LAUNEDDAS: CANDIDA PALINODIA DI UNA SCOPERTA

di   ALBERTO AREDDU


Diverso tempo orsono mi preparavo per un esame che m'avrebbe arruolato alla fin fine professore di italiano per la scuola pubblica italiana, ma come annesso e connesso, mi dovevo preparare per circa tre mesi per un esame di latino, e nelle pause tra un caffè e l'altro (si trattava di preparare tutto Virgilio e mezza letteratura latina), mi ero preso un libro da una  biblioteca indigena così per diverticularmi un po' da quanto stavo facendo. Quando giunsi alla pagina tot del saggio di un grande filologo della storia romana, mi trovai con una nota in cui si riferiva che secondo uno scoliaste alessandrino, tale Aristonico, presso gli Etruschi il flauto veniva così chiamato:  

        

che per i miei pochi lettori che ignorano il greco, do in forma latina e in traduzione:

esti de lian oxuphonos: kaleitai de 'ligùn'. Tautes eisin euretai Tursenoi, u tes par' Ellesin

'è di suono assai acuto: si chiama 'ligùn'. Di questo sono inventori gli Etruschi, non di quello in uso presso in Greci'

Ma come: questa parola ricorda terribilmente le liun-eddas (così era chiamato nell'Ottocento il tipico e languoroso flauto di canna della Sardegna) e che oggi son chiamate launeddas !!!

Non dico se gioia ci fosse in me, perché gioia non poteva esserci: io ero rimasto agli scritti di un emerito studioso che sopra le Launeddas c'aveva scritto ben 4 (forse 5) articoli in miscellanee importanti, sostenendo che si trattava del latino LIGULA 'linguetta'. Il suo etimo così ripetutamente sbandierato, in seri convegni cattedratici,  non poteva esser messo in discussione. E poi la mia doveva esser solo una solenne ubriacatura da caffè. Dovevo preparare un esame e non potevo stare certo a pensare che lo studioso si potesse esser sbagliato, lui un emerito e illustre figlio della buona borghesia, lui una delle teste più lucide che la Sardegna abbia mai avuto, che ora rivestiva financo la carica di Preside della Facoltà di Lettere di Cagliari! Perbacco. Ma quel libro non lo consegnai in biblioteca: ogni mattina che mi alzavo mi rodeva il dubbio, e tra la litania di un tityre tu patulè e cazzate varie, me lo riprendevo in mano e mugugnavo: "Se riesco a ricavare un articolo da 'sta roba, altro che professore di teneri virgulti, qui di scatto mi fanno professore universitario".

Sarà stato questo, la mia maledetta voglia più di scrivere che di leggere bene, che mi portò a non passare qualche mese dopo quell'esame di latino (ma a giudicarmi c'era una delle studiose più importanti di cui l'Italia abbia mai menato vanto, quella Laconi che vien considerata la Montalcini, la Curie dell'Università di Cagliari, e che tutto il mondo delle Lettere ci invidia). Intanto mandavo l'articolo, che avevo preparato, a una rivista; dissero che non leggevano i caratteri, me lo fecero riscrivere due volte, lo riscrissi, mi dissero che sarebbe uscito di lì a poco, ma uscirono due numeri e di mio non c'era ancora nulla, poi la rivista stessa sparì: morte improvvisa. Eh queste rivistine improvvisate che non sanno come ricevere fondi. Mi dissi: proviamo con un editore; ne contattai diversi, proponevo 'sto articolo e altri vari, che avevo messo da parte per l'inverno, intitolando il tutto Launeddas e altri studi greco-italici. Uno mi rispose, glielo mandai. Di lì a poco mi telefonò il capoccia che difronte ai nomi miei di Lettori-giudicanti, rispondeva che non andavano bene: ci vuole Lui! "E bene" dissi, "vorrà dire che se ho fatto una cosa a puntino, sarò pubblicato, perché LUI è oggettivo e raramente sbaglia". No, il libro non andava bene, e sia chiaro, togliamo ogni infamante equivoco, non perché il lettore designato fosse proprio LUI, l'emerito Preside della Facoltà di Lettere di Cagliari e ottimo figlio della buona borghesia locale, che ci aveva scritto sopra 4/5 articoli su miscellanee, no non era questo, maligno lettore: non andava perché era evidente che mi sbagliavo (e quando uno si sbaglia è giusto e doveroso apporre il silenzio), e ancora adesso mi convinco che mi son sbagliato. E anzi mi son sbagliato due volte: perché il libro finii per pubblicarmelo a mie spese, stoltamente, quando avrei fatto meglio a bruciarlo. Pensate che su una avveniristica rivista che si pubblica ad Oliena, voleva recensirmelo lo zio di un mio alunno (potete chiedere al Dottor Puddu), ma quell'immarcescibile pezzo di hidalgo de Catalunya che lì scrive, col ricciolo rapido e automatico, osservò ponderatamente e senza nessuna acrimonia, che non andava bene: e bene fece a osservare, perché la mia figura di modesto pensatore ne sarebbe stata ulteriormente e irrimediabilmente compromessa

Così dico a voi, lettori: prima di farvi venire in testa un'idea malsana controllate bene dove questa idea vuole andare a parare, se no ci rimettete solo di tasca vostra e coi tempi che corrono...

(fine parte I)

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