Quell' Ecomostro della TC (ovvero quando Roma non contava quasi niente)

 

di Alberto Areddu

 

 

 

 

Voi immagino sappiate cosa è la Teoria della Continuità; immagino dunque di parlare a qualcuno che si sia già fatto un'idea di essa, che sulla Rivista Quaderni di Semantica e in un paio di ponderosi volumi, lo studioso fiorentino Mario Alinei, ha inalberato da circa una quindicina d'anni. Breve tuttavia riepilogo: di teorie sulla nascita dell'indoeuropeo se ne sono fatte molte, altre se ne faranno, cosa ha di dirompentemente fastidioso questa qui, che fa storcere il naso alla gran parte degli studiosi? Secondo Alinei, sarebbe esistita in un'epoca remota, una sorta di "Italide" una lingua-madre precorrente il latino e le lingue italiche, che andava dall'Ebro alle foci del Danubio.

 

"Oltre all'innalzamento della cronologia, su cui non ho bisogno di tornare, la principale novità nei riguardi dell'etnogenesi italide - che la TC condivide con la teoria di Renfrew - è che il gruppo che ho chiamato italide non può più essere limitato alla sola Italia, ma dev'essere esteso a tutto il bacino nord-mediterraneo, dalle sponde atlantiche della penisola iberica a quelle dell'Adriatico orientale."

 

col che spariscono nella loro essenza linguistica tutti: Traci, Illiri, Pelasgi, e gli stessi Greci vengono ridotti a una preistorica enclave semitica (leggetevi lo studio su "pizza"). E gli odierni dialetti italiani non sono (o lo sono molto parzialmente) tributari della latinizzazione, ma GIA' erano così quando Roma vi giunse

 

"Rispetto alla visione tradizionale, dunque, l'unità dell'area detta “romanza” non solo non potrebbe essere il risultato esclusivo della romanizzazione dell'area, ma non lo sarebbe neanche della precedente latinizzazione, in quanto deriverebbe dalla fondamentale unità etnolinguistica di un gruppo differenziato del phylum IE, comprensivo del Latino e dell' Italico (di qui in poi sempre in senso stretto), che si era insediato nell'area fin dall'Epigravettiano, se non da prima (le lingue neolatine o romanze non derivano più dal latino di Roma, ma sono ad esso parallele)."

 

Ma l'Alinei è anche furbo, e ora dice questo, domani dice altro: recentemente è intervenuto su un blog che tratta di archeologia per replicare a delle accuse del Pittau, che almeno in questo si dimostra un sano conservatore:

 

"Pittau mi rimprovera aspramente (e, di nuovo, troppo frettolosamente) per avere scritto «i Barbaricini (cioè i Sardi mai romanizzati)» (p. 650), ritenendo che con questo io volessi negare la latinità della Barbagia. Ma non ho mai pensato, né tanto meno scritto, una cosa simile!"

 

"Pittau mi rimprovera un'altra cosa che non ho mai né pensato né scritto, e cioè di negare l'esistenza della romanizzazione."

 

Queste cose qualche tempo fa il rubizzo studioso fiorentino, scriveva invece a me (che non son barone):

 

"Se la sua teoria illirica implica, o accetta tacitamente, la tradizionale "romanizzazione" della Sardegna, non c'è allora bisogno che me lo [il mio saggio] mandi perché non mi interesserebbe né leggerlo, né recensirlo. Se invece secondo lei la latinizzazione avviene in epoca pre-romana, allora il nostro accordo resta valido. Come avrà capito, per me Roma non conta (quasi) niente... "

 

Come avrà capito, per me Roma non conta (quasi) niente... Da appendere ai muri, verrebbe da dire, od incorniciare e noi gliela incorniciamo :

                                                                                                                                         

 

 

Come avrà capito, per me Roma

 

non conta (quasi) niente...

