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TOTU IMPARE PRO SA INDIPENDENTZIA DE SA NATZIONE SARDA

Est arribada s'ora de cumintzare sa bardana pro torrare sa Sardigna a sos Shardanas

Sa tzerachia batut miseria sa suverania batut prosperidade

Tzeladu su ventu sardista si pesat su ventu de s'indipendentzia

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Prosegue davanti al palazzo della provincia la protesta dei lavoratori Mazzoni vittime della ristrutturazione
Accampati in piazza sotto la pioggia battente
Sardigna Natzione contro Telecom: «Pubblicità contraria e abbonamenti disdetti»

Chi pensava che un nubifragio spegnesse l’ardore della protesta non ha fatto i conti con la determinazione degli operai che da alcuni giorni hanno piazzato una tenda davanti alla Provincia, in piazza Italia. Il sit-in è, infatti, andato avanti anche ieri e continuerà fino a quando i lavoratori impiegati fino allo scorso 31 dicembre nei subappalti della Telecom non otterranno risposte concrete sul loro futuro.
Gli operai della Mazzoni, l’impresa che per anni ha lavorato per la società telefonica hanno finora incassato la solidarietà degli amministratori provinciali e di qualche forza politica, ma sembrano decisi a non accontentarsi delle parole e, come i loro colleghi di Cagliari e da qualche giorno anche di Sassari, hanno scelto la forma di protesta estrema per amplificare la loro situazione e la protesta contro la Telecom accusata non solo di ridurre le commesse alle imprese esterne, lasciandoli senza lavoro e senza prospettive per il futuro, ma di non investire in Sardegna e in particolare nella provincia di Nuoro. Tanto che gli effetti della ristrutturazione scattata a fine hanno si vedrebbero proprio in questi giorni con i disservizi denunciati dagli utenti dell’azienda telefonica costretti ad aspettare a lungo gli interventi sui guasti, per non parlare delle lunghe attese di un semplice nuovo allaccio. Sono questi i concetti che gli operai della Mazzoni, ex Alcatel ripetono in questi giorni alla gente che transita in piazza Italia.
«Siamo qui per testimoniare la nostra voglia di non arrenderci», hanno detto anche ieri riparandosi alla meglio dalla pioggia e preparandosi a trascorrere un’altra notte all’addiaccio. Parole ripetute anche alla delegazione di Sardigna Natzione che, guidati dal coordinatore nazionale Bustianu Cumpostu hanno voluto portare la «solidarietà degli indipendentisti». Sardigna Natzione ha annunciato che con propri militanti parteciperà attivamente al presidio, indicando la Telecom come prima responsabile: «Ci faremo promotori insieme agli operai della Mazzoni», si legge in una nota firmata da Cumpostu, «di azioni di lotta pacifiche che tocchino gli interessi dell’ente telefonico (pubblicità contraria, boicottaggi e disdette di abbonamenti) al fine di rendere evidente che i lavoratori sardi non sono disposti ad essere le prime vittime delle ristrutturazioni clientelari che la Telecom sta mettendo in atto».

 
Approda a Roma il caso dell’emigrato accusato di aver rapito i due figli
Bimbi contesi, round per il papà
La Cassazione chiede il parere della Procura dei minori

Nessuna decisione a cuor leggero per il caso dei gemellini contesi dalla madre francese e dal padre italiano: la Corte di cassazione ha deciso di non decidere almeno sino a quando non avrà sentito il Procuratore del tribunale dei minori che si occupò del caso a Sassari, Antonio Amoroso. La suprema corte avrebbe dovuto pronunciarsi sul ricorso degli avvocati Secci e Mastandrea per l’annullamento della sentenza della Corte d’appello che aveva restituito i due gemellini alla madre francese. Prima di stabilire se quella restituzione era legittima i giudici della prima sezione hanno pensato di ascoltare il parere della Procura minorile di Sassari. «Una decisione che in qualche modo ci incoraggia in questa difficile battaglia - dicono gli avvocati di Tonino Congiu - anche perché, non dimentichiamocelo, il Procuratore alla fine dell’udienza sassarese aveva dato parere favorevole per l’affidamento dei due bambini al padre».
Ieri mattina a Roma, a fianco a Lucio Congiu c’erano amici, associazioni in difesa dei diritti dei padri, quasi sempre alle prese con figli negati. La sera, come promesso si è tenuta una conferenza stampa in cui sono emerse speranze e riflessioni su una storia di paternità negata, per gli avvocati italiani; di sequestro di persona nei confronti dei figli, invece, per i legali francesi.
La vicenda di Lucio Congiu e dei suoi due bambini di tre anni comincia nel settembre dello scorso anno, quando approdano a Porto Torres, in arrivo da Marsiglia. Con la sua compagna non ha funzionato, eppure insieme avevano deciso di avere dei bambini, ricorrendo, dopo innumerevoli tentativi, all’inseminazione artificiale. Quando erano nati sembravano aver cementato una unione perfetta, che però aveva iniziato ben presto a scricchiolare. L’ultimo tentativo di riconciliazione lo fa lei, dopo aver saputo della decisione di Lucio Congiu di chiedere l’affidamento dei bambini. Lui recede dal proposito, lei di nascosto chiede a sua volta l’affidamento, concesso dai giudici francesi. A quel punto Lucio Congiu decide di partire per l’Italia, rinuncia a una battaglia legale che è convinto di perdere, almeno in Francia. In Italia il tribunale dei minori gli dà l’affidamento dei figli ma la faccenda diventa presto un braccio di ferro tra i due Stati. In mezzo ci sono i due gemellini, che da nove mesi vivono con la madre. Da allora il padre non li ha più sentiti.

P. C.

 
Stintino. 30 agosto 2000
Ispezione del ministero
I fulmini di Bordon sul Country Village

Stintino Dopo gli ecologisti e la Procura anche il ministro dell’Ambiente Willer Bordon si mostra interessato al “Bagaglino Country Village”. Meglio, più che al villaggio alle sue modalità di insediamento, in un sito naturalistico “di importanza comunitaria”.
Parte direttamente da Roma la richiesta di una verifica della regolarità degli insediamenti di un villaggio diventato in un attimo una città nella città. Un insediamento studiato per ospitare migliaia di persone, relegato nell’ombra a seguito di una inchiesta giudiziaria che ne ha impedito il lancio in grande stile. Una marea di esposti in Procura, attentati dinamitardi, processi e blitz firmati dagli indipendentisti di Sardigna Natzione. Una vicenda tormentata che adesso approda alla scrivania del successore di Edo Ronchi.
Bordon d’altra parte non ha avuto bisogno di suggeritori per accorgersi di quanto accadeva sulle colline di Punta de su Turrione. Il ministro, abituale frequentatore di Stintino e appassionato di vela latina, aveva già espresso le sue perplessità in privato.
Di ieri la decisione di richiedere ufficialmente una verifica sull’intero complesso turistico.
Il Bagaglino era cresciuto rapidamente ma nel ’97 aveva dovuto rinunciare a 17mila metri quadrati per aver sbagliato in eccesso le cubature.
Uno dei tanti imprevisti per un complesso che non ha mai avuto vita facile.

