpostu,
sia Riccardo Meaggia e Sergio Satta, i quali hanno ricordato che «senza il sardo, da
insegnare nelle scuole ed utilizzare come lingua ufficiale assieme all'italiano, non vi è
popolo nè comunità nazionale sarda». Al Comitato continuano, intanto, ad arrivare
adesioni e consensi per la «costruzione della casa comune dei sardi».
Ultime in ordine di tempo quelle di Giuseppe Atzeri, ex capogruppo sardista al consiglio
comunale di Cagliari, e di Vanni Tola, eletto recentemente nella segreteria nazionale
della confederazione sindacale sarda.
Unione Sarda 31-01-95 |
|
|
|
|
|