ARCHIVIO ILLIRICO

 ILLIRIA: LA SARDEGNA COME NON L'AVETE MAI LETTA

 

 

Una superciofeca nel Paleosardo targato Eduardo Blasco Ferrer

 

 

 

di Alberto Areddu

 

 

 

Come prevedevamo, e già che saetta previsa vien più lenta, il tanto preannunciato (in due articoli, uno su Quaderni Bolotanesi e l'altro sulla ZRPh) saggio che avrebbe dovuto reindirizzare la futura ricerca sulle origini del paleosardo, si è rivelato un'autentica superciofeca. Il saggio di cui stiamo parlando è intitolato: Paleosardo. Le origini linguistiche della Sardegna neolitica, Ed. De Gruyter, per la gloriosa serie delle BZRPh, al modico prezzo di E. 89.

 

I motivi che sostanziano la cattiva qualità dell'elaborato sono tanti. Innanzitutto, la riproposizione della chiave basca, già da diversi anni sondata e rivelatasi inconsistente (richiamo qui i lavori dello studioso basco della Sapienza Julian Santano Moreno), secondariamente il modus stesso in cui viene decantata tale miracolosa scoperta. Tutti i predecessori del Blasco Ferrer appaiono come dei poco capaci, superficiali, ampiamente stroncati dalla critica e così via. Lasciamo parlare uno che aveva previsto tutto, il Pittau (Massimo Pittau - Paleosardo: fine di un rebus) :

 

"Nell’articolo in questione [su Quaderni Bolotanesi] il Blasco ha anche scritto che «la Comunità scientifica ha già stroncato in più sedi internazionali le note ipotesi sulla parentela del Paleosardo con l’Etrusco (Massimo Pittau) e quella più recente che considera la lingua encorica dell’Isola un sistema “italide” vicino al Latino (Mario Alinei)»; ed anche questa volta, con disonestà scientifica e pure umana, il Blasco non ha citato nessun autore e nessuno scritto."

 

Verrebbe da osservare che la lamentela del Pittau di esser stato perfidamente maltrattato o ignorato, ripiove su colui il quale intende (o forse intendeva) praticare per sua confessione lo stesso trattamento per altre tesi. Chi invoca dunque l'onestà di giudizio dagli altri, la dovrebbe pretendere prima di tutto a sé stesso. Ma lasciamo, per questa volta, perdere e seguiamo ancora, quel che dice il Pittau:

 

"Senonché – comincio io con l’osservare – siccome di nessuno di questi numerosi linguisti egli cita mai una frase, una sola frase di approvazione, viene spontaneo il dubbio che in realtà egli non faccia altro che “millantare credito” o – detto con altre parole – egli proceda come il corvo della favola che si faceva bello con le penne del pavone"

 

Uno studioso tanto più è alto quanto più sa apprezzare le altrui cose, anche quando sa che non gli vanno bene, questo prototipo di intellettuale non pare incarnato dal Nostro, cattedratico presso la Facoltà di Scienze dell' Educazione (sic!) di Cagliari, che ovviamente non potendo non citare suoi consimili Alinei e Pittau, Wolf e Paulis, nel suo luminoso saggio si è ben guardato da non citarli, ora usando il bastone (più spesso), ora la carota. Guardate invece cosa scrive in una nota di pag: 53:

 

 

 

 

 

 

Sapendo benissimo che alle orecchie di chi ascolta solo uno che ha più voce può essere inteso, e che in base alla ripetizione di ciò che dice tanto più sarà preso in considerazione, il Nostro, ben a giorno di quali siano i sottili meccanismi che regolano la diffusione della conoscenza negli ambiti universitari, ha bellamente finto di NON parlare delle cose che mettevano in crisi tutte le sue elaborazioni, alquanto minuscole per quantità e qualità. Ora uno studioso che così fa, altro non fa che applicare dei sani principi nazisti, che sono quelli per cui se una cosa è pericolosa è assolutamente meglio non parlarne, e anzi eliderla. Pertanto non solo contraffà le carte, millantando, come avvertiva Pittau, cose non vere, a favore di sé, e mentendo riguardo alla esistenza di una critica delle altrui soluzioni sul paleosardo (che ahimè non c'è mai stata), ma stermina come un arrogante bagattella, quanto un "operatore di mercato" (con altri) ha affermato, senza neanche nominarlo, perché tale essere inferiore non è degno neanche di portare un nome. Cribbio c'è uno chi ne ha due di cognomi (è sicuro che quello del padre sia autentico?), e questo invece non ne ha neanche uno! E' solo un "operatore di mercato", frase che ricorda molto la "demoplutocrazia giudaico-massonica", che evocavano Goebbels e accoliti come il vero male, per sterminare i contadini yiddish, indottrinando la Hitler-Jugend che erano quegli stessi che dominavano i mercati mondiali, e minavano la purezza... Iberiana. Già perché di Iberici il Nostro ci parla, delle relazioni genetiche, archeologiche, di cui i Nostri antenati, con loro, sarebbero stati partecipi. E come è che lo fa ? E qui siamo alla terza parte, quella cruciale, che ci rivela quanto marcio sia il pesce dalla testa. Lo fa prendendo toponimi oscuri (non più di una ventina) e collazionandoli a chiare parole del basco (il quale essendo, come si dice da secoli, una lingua isolata, non si ribellerà a tali accostamenti).