Corsica, la pace tradita
Sardigna Natzione: politica, non sangue    11/agosto/2000
dal nostro inviato
Celestino Tabasso

Corte Una pace appena nata e già sporca di sangue. Tornati dal cuore della Corsica, dove si erano abbracciati in nome della distensione, gli indipendentisti del Vecchio Continente si ritrovano protagonisti di una terribile guerra, dalle mitragliate dell’Ile Rousse al tritolo dell’Eta. Uno shock, ma lo slogan rimane: «La parola alla politica»: dicono i separatisti di casa nostra, reduci dagli incontri coi delegati delle altre piccole patrie.
Domenica, ultima delle tre giornate internazionali di Corte: la tregua tra le organizzazioni corse non è mai sembrata così solida, la Francia non è mai parsa così bendisposta, l’Europa unita apre nuove prospettive ai popoli senza Stato.
Poche ore dopo l’ex dirigente di Cuncolta Jean-Michel Rossi morirà insieme alla sua guardia del corpo sotto le raffiche di un mitra. Altre ventiquattr’ore e i baschi dell’Eta scateneranno un’offensiva a suon di bombe contro Madrid, con due stragi in due giorni. Una doccia fredda sul processo di distensione.
Eppure a Corte, un attimo prima che la ventata di violenza riporti drammaticamente d’attualità il nazionalismo europeo, tutto sembra andare per il meglio. Sotto il grande tendone bianco le tribù del nazionalismo corso approvano due documenti fondamentali per la pacificazione dell’isola: il protocollo di Fiumorbu, col patto di non belligeranza fra le tante sigle politiche e militari, e la bozza di Matignon, primo passo verso la contrattazione dei poteri fra Parigi e Ajaccio. Nell’antica capitale corsa c’è un clima nuovo, un ottimismo eccitato che alle Tre Giornate non si vedeva da tempo. Al lungo bancone della mescita spuntano facce scomparse dal giro molti anni prima, militanti che per disaccordi politici o per istinto di conservazione si erano ritirati a vita privata.
Una pattuglia di leghisti si aggira con aria un po’ spaesata, poi piega il fazzolettone verde col sole padano e se ne torna a casa: nessuno di loro sarà invitato sul palchetto delle rappresentanze nazionali. Le troupe francesi setacciano il campo a caccia di Jean-Guy Talamoni. Capogruppo degli otto consiglieri regionali di Corsica Nazione e leader carismatico di Cuncolta, è stato fra i tessitori della pace di Fiumorbu e del cartello Unità, che ha raccolto otto decimi delle sigle indipendentiste.
Mercoledì gli obiettivi lo cercheranno mentre segue pallido il feretro di Rossi e distribuisce parole di conciliazione. Ma domenica è ancora il timoniere di una navigazione serena verso la tregua. Ai giornalisti francesi annuncia la condizione essenziale del processo di pace con la Francia. Un concetto facile, scritto a spray sui muri lungo i 130 chilometri tortuosi che da Bonifacio portano a Corte: «Libertà pa i patriotti», fuori dalle celle tutti i prigionieri politici, anche quelli che hanno sparato. Nello spiazzo assolato intanto i discorsi, le speranze e le preoccupazioni si sovrappongono. Sotto il tendone bianco dei dibattiti si parla francese, per comodità. Ma al bancone del pastis, nella mensa e sulle rive ombrose del Tavignano fiorisce l’indipendentese, l’esperanto etnico coniato dai nazionalisti per meglio intendersi. Per i sardi è facile: coi corsi si parla in gallurese, con i catalani basta un logudorese piano ed elementare. Con gli uomini di Euskadi è un po’ più complicato, ma alla fine anche tra baschi e berritte si comunica. E alla fine i militanti di casa nostra vanno via con un risultato politico concreto nella bisaccia, frutto anche del clima di distensione sul quale precipiterà poi l’omicidio di Rossi. «Abbiamo istituito - spiega il coordinatore di Sardigna Natzione Bustianu Cumpostu al ritorno dalla Corsica - un gruppo di coordinamento permanente fra corsi, baschi, sardi e catalani, una nazione delle nazioni che conta venti milioni di europei e si pone come interlocutore dell’Ue». Ma vale la pena di stringere un patto con chi insanguina l’Europa? «Sono le organizzazioni militari a compiere le azioni di guerra, noi dialoghiamo con quelle politiche. Non è una distinzione capziosa: al contrario, costruendo un soggetto politico forte si taglia l’erba sotto i piedi alle organizzazioni militari. Pregiudiziali contro la lotta armata comunque non ne ha posto nessuno, per un motivo abbastanza semplice: è l’oppressore che sceglie il tipo di lotta, non l’oppresso. Noi comunque abbiamo sollecitato i corsi a guardare con favore gli accordi proposti da Jospin. Ma al tempo stesso li abbiamo messi in guardia: noi sappiamo cos’è l’autonomia, la conosciamo da cinquant’anni ed è chiaro che da sola non basta, soprattutto finché a gestirla saranno i partiti italianisti». Iniziate bene e chiuse da una mitragliata, le Tre Giornate del 2000 finiscono su un bivio. Potrà essere un nuovo ’96, quando gli indipendentisti sardi dovettero spedire tredici telegrammi di condoglianze fra Ajaccio e Bastia, oppure il laboratorio della nuova, pacifica devolution all’europea.
Intervista.  12/7/2000
Il leader di Sardigna Natzione 
Bustianu Cumpostu vuol far l’americano  
Devolution per loro è forse un termine un po’ troppo elegante. E porta lontano: roba da Lord, da kilt e cornamuse. Vanno sul pratico, a Sardigna Natzione: «Serve la dissoluzione totale, completa, dello Stato centralista, ottocentesco, antiquato dunque inutile».
Bustiano Cumpostu, coordinatore nazionale del movimento, crede poco alla proposta di Giuliano Amato.
Eppure i governatori del nord sembrano entusiasti. Voi no. Sempre controcorrente?
«No, si tratta di rimettere tutte le carte nel mazzo e poi distribuirle da capo».
Sta parlando dei poteri dello Stato?
«Sto parlando di quello che lo Stato s’è preso e si tiene stretto da oltre un secolo. Il federalismo deve essere una libera scelta».
Perché fare gli smorfiosi? Solo perché la proposta arriva da Roma?
«Non ci può essere un federalismo buono se viene calato dall’alto, deve essere una libera scelta, altrimenti è la riverniciatura di una vettura vecchia».
Però è già importante che se parli.
«Certo, è la spia che questo modello di Stato, di organizzazione non funziona più. Se ne sono accorti».
Chi, gli italiani?
«Quelli che stanno a Roma sono stati costretti ad acchiappare il cavallo prima che parta al galoppo».
Però la spinta è arrivata dalle regioni del nord, non dai movimenti indipendentisti.
«Certo, perché il punto forte di questo Stato si sta rivelando il suo tallone d’Achille».
Via lo Stato?
«Certo, lo Stato-nazione non funziona da tempo. È inutile mettere pezze, vediamo cosa si può fare per miglioralo».
In Inghilterra il primo ministro laburista Tony Blair con la devolution ha messo d’accordo Irlanda del nord, Galles e Scozia. Pensa sia un modello esportabile?
«Sicuramente è una esperienza interessante, da guardare con simpatia. Ma ogni popolo ha i propri bisogni e bisogna vedere di volta in volta».
E l’esperienza catalana cosa insegna?
«Quel tipo di federalismo è più il frutto del genio politico di Jordi Pujol, che con la sua Convergència y unió è riuscito a ottenere ciò che i baschi non hanno strappato  con la lotta armata. A Pujol, e della sua politica condivido poco, va dato atto d’aver sfruttato una debolezza del centrodestra per ottenere le riforme».
Un po’ quello che volevate fare voi con la “Casa comune”?
«Il problema è che Efisio Serrenti e Mario Floris hanno avuto troppa fretta. Probabilmente hanno capito che mai sarebbero riusciti ad avere quei posti e hanno fatto saltare il giocattolo».
Quale era la strategia?
«Bisognava lasciare i poli in perfetta solitudine, attendere che esaurissero la propria funzione, le energie. E solo dopo riaffermare la nostra centralità e portarli sui nostri programmi. Invece hanno sostenuto con una stampella il centrodestra».
Errore grave secondo voi?
«Basta osservare cosa sta accadendo. Il problema è che in qualsiasi governo o si entra per contare oppure non si entra affatto. Mario Melis è stato per anni il capo del governo sardo, ma è stato prigioniero dell’allora Pci».
Eppure per tanti quell’esperienza è stata importante.
«Non dico che è tutto da buttare. Ma da lì è cominciata anche la crisi del sardismo: si attendeva molto, è stato fatto poco. Neanche la legge sulla lingua».
Che è stata fatta dopo, con il centrosinistra.
«Bisogna dare atto a Serrenti d’essere riuscito a inserire la proposta in un momento nel quale doveva necessariamente essere approvata, e cioè dopo la quinta crisi della Giunta-Palomba. Non potevano votare contro, rischiare un’altra crisi».
Non vi piace neppure l’idea della Camera delle regioni?
«Il modello americano ci piace molto. Due senatori per stato, sia che abbia 700 mila abitanti, sia che ne abbia dodici milioni. Rapporto paritario».
Un indipendentista innamorato dell’America di Clinton?
«E perché? Meglio allora il modello tedesco? No, altrimenti ci ritroveremo senza deputati, come in Europa».
Mauro Spignesi

