BISTICCIANO TRA LORO PER NON PARLARE DELLE COSE PERICOLOSE

 

di Alberto Areddu

 

 

C'è una strategia che ho appreso frequentando l'ambiente scolastico, e sopratutto quello femminile, ahimè la più parte. Più gridi più acquisisci importanza e rispetto. Non vi dico la marea di colleghe che nulla facendo nelle loro ore di scuola, provviste come erano e sono di cicca e del solo sguardo torvo per incutere paura ai (ram)polli, al momento dei Collegi (il vero strazio della vita dell'insegnante "normale") scaldano la cistifellea per scatenarsi in ridde tra loro e la Dirigenza. Un po' di adrenalina non fa mai male, ma quando questa è ripetuta, quando ti prende un paio delle ore che avresti trascorso sul tuo letto a ripassarti un po' di albanese o col tuo cane, sentirti nelle orecchie quelle grida colle consonanti raddoppiate in rude sarda orgogliosa maniera, quando sai che la seduta sarà aggiornata, e te le dovrai riascoltare  a saldo di lì a poco, ecco pensi a quanta gente ha devoluto gran parte della sua vita per trovare modo d'incazzarsi nei pubblici incontri, e a cosa sia giunta la scuola italiana oggi: uno sfogatoio di persone, e spesso per poco più di 1000 euro mensili. E connesso a tutto ciò altezzosità, assoluta mancanza di autoironia, incapacità di guardarsi allo specchio, eretismo palabratico. Riflettendo su ciò,  non è che il mondo dell' Accademia sia molto distante da queste risse da massaie con laurea.  Sul sempreverdolino sito di Massimo Pittau piovono strali in questi dì afosi, contro il più giovane collega Eduardo Blasco i Ferrer, che agevolandosi di una rivista quasi privata dépendance del vegliardo nuorese, avrebbe sbandierato una insensata risoluzione del mistero del Paleosardo. Come già dicemmo Blasco crede di aver trovato un lume nel basco al Paleosardo, mentre son decenni che Pittau sostiene (imperterritamente, non sostenuto da nessuno, tranne le poche riviste fiorentine e sarde che lo ospitano) che il Paleosardo sarebbe, anzi è una lingua imparentata (se non madre) dell'Etrusco. Il Pittau, nell'intemerata non risparmia nulla al giovane: "E pensare che sono stato io ad aiutarlo ad entrare nel mondo universitario 35 anni fa ed anche in seguito…. E già allora era solito parlare male di me alle mie spalle". Verrebbe da dirgli, bel fesso che sei stato allora ad allevartelo, sopratutto se inviti poi a riguardarci quel lontano giudizio delle Commissioni giudicatrici su Blasco, che relazionavano (terribil cosa nel mondo delle auree cose di Sardegna)  che Blasco non sapeva di latino. Allora non solo fesso, ma anche profanatore della scienza, ché aiutavi un inesperto. E chissà poi se magari Blasco il latino l'avrà iniziato a masticare. Ma al vegliardo nuorese, a cui non va che si sparli a spalle,  non va neppure che si usino metodi erronei. Faccio presente che Pittau è un maestro di metodica, in cinquant'anni e più non ha mai usato la Historische Lautlehre del Wagner (cercatela col lumicino nei suoi scritti e poi mi dite), e già questo induce VERAMENTE al massimo della fiducia, qualora gliela si voglia dare al Massimo. Poi dice che lui non ha mai fatto accostamenti ai toponimi "opachi", limitandosi a guardarli. Falso. Mi basta fare due esempi: Dualche, toponimo opaco che Pittau spiega con gualchiera toscano; Orolai, toponimo opaco, che Pittau spiegò con latino Orulare, e così di gran carriera. Pittau s'adonta perché lo reputano una macchietta filoetruschista? Ma basta leggersi gran parte dei Suoi scritti in cui quasi tutto è legato all'idea che ogni buio possa ritrovare luce grazie a quel balsamo gerovital che è il sacro libro sull'onomastica latina dello Schulze, manuale che gran parte della critica considera, da gran pezza, superatissimo perché manicheo nello spiegare la onomastica latino-italica nella sola chiave etrusca. Ma da latino e greco, passando per la via Cassia, il Pittau non ha mai staccato le penne. Certo Blasco, se è vero quel che dice il lontano mentore nuorese, avrebbe dovuto esser più cauto, o se non altro usare con intelligenza l'arma della demolizione delle altrui opinioni, prima di innalzare il vessillo dell'Ibericità ritrovata, cosa che in realtà non poteva fare giacché, seguendo l'abbrivio del suo maestro spirituale, quel Heinz Jurgen Wolf che, frequentando i più raffinati tzilleri dell'interno, per raccogliere forme antiquate, ma mai andando motu proprio sui luoghi di cui avrebbe parlato, si è formato l'idea che il Paleosardo sia inspiegabile con l'indoeuropeo e conseguentemente ha iniziato a spezzettare le parole in maniera cinica e inverosimile, Blasco ha proseguito in questo tragitto, fino ad arrivare alla sua autorefenziale soluzione Paleobasca, che Pittau non poteva non cassare. Insomma gli Accademici si parlano addosso, se non usi un po' di riguardo se ne hanno a male, come le massaie laureate si incazzano, anche se per più laute prebende; e iniziano a cercarsi i morti e le raccomandazioni di cent'anni. E in tutto questo balletto tra di loro, rimane che son tre anni e nessun bisticciatore indigeno si è preso la briga di dire in che cosa qualcuno ha sbagliato a tirare in causa gli Albanesi.  E nel silenzio io, l'irresponsabile di tale efferato delitto, il profanatore della maestà Sarda etrusco-basca, mi sento sotto accusa, e come quel mafioso che portato a giudizio, si rivolgeva al Giudice d'Assise, implorando: "Signor Giudice, mi dica in che cosa ho mafiato ?", non ottengo veruna risposta.