LA RECENSIONE DI EMANUELE BANFI

(Estratto da Rivista Italiana di Linguistica e dialettologia 2009)

 

 

Stefano di Bisanzio riporta l’esistenza, in territorio illirico, di una città denominata Sardos, i cui abitanti erano detti Sardēnoi. E, del resto, Sardeis (o Sardies, o Sardīs) era anche una importante città dell’Asia Minore, la capitale della antica Lidia. Si tratta, come spesso capita in casi come quello relativo alla illirica Sardos, di una notizia arrivata chissà come al dotto bizantino, il quale, l’ha poi divulgata e l’ha fatta arrivare, per il tramite della memoria scritta, fino a noi. Ciò che è certo è che la storia antichissima della Sardegna è in buona misura ancora irta di problemi e che l’idea che l’antica civiltà sarda debba in qualche modo avere qualcosa in comune con l’ambiente illirico può essere, sulla scorta della notizia del dotto bizantino, un’ipotesi di lavoro da verificare e da provare sulla base di dati empirici: un’ipotesi di lavoro, appunto, una tra le altre. È quello che ha cercato di fare, in un libro di dimensioni corpose, ricco di dottrina e di molte informazioni, Alberto G. Areddu, studioso sardo, appassionato indagatore delle vicende storiche e linguistiche della sua terra...

Il lavoro appare articolato su tre sezioni ben distinte: nella prima vengono esaminate una serie di parole, attestate nella competenza linguistica dei parlanti dell’Ogliastra-Barbagia, l’ultima area ad avere assorbito, tra le regioni sarde, il processo di latinizzazione. Nella seconda sezione viene discusso il problema di elementi normalmente attributi ad un non meglio precisato sostrato e che, invece, ad un’analisi più attenta possono essere interpretati – secondo l’A. – come elementi di adstrato, e, più precisamente, di un adstrato che accomunerebbe l’area balcanica con l’area sarda. Nella terza sezione vengono esaminati dati toponomastici: terreno d’indagine complesso e per la cui soluzione la linguistica deve fare sempre i conti con i dati storico-archeologici e con quelli antropologico-culturali. Secondo l’A. buona parte dei problemi della storia linguistica della Sardegna antica, considerati fino ad ora come vere e proprie cruces, si risolverebbero se i materiali linguistici fossero interpretati alla luce della ‘soluzione illirica’, considerata dall’A. come (p. iii) “la più realistica”. L’A. osserva che la Sardegna e l’ambiente albanese presentano molti punti di contatto: entrambe sono regioni impervie, nelle quali il mare ha evidentemente un ruolo importante e tuttavia curiosamente prive, entrambe, di una tradizione linguistica ‘marinara’ autoctona. Ancora, per entrambe le aree geolinguistiche, difficile è il risalire alle fonti primigenie: è vero che il sardo ha una madre lingua evidente, ed essa è il latino, sovrappostosi su una situazione di sostrato linguistico complessa e tutt’altro che chiara; ed è pur vero che l’albanese si suddivide tra più padri putativi: innanzi tutto l’illirio, (dia)sistema linguistico di matrice indo-europea diffuso su un sostrato anatolico-egeo proprio della parte occidentale dei Balcani e, a quanto sembra, ancora vivace in età alto-medievale, al momento delle invasioni slave. Altro padre dell’albanese potrebbe essere il trace, sistema indo-europeo orientale caratterizzato da un fonetismo tipicamente ‘satem’ e, se ‘tengono’ le concordanze tra albanese e rumeno, un’altra componente da considerare alla base dell’albanese sarebbe il daco-misio: un sistema di matrice indo-europea parlato in un’area centrale dei Balcani ove avrebbero soggiornato, prima della loro migrazione verso l’Occidente balcanico, gli antenati dei moderni albanesi. Al di là dell’Adriatico, segmento dell’illirio è, come ben noto, il messapico, lingua italica diffusa nelle attuali Puglie (e soprattutto nel Salento) sicuramente nel primo millennio a.C. e poi estintasi in forza della pressione del latino. In altre parole una componente illirico-egea, in conseguenza di movimenti di popolazioni che interessarono l’area balcanica, avrebbero preso la via delle rotte mediterranee occidentali e – nella veste dei cosiddetti Sardhana – sarebbe approdata in Sardegna, avrebbe civilizzato l’isola, l’avrebbe organizzata attraverso un sistema di forte matrice militare e vi avrebbe posto le premesse per quella che sarebbe diventata la civiltà nuragica, estesa in tutta l’isola (ma non ignota anche in Corsica). La ricerca genetica mostra per altro le specificità della componente etnica sarda: in larga misura la popolazione della Sardegna risalirebbe al Paleolitico e al Mesolitico e sarebbe connessa con gruppi stanziati in area gallo-iberica; su di essa si sarebbe aggiunta, nel Neolitico, una nuova componente, questa volta di provenienza orientale, o, per la precisione, egea. Questa avrebbe occupato, con la diffusione della cultura nuragica, il territorio abitato dalle tribù precedenti. Dalla fusione tra queste componenti e, successivamente, dalla sovrapposizione del latino, sarebbe nato il diasistema delle parlate sarde, del ‘sardo’ tout-court quindi, definito dall’A., per le sue peculiarità, (p. viii) una “non-lingua romanza; un interessante isolotto con buone conservazioni lessicali (meno morfosintattiche) di una certa latinità a contatto con il mondo della Magna Grecia”....