 

 
Sassari. 22 Luglio 2000
Accusato per la vicenda dei gemelli contesi, è sostenuto dagli indipendentisti e dal “comitato mamme”
Il papà rapitore pronto alla resa
I suoi legali: «Non può vincere questa battaglia da fuggiasco»

Sassari Il rifugio più sicuro lo troverà nella tana del lupo. Si getterà tra le braccia di quelli che lo braccano, per giudicarlo come un rapitore. Lucio Congiu sta meditando il colpo a sorpresa, la mossa che nessuno si aspettava: costituirsi in Francia, senza aspettare l’estradizione da parte del governo italiano.
Un apparente autogol, per il padre dei due gemellini contesi. Fino all’altro giorno si è opposto con ogni mezzo alla richiesta delle autorità francesi. Eppure i suoi avvocati insistono in quella direzione: «Questa battaglia non si può vincere da fuggiaschi», dicono Tonino Secci e Claudio Mastandrea, i legali che assistono l’emigrato sardo accusato di avere rapito i suoi due figli, affidati alla ex convivente francese.
Dopo la sentenza della Corte d’appello di Sassari, che lunedì scorso ha dato il via libera all’estradizione, Lucio Congiu scappa e non sa da che cosa: per la legge non è un latitante, nei suoi confronti non è stato emesso dalla magistratura italiana alcun ordine di cattura. Ma lui ormai si sente un bandito, cerca di far perdere ogni traccia, si nasconde. «È vero che per ora è un libero cittadino, ma non si fida più di niente e di nessuno», spiega Tonino Secci.
Gli avvocati hanno proposto ricorso in Cassazione contro la decisione della Corte d’appello, ma anche prima della sentenza definitiva sull’estradizione il padre dei gemellini potrebbe perdere la sua libertà. Nulla vieta infatti al ministero della Giustizia di chiedere un provvedimento restrittivo nei suoi confronti: per evitare il pericolo di fuga e assicurarsi la possibilità di estradarlo, se anche la suprema Corte dovesse dar ragione alla magistratura transalpina. Congiu rischia dunque la vergogna del carcere, dopo aver perso la battaglia per l’affidamento dei bambini (nonostante la solidarietà delle mamme di Porto Torres, dove si era stabilito quasi un anno fa, e lo sciopero della fame in piazza).
Per questo si nasconde. E vive nel terrore. I suoi difensori vogliono farlo uscire da questo dramma: «Ormai è isolato, si sente un fuggiasco. Tutti gli hanno chiuso le porte in faccia, è emarginato. Non si può vivere così. Costituirsi in Francia avrebbe un significato ben preciso: dire ai giudici che lo vogliono processare che il nostro assistito non si sente un delinquente».
L’operaio originario di Ozieri era inizialmente diffidente rispetto a questa ipotesi, ma sembra che ora ci stia ripensando. Probabilmente si convincerà che è la cosa migliore. Lo sbarco in terra francese potrebbe essere questione di giorni, quando saranno più chiare anche le relative garanzie legali. Si vuole evitare a tutti i costi che Congiu sia condotto in manette a subire un processo per sequestro di minore che considera un’assurdità. «Ha già subito cinque provvedimenti giudiziari negativi», sottolineano Secci e Mastandrea: «Anche per questo non nutriamo più nessuna fiducia nelle istituzioni, e non accettiamo di aspettare che vengano a mettergli le mani addosso come a un criminale».
La vicenda della fuga di Congiu, intanto, assume anche una coloritura politica: l’emigrato ha rivelato di essere protetto da amici legati ai movimenti dell’indipendentismo sardo, ma Bustiano Cumpostu, coordinatore di Sardigna natzione, nega che il proprio partito sia direttamente coinvolto. Lo fa senza comunque prendere le distanze da Lucio Congiu: «Non siamo in contatto con lui, non ci ha cercati. E credo che chi lo protegge non sia un militante di Sardigna natzione, o perlomeno se lo è non ci ha fatto sapere niente. Ma non possiamo condannare chi sta aiutando un cittadino sardo che è stato penalizzato nei suoi diritti».
Il leader indipendentista si schiera dunque apertamente dalla parte del padre a cui sono stati sottratti i figli: «Lo Stato italiano non ha tutelato gli interessi di questa persona, probabilmente per debolezza nei confronti del governo francese. È dovere di ogni patriota sardo aiutare e proteggere un conterraneo che vive queste difficoltà. Non è detto che, in seguito, Sardigna natzione non possa occuparsi direttamente della questione. Congiu, in ogni caso, ha tutta la nostra solidarietà».
Giuseppe Meloni

 
Porto Torres. 23 luglio 2000
Congiu
Gli indipendentisti sul papà rapitore: «Non si costituirà»

Sassari La resa in terra francese non ci sarà. O perlomeno è tutt’altro che scontata. «Costituirsi in Francia? Per ora Lucio Congiu non ci pensa nemmeno». L’ipotesi ventilata dagli avvocati dell’emigrato sardo riceve un brusco stop: a darlo sono proprio gli “amici indipendentisti” che, per ammissione dello stesso Congiu, offrono la propria protezione al padre dei due gemellini. La vicenda si tinge di giallo, e gli sviluppi potrebbero essere imprevedibili.
Di sicuro, l’operaio accusato di aver rapito i suoi stessi figli è in questo momento al centro di dubbi laceranti. Tirato da una parte e dall’altra dalle persone che, a vario titolo, si stanno occupando di lui. Secondo i legali Secci e Mastandrea la soluzione migliore sarebbe consegnarsi alla giustizia francese, senza attendere l’estradizione, per dimostrare che l’uomo che ha perso la battaglia per la custodia dei gemellini non è un delinquente e tanto meno un fuggiasco.
Ma il diretto interessato non sarebbe assai convinto di questa strategia. «Non è la tesi che sosteniamo noi», fa sapere uno degli “amici”. I toni e i modi della comunicazione diventano un po’ grotteschi, quasi da spy story. Il display del cellulare dice solo “numero privato”, la voce è quella di chi non vuole perdere tempo e teme di essere intercettato. Eppure Congiu non è ricercato da nessuno, chi lo accoglie in casa sta solo ospitando un amico. Ma la tensione è alta, e a testimonianza dell’interesse che sta suscitando la vicenda l’interlocutore rivela un dato: «Siamo un gruppo di trenta persone, ci sono anche donne e bambini. Non stiamo coprendo un assassino, Lucio è un caso internazionale di evidente ingiustizia. È vero che non è ricercato, ma ha paura della giustizia italiana e non si fida a venire allo scoperto».
Consegnarsi ai giudici stranieri, insomma, non sembra la mossa più azzeccata: «Se va adesso in Francia lo sbattono in galera e lo fanno sparire. Noi invece vogliamo che questa storia non sia dimenticata. E chiediamo che il ministero della Giustizia faccia marcia indietro e dica no all’estradizione».
Giuseppe Meloni