 

 

 

 

 

Hai capito, con me (avrei dovuto abbassare le brache per una supposta di Italidon) usa queste misure, ma pubblicamente prende un'altra posizione, e si mostra garbato buon borghese, rispettoso della tradizionale linguistica romanza, e non un suo eversore. Ma fingiamo di prendere atto che ha (o mostrerebbe di avere) cambiato idea. Le nuove affermazioni sono a doppia lama e pericolose, perché sottopongono le stesse ad un'ulteriore domanda di rincalzo: "dunque se riconosciamo che c'è stata la latinizzazione extra-strong della Sardegna, e se come continua a sostenere Alinei, esiste purtuttavia un sostrato paleosardo-italide, come identificarlo e sopratutto come quantificarlo?", visto che egli non ha ricreato la Urgrammatik di questo aleatorio (se non fantomatico) Italide, su cui poterci incamminare. Ne consegue: se gli exempla da lui portati di eventuale preitalicizzazione neolitica, sono facilmente frantumabili alla critica (il nuraghe che andrebbe con la nura latina 'nuora': "casa della nuora", esige come pegno iniziale quantomeno un *nusa, *nusax), su che cosa d'altro di significativo (quel "quasi" rovesciato in "qualcosa") si reggerebbe la sua ipotesi della TC per le nostre cose? Solo sul fatto che altrove la sua teoria ipoteticamente reggerebbe?  Delle due dunque l'una: o non esistono sufficienti elementi per poter elaborare una tesi valida (potrebbe avere anche ragione lui nella ricostruzione archeologica, ma di fatto trovarci noi con un precipitato linguistico nullo), oppure sono talmente pochi (e sempre in teoria), ma allora che senso avrebbe avuto l'edificio delle duemila pagine, fondamentalmente cementate sull' impianto archeologico, messe su per giustificare l'esistenza di questa preistorica continuità? La verità è che Alinei, da cattivo scienziato, ha prima costruito la sua tesi, poi è andato (e sta andando, coi suoi discepoli, tra cui scarseggiano i linguisti) alla ricerca di qualcosa che possa empiricamente sorreggere il suo paradigma. Alinei è troppo scafato per non sapere che Roma ha non solo occupato, ma ha anche sradicato intere popolazioni dal loro alveo, che il suo esercito era composto da genti di diverse origini, che si stanziavano in contrade lontane; è troppo scafato per non sapere che le lingue e le genti si mescolano, che c'è oggi come ieri il contatto linguistico, e il lessico è la parte più contrattabile nelle relazioni umane; è troppo scafato per non sapere che l'economia romana si basava sugli schiavi (prevalentemente d'oriente europeo e asiatico, i graeculi mediorientali che riempivano i mercati della Campania Felix), che qualche traccia devono averla pur lasciata; insomma che oltre al pregiudizio sulla reale continuità locale, c'è il forte motivato sospetto della transumanza (spesso dalle aree rustiche del centro Sud d'Italia) di parole che apparendogli come della indigene custodi di una loro genuina preistorica arcaicità, sono in realtà il portato dello spostamento dell'abito linguistico dei coscritti delle legioni romane, dei mercatores, dei liberti e degli  schiavi... che poi queste parole abbiano come data di nascita (l'autodatazione) l'età del bronzo e del Calcolitico, è interessante ma poco ce ne viene: esse sono state trapiantate (datazione) altrove da Roma. Punto.

 

Difronte alla TC ci troviamo purtroppo dinnanzi a un grandioso edificio, enorme, mastodontico, incompatibile con l'ambiente circostante, e che ancora aspetta a quindici anni di nascita, di essere dotato dei servizi e reso abitabile... e l'unica cosa che brilla sono i cristalli traslucidi che attirano di lontano le anime innocenti che necessitano di qualcosa di sovrastrutturalmente luccicante per giustificare di non essere casualmente al mondo. Un ecomostro, per cui l'autore, ogni volta che qualcuno lo sottopone alla critica minuta, svicola dicendo: "Uhè ragazzi, ma io mica proponevo un'etimografia, la mia è un'etimotesi", che tradotto vorrebbe dire "lasciatemi dire qualcosa di figo, che non c'entri nulla però con la linguistica romanza", e difronte a ulteriori obiezioni ripara furbescamente su affermazioni del tutto ovvie, per cui  "delirare, egregius sono più arcaiche della latinità storica", come se fosse questo il nocciolo e non invece il fatto che parole romanze (e non latine!) vengono sdoganate per essere precedenti alla Romanità, con irridente facilità grazie alla TC (quel che ho chiamato i proteron usteron del suo operare), e da qui il discredito di tale tesi presso coloro che hanno creduto di praticare con discreta certezza di impostazione e risultati, il tradizionale metodo della linguistica storica e romanza.

 

Un invito quindi: diffidate quindi delle megaricostruzioni, sono per gli ingenui, gli sfigati, e i leghisti di bassa lega (non a caso ci si imbeve di Alinei, come dell'avverso Semerano, nei blog filoindipendentisti, d'area padana) che cercano un padrino a cui correre, a meno che non vi garbino proprio le bischerate, allora...