 

Mi voglio soffermare su alcuni casi. Secondo Blasco nel fantomatico toponimo "Funtana Gorru" (de Mola) di Ulassai, si troverebbe l'aggettivo basco gorri "rosso", visto che talora le fontane, per ragioni chimiche, possiedono, dei composti rameosi che le fanno apparire così, e c'è una certa casistica di toponimi del tipo "fontana rossa". Ora appare ben strano che una parola latina (fons, fontana) si possa legare direttamente a un aggettivo prelatino (non è il classico toponimo tautologico, tipo Mongibello, che è mezzo latino: Mon(s) e mezzo arabo Gibel 'monte), qui siamo in una macedonia assoluta. Oltre a ciò, osservo:

 

Tale Funtana Gorru di Ulassai (che riporta Paulis nel 1987 e lo emenda, perché inesistente in loco, e infatti non si trova affatto cercando tale forma on line), e Blasco riprende pro domo sua, pare in effetti inesistente; oppure se risulta unito a "de mola",  verrebbe da pensare semmai a un originario: "funtana (a su) corru de (sa) mola" 'fontana all'angolo della macina', che per le note semplificazioni, che stanno dietro alla raccolta e inquadramento dei toponimi agrari, è stato ridotto a: Funtana Gorru de Mola. A Buddusò c'è: Funtana corru chelvinu, in cui palesemente non c'è nulla di rosso, bensì la rastremazione di: Funtana (de su) corru chelvinu 'fontana del corno di cervo'.

 

Eppure una base simile appare spesso a indicare fonti e sorgenti, ve le elenco:

 

Gurrai, località a 100 mt dalla fontana di Gaghisi (Sarule) (informazione di Michele Sirca)

 

Burri (nei condaghe: Gurri) sorgente di Bonorva (cfr. P. Merci, Condaghe di San Nicola di Trullas, Nuoro 2001, pp. 170-171: Campo Javesu et (de) Gurri (on line: http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_26_20060401174021.pdf) (altri dati nel mio saggio)

 

Gorrispai/Gurrispai 'sorgente di Nuoro' (Pittau, L'origine di Nùoro)

 

 

 

 Cosa osservare pertanto in costruttivo?

 

1) La base è gurr- (e dunque non gorr-, lo vediamo da Gùrri di Bonorva, dove l'accento cade sulla vocale tonica, che non è modificabile in sardo, diversamente dalle atone)

 

2) I luoghi in questione non indicano luoghi rossi, né la locale acqua è rameosa

 

3) Persino la supposta chiave basca GORRI 'rosso, vivo' è sotto indagine, nel senso che si pensa che sia una parola attinta dal paleoeuropeo, cfr. infatti slavo gori 'fuoco' gorn 'forno' goreti 'bruciare' (che ha etimo indoeuropeo)

 

Quale soluzione ha proposto invece l'operatore di mercato? Ve lo dico dopo.

 

Passiamo oltre. Il grande scopritore dell'Iberia  individua un elemento -mele (o -nele) esempio in Macu-mele, Mara-mele, che sarebbe il basco mele/bele 'nero'; ora non poteva scegliere di peggio, ignorante com'è di indoeuropeistica il Nostro tralascia di dire che la base mel-, melə- 'nero', è praticamente certo che è indoeuropea, vedi greco melas, antico indiano malina, baltico melna ecc.; e la stessa cosa vale per Ilune, che sarebbe il basco illun 'oscurità' (senonché ilu- è attestato come 'nero, sporco' anche in molte lingue indoeuropee, dal greco alle lingue slave).

E anche per basco haritz 'quercia' = toponimo sardo di Aritzo (al quale Pittau e io tuttavia abbiamo contrapposto differenti alternative), qualora fosse giusto il collegamento del Blasco, osservo che il nesso sk- in diverse parole albanesi ha prodotto il suono aspirato h- (ci sono casi financo nel sardo), e dalla radice indeuropea *(s)ker- 'tagliare', l'albanese ha prodotto harr 'potare, recidere', onde per cui l'isolato e opaco semanticamente, basco haritz potrebbe essere un qualche antico indoeuropeismo (: *skar-istos, o *skar-ikios), ben motivato formalmente e semanticamente (: "il corteccioso, il tagliabile") (cfr. slavo: kora 'corteccia', korice 'buccia, crosta', koreti 'diventare duro').

 

Insomma quel che Blasco voleva utilizzare a favore della sua ipotesi, gli si rivolta contro.

 

E che dire della località "Riu bide" che viene contrabbandata come il basco bide 'cammino, strada', quando la latinità ci propone il "rivo Vite", presso l'Esino? (http://it.wikisource.org/wiki/Istorie_dello_Stato_di_Urbino/Libro_Primo/Capitolo_Quarto)

 

Dunque che cosa, dicevo, ha proposto l'operatore di mercato per le forme in gurr-? Egli ha suggerito l'albanese: gurrë 'fonte'.

 

Pensate che possa andare bene, o visto che egli è figlio di una domestica e di un operaio (e pertanto fa l'operatore di mercato), e l'altro invece appartiene alla crassa borghesia barcellonese, vi convince di più costui?

 

Fatemi sapere, così mi compro un paio di bond.