 
Il congresso Psd’Az.  2 luglio 2000
Nella relazione del segretario Franco Meloni la storia di un anno difficile e controverso
L’orgoglio sardista distante dai poli
«Mai con Berlusconi e Floris, autonomia anche dal centrosinistra»
Dal nostro inviato
Lorenzo Paolini
Sassari La sfida del se. È un congresso nazionale dei periodi ipotetici, del niente-è-sicuro. Il Partito sardo d’Azione mette insieme i suoi 251 delegati e le sue quattro mozioni per tirar fuori una linea politica nuova, un salvagente per le onde che hanno rischiato di travolgerlo. E, nel suo ventottesimo appuntamento nazionale, settantanove anni di vita, ipotizza un cambio di rotta. Niente alleanze organiche con il centrosinistra ma non si dica che è una corsa al fidanzamento con il centrodestra. Una rivendicazione d’autonomia. Un’equidistanza che sarà magari di difficile comprensione politica con un sistema che vede due poli contrapposti ma lascia un po’ sulla graticola gli alleati della Coalizione autonomista. Forse è anche per questo che i leader dell’Ulivo giungono in forze nel teatro Verdi di Sassari dove si inaugura il congresso. Antonello Cabras, fresco di nomina alla guida dei Ds, arriva con Gianmario Selis da Cagliari. Giorgio Maciotta in prima fila, così come i Democratici (Bruno Dettori), lo Sdi (Totore Piras). È il congresso dell’arrivederci di Franco Meloni («ho fatto il segretario per 15 giorni e poi mi sono trovato a fare scelte politiche per quindici mesi senza numeri che mi legittimassero, senza direttivo, ma con il solo conforto dello Statuto»), il senatore presidente eletto nel centrosinistra che non chiede, anzi esclude, la riconferma alla guida del partito. Potrebbe essere il congresso (si saprà stasera, con l’elezione del nuovo Consiglio nazionale) che incorona Giacomo Sanna alla segreteria e dà il viatico solenne alla nuova strategia dell’accordo sui programmi.
Sono passate le 10 quando Michele Pinna, presidente dell’Istituto Bellieni, dà il via ai lavori. Arrivano i saluti del sindaco di Sassari, quelli di Cossiga («trattenuto in ospedale, mi dolgo di non poter essere lì da autonomista convinto di antica tradizione familiare»). Nelle prime file anche Armando Corona, ex gran maestro della Massoneria. Tocca a Meloni, da presidente-segretario uscente, tirare un po’ le somme di questa stagione tormentata. E il senatore fa quasi un resoconto da cronista, utilizzando L’Unione Sarda come pezza d’appoggio in taluni passaggi. Si parte dal congresso dell’Asinara di tre anni fa, anzi da quello di Alghero. Chi c’era ricorda bene il tendone al porto traboccante di tesserati e curiosi mentre questa volta la platea del Verdi segnala amplissime macchie di leopardo. La citazione è importante perché serva per rammentare la cacciata di Palermo «che aveva osato proporre lo sdoganamento di An, peccato che quelli che lo accusarono allora sono gli stessi che oggi hanno fatto l’accordo con il Polo». Eccolo il convitato di pietra, l’assente innominato e anzi snobbato ma a cui è rivolta parte del discorso: Efisio Serrenti, presidente del Consiglio regionale, protagonista della diaspora che ha gemmato i Sardistas. Meloni però punta anzitutto verso un altro bersaglio, quello che gli chiede la base: il centrosinistra in generale, i Ds in particolare. E allora sotto con le Giunte Palomba, il rimpasto, «quando si giunge a dare un assessorato al non rimpianto Lorrai per far fuori il Psd’Az e buttarsi all’arrembaggio dei posti». Legislatura disastrosa, è il giudizio lapidario. Intanto si va verso le elezioni regionali, non si trova l’accordo con il cosiddetto “polo nazionalitario”, Sardigna natzione e Sa mesa. Il Psd’Az corre da solo mentre le urne regalano la vittoria a Mauro Pili. Ancora Serrenti soggetto non indicato: «Viene fuori subito l’intenzone di fare un accordo con i Floris e con i Grauso per una casa comune mai nata». Poi lo snodo, quello che porterà alla separazione definitiva: «I nostri incontri con il centrodestra vengono bruciati, ci dicono che è stato raggiunto un accordo con un nostro autorevole rappresentante ed è stata raggiunta la maggioranza». Morale: il Psd’az perde la possibilità di creare un gruppo in Consiglio regionale, Pasqualino Manca e Giacomo Sanna vengono iscritti d’ufficio all’opposizione. E Serrenti e i suoi amici? «Abbiamo preso atto della loro uscita automatica dal partito mentre li sfido a tirar fuori un provvedimento di espulsione a mia firma». Le recenti amministrative, secondo Meloni, vanno benino. Resta solo il gravissimo neo del caso-Sassari, con la spaccatura a sinistra di Anna Sanna («con la presunzione di contrapporsi al proprio partito») e la bocciatura del candidato quattromori Leonardo Marras. Un quadro che, dipinto così, sembrerebbe prefigurare uno spostamento di area. E invece Meloni corregge il tiro: «È vero che c’è diffidenza verso i Ds ma guardiamo il triste spettacolo di questa Giunta, l’occupazione selvaggia con parenti e amici di enti che si volevano sopprimere, la lotta in campo nazionale di esponenti del Polo contro la legge che tutela le minoranze linguistiche». La sintesi di questo né-di-qua-né-di-là vorrebbe essere in due no: «Non al centralismo burocratico e conservatore della sinistra di governo e no al padrone di Arcore e ai nuovi presunti governatori delle regioni ricche». Applausi forti puntellano il rifiuto di un’alleanza berlusconiana (anche se l’applausometro della mattinata segnala in vetta l’intervento di saluto in limba di Bustiano Cumpostu, leader di Sardigna natzione), compreso un mai urlato davanti all’ipotesi di un ingresso nella Giunta Floris. Un discorso che sembra il prefigurarsi di un grande avvenire dietro le spalle, con un riferimento a Nino Piretta («nel ’65 diceva che i sardisti sono anarchici e indisciplinati ed è vero»). Poi però la chiusa è rivolta al futuro, con la citazione di un incontro di trent’anni fa fra Titino Melis e Antonio Simon Mossa: «Il partito è una quercia, finché ci sarà questa terra ci sarà il partito».
Non è un compito facile quello che si assumono Antonello Cabras e Gianmario Selis. Il segretario dei Ds sposta la traiettoria dello sguardo del congresso dal passato al futuro: «Raccolgo la sfida dell’equidistanza ma la prospettiva non può essere la Giunta Palomba, l’assessore ai Trasporti e Serrenti». Accordo sui programmi? Perfetto, «ma l’obiettivo concreto dev’essere quello del Governo e del Parlamento». Mentre Selis paventa tutti i rischi del abbraccio con Berlusconi: «Siamo autonomisti e lo stiamo dimostrando. Per questo i sardisti non possono accettare la colonizzazione della coscienze, l’enorme concentrazione finanziaria e mediatica nelle mani di un solo uomo, la vicenda della compravenditadi voti in Consiglio regionale». Stasera si saprà se il messaggio ha colpito nel segno.
 
Nuoro.  3 luglio 2000
Da Sardigna Natzione
Cumpostu espelle Mele

Nuoro  Espulso e senza tanti complimenti. Domenico Mele, consigliere comunale non riconfermato nelle ultime elezioni quando si è presentato per Sardigna Natzione, non fa più parte del movimento indipendentista. Il coordinatore nazionale di Sn Bustianu Cumpostu, «preso atto delle notizie giornalistiche non smentite dall’interessato», ha decretato l’allontanamento di Mele colpevole di aver aderito e di essere stato nominato componente del direttivo provinciale del Pps.
«Abbiamo ritenuto sempre quasi normale lo spostamento dei militanti da Sardigna Nazione al Psd’Az e viceversa», scrive Cumpostu, «ma l’atto compiuto da Domenico mele si configura come un vero e proprio tradimento della causa nazionalista ed indipendentista». Oltre alla rottura personale, sancita dall’espulsione, si prefigurano anche complicazioni nei rapporti tra Sardigna Natzione e il Pps: «I dirigenti del movimento», conclude infatti Bustianu Cumpostu, «non parteciperanno a nessun incontro col partito a cui ha aderito se tra i delegati sarà presente il signor Mele».

