ARCHIVIO ILLIRICO

 ILLIRIA: LA SARDEGNA COME NON L'AVETE MAI LETTA

 

 

 

Alte, nuove, schiaccianti prove sulle origini indoeuropee della toponomastica sarda

di Alberto Areddu

 

Afferma Tucidide che la storia, cioè il racconto del passato, è un possesso perenne per gli uomini se essi sono in grado di narrarsela obiettivamente, attraverso gli scritti e la memoria; grazie alla storia gli uomini del presente possono apprendere a non ricommettere più errori, perché gli eventi tendono a riprodursi e si riprodurranno nel futuro; e tanto più essa ha valore educativo, se gli uomini hanno visto e vissuto coi loro occhi quel che viene narrato. Con Tucidide, lo sappiamo, nasce lo storico moderno, che è essenzialmente un cronachista che sa del suo passato e non rimanda a visioni esterne alla sua stessa descrizione, ben conscio che ci sono dei motori sempre uguali all'agire umano: il desiderio di gloria, il senso di paura, l'utilitarismo personale e di gruppo. E noi? Di quale strumento possiamo disporre e che senso possiamo dare noi, che ci interroghiamo su quella che sentiamo essere stata la nostra storia vera, se essa fu preistoria, cioè fu essenzialmente non-narrata, o le sue memorie orali si son andate perdendo o si son trasfuse nel mito? Ci rimangono l'archeologia (che è la storia che ci facciamo noi, a nostro uso e consumo, con tutti i nostri difetti e personali idiosincrasie), o qualche scienza antiquaristica come la paleotoponomastica, che cerca, come un cane molecolare, di fiutare le rare essenze del nostro passato: perché è certo che se i nostri antenati non hanno scritto su papiro, pergamena, roccia o legno (ma qualcuno dirà che non è proprio così), una cosa è sicura: hanno comunque parlato sui luoghi che designavano, e non a caso, ma secondo logici criteri spaziali ed ambientali. Così, pur privi di una qualche scrittura, noi oggi a migliaia di anni, quanto più ci inoltriamo nell'interno, tanto più possiamo ancora disporre di un congruo numero di parole, superbamente cronoresistenti, da essi, i nostri preistorici antenati, utilizzate. Eppure si discute, eppure ci si arrovella, eppure a volte ci si manda contro imprecazioni solenni, unite a sovraumani silenzi, e tutto ciò perché essendo le parole spesso mute, c'è chi la pensa in un modo e chi in un altro. Prove apportate spessissimo zero, sofismi e partitipresi invece a gogò. Ora io credo che la pistola fumante, la prova provata, l'impronta digitale, la cartina di tornasole, la prove del nove, il controllo a doppio e triplo cieco, la prova del DNA, su chi Chi furo li maggior nostri, chi la nostra gente, nessuno ce li potrà fornire mai, ma qualche ragionevole soluzione, corroborata più da plurimi indizi che da qualche semplice sospetto, sì. Ecco dunque che una parola apparentemente muta come Orolo che ritorna frequente nella toponomastica sarda, riacquisisce una luce nuova e irradiante, e mi spinge a pensare che i maggior nostri erano indoeuropei, che originavano nella parte orientale d'Europa, e che parlavano una lingua con forti connotati balcanici (pace Blasco e Wolf). Su essa ecco qua pertanto il mio studio, sulla prestigiosa (e anch'essa cronoresistente) Quaderni Bolotanesi.