 
Verso il congresso.  28 giugno 2000
Prime indiscrezioni sul nome del nuovo segretario, pesa lo strappo con Serrenti
Il Psd’Az alla ricerca di alleati
Meloni: “Accordo sui programmi e con chi vuole il proporzionale”

Lorenzo Paolini

Duecentocinquantun delegati, quattro mozioni, e un problema: dove stare? Il Psd’Az va a congresso sabato prossimo (apertura in pompa magna al Teatro Verdi per poi spostarsi, nel pomeriggio e nel giorno successivo, nella sala congressi del centro “Il vialetto”) con un dilemma: è tempo di fare un’inversione a U e guardare verso il Polo? Oppure ha ancora un senso l’alleanza con la Coalizione autonomista? Non sarà una scelta facile per un partito che, nel passato prossimo, ha vissuto la diaspora del gruppo di Efisio Serrenti (verso il centrodestra) e patito la sconfitta al Comune di Sassari (per le beghe interne del centrosinistra).
Ripartire dal centro, sembra il senso delle posizioni che si confronteranno. «Partito con le mani libere», è stata l’espressione più usata nei congressi dei nove distretti (Sassari, Gallura, Ogliastra, Nuorese, Oristano, Cagliari, Sulcis, Marmilla e Monte Linas).
Franco Meloni, senatore, era stato eletto presidente e si è trovato a fare il segretario. «Ho avuto un ruolo istituzionale per 15 giorni - ripete- e un ruolo politico per 15 mesi». Dovendo fare una sintesi del dibattito che sta per aprirsi, mette sul tavolo più argomenti. «Si discuterà di modifiche dello Statuto, un argomento che torna in tutti i congressi».
Poi, naturalmente, il problema politico in senso stretto: «Dovremo ragionare dei rapporti con le altre forze politiche, a partire dal polo nazionalitario, Sardigna natzione, Sa mesa».
E poi, ultimo e più importante, la scelta del dove: in che posto si colloca il Psd’Az? Meloni fa un passo indietro, un po’ di storia recente per ricordare come e perché il Psd’Az oggi in Consiglio regionale stia all’opposizione ma i rapporti con i Democratici di sinistra siano comunque tesi. «Bisogna ricordare la Giunta Palomba, quando il presidente per conservare il posto fece fuori il Psd’Az. Dentro il partito, da allora c’è disagio per l’alleanza con i diessini. Si soffre per l’arroganza del potere, per una qualche egemonia».
Dall’altra parte oggi in Sardegna c’è la Giunta Floris e il centrodestra: il Psd’Az occhieggia verso qualla parte? «Credo che in questo periodo non sia ipotizzabile una partecipazione al governo di centrodestra. L’importante è che non si dia per scontato il matrimonio con i Ds all’opposizione».
Alleanze per i programmi, è il nuovo verbo. La nuova legge elettorale che potrebbe prefigurarsi alla Regione offrirebbe ai sardisti uno spunto importante per dialogare per esempio con Forza Italia. Come è stato segnalato nel congresso sassarese, uno dei nuovi fari della strategia sardista è trovare compagni di strada in chi crede nel sistema proporzionale. Una a caso, Forza Italia. Il che rende complicata la vicinanza con i Democratici di sinistra, e comunque con tutte le forze che credono nel maggioritario.
Nel congresso si parlerà poi anche del nuovo vento sardista che aleggia da un po’ in tutte le segreterie politiche dell’Isola. I popolari chiedono una federazione del partito con Roma ma un’autonomia regionale. I democratici di sinistra hanno dedicato il congresso regionale che si è chiuso domenica alla nuova sinistra federalista sarda.
Al Psd’Az mancherà il terreno sotto i piedi? «Tutt’altro - annota Meloni - anzi si allargano i margini. Anche perché le scelte di Ppi e Ds hanno carattere organizzativo ma mi pare improbabile che i vertici diano il benestare. Mi pare che già Castagnetti abbia dato una sorta di alt. Una ragione di più per collocarsi lontano dai due poli, lontano da chi non può tagliare il cordone ombelicale con il centralismo romano e milanese. Equidistanti e pronti a discutere di programmi».
Convitato di pietra al teatro Verdi, il presidente del Consiglio regionale Efisio Serrenti. Né lui né i suoi Sardistas saranno fra gli ospiti, tantomeno fra i delegati. Meloni tronca sul nascere le discussioni: «Quello di Serrenti è un problema ormai completamente superato, il suo movimento politico non ci ha creato problemi, il risultato alle ultime amministrative per noi è stato buono e abbiamo mantenuto lo stesso numero di iscritti».
A Cagliari, negli uffici del Consiglio, Serrenti ovviamente dissente: «Non è un congresso serio né legittimo, semplicemente un modo per far fuori i dissidenti e dimostrare che la dirigenza è padrona del partito. Altrimenti non si impedirebbe a me, che sono e resto sardista, e a migliaia di altri simpatizzanti, di partecipare alla vita del partito. Che senso ha espellere quasi tutti dalla sezione storica di Carbonia, dare una sola tessera a Sarroch e più o meno lo stesso a Elmas? Verrà fuori una posizione politica di equidistanza? È esattamente il mio punto di vista, quello che io sostenevo già un anno fa». Espulso? Non esattamente: «Con un migliaio di iscritti, siamo stati sospesi. Fra l’altro, ho fatto i versamenti e non mi è stata mandata la tessera né mi sono stati restituiti i quattrini». Disservizio postale?
Ultimo argomento, ma in verità uno dei primi, la scelta del nuovo segretario. Franco Meloni non riproporrà la sua candidatura ma fra le anime del partito manca ancora un accordo sul nome. Pensando a una donna, qualcuno cita Lina Crobu: a suo sfavore gioca l’atteggiamento della Gallura nelle ultime elezioni.
Poche chance anche per Salvatore Bonesu che a Oristano tentò, per le Provinciali, un’allenza con il centro che tagliasse fuori An. Fra i sempreverdi, Antonio Delitala e Lorenzo Palermo (che però non sembra disponibile). Due candidati forti sarebbero del Sassarese: l’ex deputato Giancarlo Acciaro ma soprattutto Giacomo Sanna, consigliere regionale. Ex presidente della Provincia, Sanna sarebbe anche il candidato numero uno nel caso in cui il Psd’Az decidesse di passare armi e bagagli nella Giunta Floris. Mentre lui, per ora, smentisce l’una ipotesi. E l’altra.

Fiumesanto - Ocupazione centrale
Fiumesanto Sardigna natzione a processo Ocupazione della centrale di Fiumesanto per sei ore il 20 ottobre del 1997: per questo episodio si apre domani a Sassari il processo contro i militanti di Sardigna natzione (sei, “Commando Amsicora”). Bustianu Cumpostu, coordinatore nazionale, chiede in una nota un segno di solidarietà per il partito che organizzò l’occupazione: o una presenza numerosa nel Tribunale sassarese oppure una telefonata (0784/415239, 0784/39188) o ancora una email indirizzata a Sardignanatzione@tiscalinet.it.

29/5/2000

SOLIDARIETA' CON BRUNO VACCA
Sardigna Natzione:  7 giugno 2000

Sardigna Natzione Solidarietà a Bruno Vacca «Ancora una volta si tende a colpire chi esula dagli schemi precostituiti di stampo coloniale, oltre i quali non è possibile sconfinare». Così Sardigna Natzione commenta il sequestro da parte della magistratura del libro “La civiltà nuragica e il mare” dello scrittore Bruno Vacca, e il rinvio a giudizio con l’accusa di diffamazione a mezzo stampa. «Si tratta di analisi e considerazioni liberamente espresse, che meritano rispetto e considerazione».

Sassari. 2/6/2000
Domani il processo a SN
«Ci difenderemo in sardo dalle accuse del Pm per il blitz di Fiumesanto»

Sassari «Sarà il primo processo politico in sardo». L’annuncio è degli indipendentisti di Sardigna Natzione, che domani mattina compariranno davanti al giudice per l’occupazione della termocentrale di Fiumesanto. «Abbiamo scelto - spiegano i militanti di SN - di avvalerci della nuova legge sul bilinguismo, e di difenderci parlando nella nostra lingua. Naturalmente non pretendiamo che lo faccia anche il magistrato, visto che probabilmente di sardo non conosce una parola, ma noi non rinunceremo a questo nostro diritto». Nell’ottobre del ’97 una squadra si barricò nella sala comandi dell’impianto Enel, per protestare contro il caro-energia imposto agli isolani. Dopo il blitz gli otto uomini del commando “Amsicora” ottennero un colloquio con il prefetto di Sassari, al quale esposero il problema della discriminazione tariffaria per i cittadini sardi. Domani risponderanno (in sardo) di resistenza a pubblico ufficiale.


Nuove voci Nuove voci di vendita a Capo Comino

Siniscola Sardigna Natzione chiede chiarimenti al sindaco Giuseppe Pipere sulla proposta di acquisto da parte di una società inglese dei terreni comunali di Capo Comino. «Corrono voci che la società proponente abbia chiesto al comune oltre al comparto F18 la cessione delle aree a valle e della strada inclusa per realizzare un campo da golf».
Sardigna Natzione inoltre chiede se risponde al vero che è stato chiesto il consenso e l’appoggio per l’ottenimento dalla Regione Sarda di tutto il sistema dunale di Capo Comino in concessione per 50 anni, e del porticciolo per l’utilizzo esclusivo per la ricca clientela». (v. s.)
23/8/2000

Teulada. 26/6/2000
Sardigna Natzione
Sfilano gli indipendentisti per dire no al muro del poligono
Teulada In marcia contro il muro sollevato dai militari intorno al Poligono. In marcia per dire basta alle servitù militari che fanno della Sardegna il territorio italiano a più alta concentrazione di divise e di esercitazioni. È questo il senso della protesta organizzata dagli indipendentisti di Sardigna Natzione e da gente comune che si è svolta sabato sera a Teulada. I manifestanti si sono dati appuntamento nelle piazze Mazzini e Fontana e da lì sono partiti alla volta del Poligono. Gli indipendentisti hanno diffuso una nota nella quale ricordano che la Sardegna è un’immensa caserma. Tutto ciò «in cambio di una contropartita economica irrisoria e stabilita unilateralmente». Sardigna Natzione ha deciso proprio a Teulada la protesta perché qui, nel Poligono militare, i militari da qualche mese stano elevando un muro di recinzione lungo otto chilometri attorno alla base. Nei giorni scorsi il muro è stato danneggiato da ignoti, segno dell’ancora difficile convivenza tra militari e allevatori. Forse sarà il disciplinare d’uso dei territori, in elaborazione da anni ma ancora da sottoscrivere, a regolamentare una volta per tutte l’accesso dei civili alla base per il pascolo. Fino a oggi, invece, i rapporti sono stati fin troppo tesi. Un argomento che il Comune di Teulada e la giunta regionale non possono più eludere.
26/6/2000   Morena Soru
 
Verso il congresso.
Parla il grande vecchio dei Quattro mori: il partito è in crisi d’identità, sabato sarò a Sassari
«Il Psd’az non andrà con Berlusconi»
Mario Melis: Serrenti può ritornare solo se rompe con il Polo 29/giugno 2000

Lorenzo Paolini
Presidente Melis, andrà sabato al congresso del Psd’Az.
«Ci mancherebbe. Sarei andato anche ai congressi di Ppi e Ds, se fossi stato bene. C’è fermento nella vita politica sarda e voglio vedere cosa c’è di vitale e cosa è invece puramente formale. Figuriamoci se sarò assente dal partito in cui milito dal 1944, , con Luigi Oggiano, Dino Giacobbe, Pietro Mastino».
Ruggisce, dalla sua casa di Nuoro, il “grande vecchio” del sardismo. Mario Melis, che fu presidente della Giunta quando l’onda lunghissima portava in Consiglio regionale dodici consiglieri, ha scelto di non optare per il riposo della coscienza. «Non ho mai avuto perplessità sugli ideali del sardismo. Piuttosto oggi il partito sta attraverso una crisi iniziata grosso modo nell’89, che ha visto in meno di dieci anni otto segretari nazionali essere eletti e poi messi in crisi».
Quand’è che il vento sardista diventa un refolo?
«Nella fase della mia presidenza, avevamo avuto undici consiglieri a voto pieno e il dodicesimo con un resto. Poi alla vigilia delle elezioni successive è stato arrestato a Sassari un dirigente, Nino Piretta, mentre a Oristano è morta Maria Teresa Sechi. Il calo dei voti è stato fisiologico. Poi è iniziato lo scontro terribile all’interno del partito. Eletto segretario Carlo Sanna, dura in carica pochi mesi. Viene eletto Pilleri e gli tocca la stessa sorte, poi Giorgio Ladu. Ci sono le elezioni politiche, calano i voti, fatto fuori anche Ladu. Diventa segretario istituzionale Italo Ortu ma anche lui salta in un attimo e così via. E questo senza l’ombra di un dibattito sui problemi, senza scontri sulle idee ma di persone».
Crisi risolvibile?

«La crisi del partito sardo per certi versi è meno grave di altre. Il Psd’az esiste, ha la sua bandiera. Altri si sono sciolti, hanno cambiato ideologia, la dittatura del proletariato non è più un argomento proponibile, oggi si parla di politica del mercato».
Il congresso di Sassari servirà anche per decidere dove stare.
«Nel senso di destra e sinistra?».
Più o meno.
«Mi sembra un falso problema, oggi gli schieramenti si dividono fra innovatori e conservatori. Noi dobbiamo mettere in discussione l’organizzazione dello Stato, la fonte del potere. Se si mette il potere ai vertici dello Stato, il popolo è emarginato. Mentre i sardisti sono da sempre convinti che il potere stia nella sovranità popolare, nella base. E poi i poteri di gestione devono passare dalla Regione agli enti locali: quandomai l’assessore all’Agricoltura è in grado di sapere se il tale agricoltore merita davvero i cinquanta milioni per il miglioramento fondiario? Mentre il consiglio comunale conosce tutte le persone del paese».
Ciò non toglie che le alleanze andranno fatte: centrosinistra o centrodestra?
«Non vedo possibile una nostra alleanza con forze che fanno capo a Berlusconi. Il Cavaliere è l’antitesi del regionalismo, è il potere individuale del capo. Un esempio: le scelte in genere nascono dal confronto, io stesso sono stato scelto per la presidenza in virtù di un’affermazione del Partito sardo. Senonché alle ultime elezioni è venuto da Arcore un ordine: il candidato è tizio. Dove si è mai visto che il presidente dei sardi venga scelto da Arcore? Lascio perdere il fatto che si trattasse di un giovane in gamba che io stesso ho sostenuto, da sindaco, con comizi».
Un dettaglio: il presidente della Giunta è Mario Floris, non Mauro Pili.
«Questo è un rospo che Forza Italia ha dovuto ingoiare per avere la maggioranza, ma non credo siano entusiasti».
Cosa le ha fatto Berlusconi ?
«Niente, anzi come imprenditore lo stimo. Quello che mi impressiona è che ritenga che le persone le debba scegliere lui stesso: è l’esatta antitesi del sardismo, come se rinnegassimo ottant’anni di storia. E poi non capisco dove voglia parare. Mica mi è sfuggito il tentativo di mettere insieme Bossi con Pannella, portatore di istanze antitetiche. Non gli interessa il colore del’armata, l’importante che sia sufficiente per battere gli avversari».
Però la Sardegna è sempre molto lontana dall’Europa.
«Io spero che il mio partito elabori una piattaforma con dieci punti chiave per lo sviluppo. Zona franca anzitutto: Singapore da quando ha la zona franca è diventata la potenza economia più rilevante del sud est asiatico, il polo economico da cui si irradia lo sviluppo. Oppure Amburgo, Rotterdam, Brema, Anversa. Questo vuol dire franchigie doganali, territoriali, fiscali. Questo ruolo lo stanno svolgendo Barcellona, Marsiglia. Adesso si è mossa anche la Calabria, con Gioia Tauro che ha anche la zona franca. E Cagliari, che sta facendo questo battaglia da trent’anni, è ancora in attesa. Richiamo ad onore la mia giunta e l’assessore Binaghi, il finanziamento del primo lotto del porto canale con 220 miliardi. Il vero problema della Sardegna è il governo del mare attraverso porti efficienti. E poi il fatto che sia dissanguata, per colpa di un sistema bancario sempre più esterno.
Parla di Banco e Cis?
«Non c’è dubbio. Com’è possibile che la Sardegna abbia consentito, in un silenzio quasi totale, che il 53 per cento delle azioni del Tesoro sia stato rilevato da Banca Intesa anziché dalla Regione sarda e da alcuni imprenditori? La verità è che la Sardegna si sta padanizzando».
A onor del vero, neanche lei da presidente riuscì a imprimere una svolta.
«Per colpa della nostra scarsa unità di sardi, altrimenti il governo nazionale avrebbe accettato. Il destino dei popoli è condizionato dalla geografia, non è un caso che la Svizzera si trovi a fare da centro di smistamento di capitali. Il trasporto non segue lo sviluppo, determina lo sviluppo. Se si organizzano i trasporti in vista di interessi altrui, non avremo sviluppo che premi il ruolo mediterraneo della Sardegna, equidistante fra i due continenti, non lontana dall’Asia anteriore. Da presidente della Giunta ho ricevuto giapponesi, brasiliani, americani, che volevano commerciare dalla Sardegna con il resto d’Europa».
Tornando al Psd’Az, sarà un sardismo dalle “mani libere“, com’è stato chiesto a Sassari?
«Certo, dobbiamo sardizzare la Sardegna. Il nostro compito è quello di diffondere il sardismo, non solo nel nostro partito e fra i simpatizzanti. Non vinceremo mai la battaglia della Sardegna se non coinvolgiamo settecentomila persone».
Qualcuno ha proposto alleanze solo con le forze proporzionaliste.
«È un grosso problema, abbiamo bisogno di essere rappresentati in tutte le sedi come sardi, non come una forza residuale della periferia italiana. Penso però che, in quanto etnia minoritaria nello stato italiano, abbiamo diritto di essere rappresentati da partiti regionali a prescindere dal tipo di elezioni. Altrimenti perché ci avrebbero riconosciuto uno statuto speciale? Proporzionalismo o maggioritario che sia il sistema elettorale».
Ma, con i Ds quasi sardisti, il Ppi pure, non si restringono per il Psd’Az gli spazi di manovra?
«La prova del nove la si fa subito, quando i loro deputati a Roma dovranno schierarsi magari contro il loro partito. Il problema non è di etichette, ma di mettere d’accordo questo complesso di partiti su un grumo centrale di problemi. Ha detto Bellieni: autonomia è sapienza, è arte, è religione».
La frattura con Serrenti si può ricomporre?
«Se rompe con Berlusconi, sì. Certo, certe sbandate sono pericolose e allarmanti. Ma tutto sommato è stato più coerente di Bonesu, si è spostato con chiarezza».
E con le forze nazionalitarie, come Sardigna natzione, si potrà dialogare?
«Ho sempre guardato a loro con interesse, non li ho mai snobbate. Penso però che certe forme esasperate di separatismo non abbiano significato, oggi nessuno è indipendente, anche gli Usa devono fare i conti col mercato del mondo. I sardisti che hanno fondato il Psd’az erano combattenti del ’15-’18, non erano separatisti, ma autonomisti ed europeisti. I sardisti dal 1922 parlano di Stati Uniti d’Europa».
Cosa si aspetta dal nuovo segretario sardista?
«Che non ci sia il solito piccolo maneggio per mettere al sicuro il potere. Governare il Psd’az significa governare il più glorioso partito della Sardegna. Fare il segretario non significa avere un pulpito per dare direttive ma assumersi un bellissimo impegno di servizio».

 
Il congresso Ds. 24/giugno/2000
Oggi i delegati eleggono il nuovo segretario regionale chiamato a guidare il rilancio
Veltroni incorona Antonello Cabras
Graziano Milia non si ritira, Scano rinuncia a tutti gli incarichi

Lorenzo Paolini
Due in corsa per un posto da segretario. La persona che guiderà il nuovo soggetto autonomo della sinistra sarda si chiamerà Antonello Cabras o Graziano Milia. L’uno ex socialista, ex presidente della Giunta regionale, oggi senatore. L’altro sindaco di Quartu. Quando Renato Cugini, presidente del congresso regionale di fondazione del nuovo soggetto della sinistra sarda (che si è aperto ieri mattina a Quartu all’hotel Setar), ha detto stop alla presentazione delle candidature, si è trovato fra le mani questi due nomi. Tutto come ampiamente previsto, senza outsider dell’ultim’ora. Il candidato di garanzia, quel Tore Cherchi che avrebbe potuto prendere le redini del partito a tempo, era la terza ipotesi rimasta al palo. Lungo strada però qualcosa è cambiato. Mentre si ingrossava la truppa di Cabras, sostenuto in origine da Federazione Democratica e dalla segreteria uscente, si snelliva la compagnia che sosteneva Milia. È finita che l’elenco dei gruppi organizzati della galassia del partito sta oggi tutto dalla parte di Cabras mentre Milia può contare sull’appoggio di Piersandro Scano. Resta l’incognita della sinistra di Pubusa e Imbimbo, che sembra orientata per un’astensione. La votazione, che si è aperta ieri sera e si concluderà stamane, ha quindi un esito in larga parte scontato a favore di Cabras. Beneplacito della segreteria nazionale compreso. «Ho letto il programma di Cabras - ha detto con nonchalance Veltroni - e mi sembra che vada nella direzione di un nuovo partito della sinistra federalista. È un ex socialista? Macché, nel nuovo partito siamo tutti uguali e con pari dignità».
Il congresso. Spetta a Carlo Salis, della segreteria uscente, il ruolo di apripista. Emanuele Sanna, segretario uscente, ha fatto una scelta di silenzio assoluto dal momento in cui ha rassegnato le dimissioni. Appartato, schivo, sceglie la terza fila per ascoltare gli interventi del pomeriggio. E allora tocca a Salis ripercorrere le fasi della sconfitta elettrale, dare una valutazione della Giunta Palomba. «Il fatto che i risultati del governo regionale non siano stati apprezzati non significa che non siano stati raggiunti risultati importanti ma che sono stati insufficienti rispetto alle attese di cambiamento e sono stati sovrastati dalle ripetute crisi». E la coalizione autonomista? Regge, ci mancherebbe: «Anzi, ci impegneremo perché abbia i tratti di un soggetto politico unitario capace di esprimere al livello più alto valori e idee comuni delle forze del centrosinistra e sardiste». I leader degli altri partiti del centrosinistra sono presenti in forze. C’è Gianvalerio Sanna (Ppi) che è atteso dalla sua platea congressuale. Totore Piras per i socialisti, Sandro Valentini per Rifondazione (che apre a un rinascita della Coalizione, «un’esperienza unitaria unica in Italia»), Enrico Lecis Cocco-Ortu per i liberali, Antonio Delitala (Psd’Az), Carlo Dore (Democratici) e Bustianu Cumpostu per
Sardigna natzione (unico intervento in limba, presentato da Cugini con “aba’ Cumpostu”).
I candidati. Sostenitori di Milia cercansi. Quelli che c’erano, «che mi hanno spinto a candidarmi», e che oggi sono dissolti come neve al sole. Il sindaco di Quartu ci sorride, anzi gira l’argomento a suoi favore. «Capisco i giudizi che circolavano su di me, chi si crede di essere, chi l’ha mandato. Adesso è chiaro a tutti che non era organizzato nulla, anzi ho avuto difficoltà a reperire le firme per la candidatura. Se non fosse stato per alcuni amici della sinistra, che mi hanno dato una firma tecnica forse non ce l’avrei fatta».
Eppure fino a qualche giorno fa l’elenco di sponsor era decisamente più lungo. Con un punto di forza, Giorgio Macciotta, e il gruppo dei riformisti (da Barranu a Caddeo) orientato a sostenerlo. Poi qualcosa è cambiato, se è vero che il faccia a faccia fra Milia e Macciotta ieri ha avuto come colonna sonora un eloquente silenzio. «Sapevo che le posizioni stavano cambiando - ha detto Milia ad amici - mi spiace però che non mi abbia fatto neanche una telefonata». Imponente, abito scuro con cravatta argento e fiocchetto per la lotta all’Aids appuntato, Milia cita sul palco il figlio: «Antine, che ha sei anni, mi ha detto guarda che se non vinci non succede niente». C’è una punta di veleno quando dice: «È comunque un fatto positivo che il partito sia guidato da uno che proviene d altre esperienze». Poi la distensione: «Non so chi prenderà il maggior numero di voti - dice rivolto a Cabras - ma ho il sospetto che sarai tu. Sappi che, se farai battaglie di modernità e innovazione, mi troverai al tuo fianco». Finisce con il ricordo di Giovanni Ruggeri e la promessa formale che resterà comunque all’interno del partito. Con un passaggio di polemica rivolto a chi gli mette in conto l’amicizia con l’imprenditore e conigliere regionale Nicola Grauso: «Me l’hanno presentato, gli davo del lei. Del resto sono abituato alle calunnie, mi accusarono anche di aver prestato i vigili urbani a Luigi Lombardini che neanche conoscevo». Tutt’altro tenore, ben altra temperatura, dalle parti di Antonello Cabras. L’ex presidente della Giunta non è uno che si scompone, che sbatte le mani sul leggio. «È già un grande risultato politico essere qui», annota, mentre ricorda la genesi di quella federazione che nel ’94 prese le mosse dalla dissoluzione del partito socialista. Anticraxiano della prim’ora , è un entusiasta difensore di quel partito che è uscito dal congresso di Torino. «Al Lingotto si è segnata una pagina nuova e diversa, basta con le discussioni sul passato su quello che è stato». Anche lui, come Veltroni, coglie qualche discrepanza nella politica: «Ho qualche dubbio sul fatto che la Sardegna sia davvero come la dipingiamo, forse è migliore e noi veicoliamo un messaggio che non è reale». I dati sull’economia non sono così tragici, la new economy nell’Isola fa passi da gigante, «la gente è informata e naviga in rete». Un discorso politico di chi sa già che da oggi dovrà guidare il partito, con una visione di lunga distanza: «Questa Giunta regionale in carica dev’essere abbattuta con tutti i mezzi. Ma, davanti a un governo nato attraverso vicende che sono anche finite sui giornali, noi saremmo disponibili a fare un governo purchessìa?». E giù battimani, per dire ovviamente no. Neanche Cabras sbatte la porta in faccia a Milia. Anzi ricorda il caso della sinistra che pur presentando una mozione alternativa a quella di Veltroni non mise in campo un candidato antagonista.
Il movimento di Scano. L’applauso più fiacco per l’intervento più ascoltato. C’è un raro silenzio quando Piersandro Scano interviene. L’avevano anticipato i suoi amici, lui conferma: nasce il Movimento politico per il centrosinistra sardo. «Non è una risposta alla segreteria Cabras e smentisco le voci di una mia ostilità. Penso però che manchi la svolta tanto attesa e questa sia solo una modesta continuazione. Il movimento punterà ad aggregare iscritti e non iscritti, dei Diesse e di altri partiti, per rifondare un’alleanza «al cui smantellamento abbiamo contribuito non poco». Per questo Scano si chiama fuori. Non dal partito, come si diceva fino a qualche giorno fa, ma dagli organismi dirigenti: «Ne ho fatto parte dal ’79, sono stato segretario regionale, ho frequentato Botteghe oscure per dieci anni dove ho incontrato anche la compagna della mia vita. Adesso voglio dedicarmi all’attività di base».

 
Sardigna natzione accusa
Furtei 23 maggio 2000

«No ai nuovi colonizzatori della Sardegna». Umberto Perini, coordinatore provinciale di Sardigna Nazione, dopo il sit-in di sabato alza il tono della polemica con gli australiani della SMG ed avverte: «I referti dell’Università di Cagliari in merito alla pericolosità del cianuro per l’ambiente non ci convincono, presto torneremo sul posto con un gruppo di nostri esperti geologi». Ma i leader nazionalisti ammoniscono gli australiani: «Terminati gli scavi nella miniera di Furtei se ne devono andare. Sarebbe assurdo che dopo gli scempi ambientali di Furtei, sia data loro da parte della Regione la possibilità di effettuare altri sondaggi nel Campidano». E conclude con una minaccia: «Dopo il no dei sindaci del territorio a nuove esplorazioni, se le volontà delle popolazioni venissero disattese il nostro movimento userebbe tutti i mezzi politici per impedire il saccheggio della nostra terra». P. P. F.

 

Furtei. 21 maggio 2000
Miniere d’oro, una ricerca dell’Università
«Nelle acque niente cianuro»

Furtei  Manifestazione di protesta di Sardigna Natzione ieri a Furtei. Che si è svolta dapprima con un sit-in nella strada principale, quindi con un incontro tra Bustiano Cumpostu, coordinatore nazionale del partito e l’amministratore delegato della Sardiania Gold Mining Garry Johnston. Con un chiarimento, firmato Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Cagliari: «Per il controllo del contenuto in cianuri delle acque - scrive in una nota la dottoressa Rosa Cidu - i campioni vengono prelevati una volta alla settimana». E i risultati dello studio mostrano che «le acque del Rio S’Alluminu, l’acqua dell’invaso di Santu Miali e quella del Flumini Mannu non risultano contaminate da cianuro e che la composizione chimica delle acque nel periodo dell’attività mineraria non è cambiata rispetto al periodo 1991-94». È la risposta degli australiani alle domande di Sardigna Nazione che hanno parlato di «presunte morti di volpi, ricci di terra e gabbiani nelle acque del laghetto dove vengono convogliati i reflui della miniera». Durissima è stata la posizione di Giampiero Marras: «Avete colonizzato i nostri territori, sventrato le colline, abbattuto dai 6 ai 7 mila ginepri». Johnston ha risposto che «il ripristino ambientale è già in atto (con 15 mila piantine in 6 ettari di terreno) e la collina riacquisterà il suo antico splendore». Intanto, dopo le polemiche di questi ultimi tempi, la Sardinia Gold Mining ha preannunciato che, per i primi di giugno si terrà l’Open Day, al quale interverranno esperti per rispondere a tutti i quesiti dei cittadini in merito agli aspetti scientifici ed ambientali dei progetti minerari. Pierpaolo Fadda