La rivoluzione industriale

 Le invenzioni degli ultimi decenni del Settecento provocarono in Inghilterra quell’enorme sviluppo della produzione di manufatti che va sotto il nome di rivoluzione industriale. Tra queste invenzioni una nuova macchina per filare, la jenni , che consentiva a un solo operaio di azionare contemporaneamente 18 fusi anziché uno. La maggiore produzione ottenuta grazie ad essa fece diminuire il prezzo del filo, e conseguentemente dei tessuti. Al tempo stesso si diffuse la moda del cotone, che l’Inghilterra poteva facilmente procurarsi in India.

Le nuove macchine filatrici provocarono una profonda modificazione nell’organizzazione del lavoro. Prima la filatura e la tessitura si svolgevano specialmente nelle campagne: erano attività a domicilio svolte quasi sempre dalle donne e dai bambini, e organizzate dal mercante – capitalista che distribuiva la materia prima e ritirava il prodotto finito.

La jenni richiedeva la forza di un uomo per essere mossa e costava cara, ma rendeva bene. Molti contadini credettero di fare un affare vendendo la terra e comprando una jenni, alla quale lavorava tutta la famiglia.

 

Ma privandosi della proprietà della terra, divennero ben presto proletari, perché le macchine acquistate furono superate da nuovi modelli che essi non erano più in grado di procurarsi. Con i loro famigliari allora andare a lavorare come salariati alle macchine di qualche capitalista (a volte un collega più fortunato divenuto ricco).

La produzione tessile si spostò quindi dalla casa alla fabbrica, l’edificio dove il capitalista radunava le sue macchine, e dove ora confluivano lavoratori di più famiglie.

 

Questa concentrazione del lavoro fu favorita da nuovi sviluppi tecnici: all’inizio dell’Ottocento, alla filatrice meccanica si affiancò la tessitrice meccanica. Nelle fabbriche queste macchine non erano più mosse a mano, ma da motori idraulici, sorta di mulini a vento che ne azionavano contemporaneamente parecchie.

Un enorme passo avanti fu realizzato quando il motore idraulico fu sostituito dal motore a vapore, la macchina ideata da . All’inizio dell’Ottocento buona parte delle industrie tessili erano alimentate da un motore a vapore.
Il lavoro nelle fabbriche era ben diverso da quello nelle botteghe artigiane. Le macchine svolgevano ora molte operazioni che prima erano compito dell’artigiano. All’operaio erano riservati movimenti semplici e ripetitivi, ma non per questo meno faticosi.

Inoltre, i padroni delle fabbriche cercavano di attuare al massimo la divisione del lavoro, perché ne avevano scoperto la grande convenienza economica. Se per esempio per costruire uno spillo un artigiano impiegava una giornata, dovendo compiere una lunga serie di operazioni differenti, dieci operai che eseguissero ciascuno un’operazione soltanto producevano in una giornata 40.000 spilli! La divisione del lavoro e la meccanizzazione produssero una profonda trasformazione della qualità del lavoro.

Col sorgere delle industrie iniziò infatti il lento ma inesorabile tramonto dell’artigianato. L’abilità manuale, che per secoli era stata il più prezioso patrimonio degli artigiani, andava perdendo la sua importanza ed era destinata a scomparire. Alla maggior parte degli operai di fabbrica non era richiesta alcuna particolare abilità, per questo molti lavori potevano essere svolti indifferentemente da uomini, donne o bambini.

In un’epoca in cui la popolazione andava rapidamente aumentando, trovare manodopera non era un problema per gli imprenditori, mentre era un problema per gli operai trovare lavoro. Per questo i primi decenni della rivoluzione industriale furono caratterizzati da un generale abbassamento dei salari, e da una gravissima condizione di miseria della classe lavoratrici.

Le condizioni di lavoro degli operai erano molto difficili, a volte drammatiche per diverse ragioni. Innanzitutto l’orario di lavoro poteva prolungarsi per 16-18 ore. Inoltre era sottoposto a rigidi regolamenti che rendevano la vita di fabbrica

Simile a quella del carcere. Nel regolamento di una fabbrica tessile del 1844 leggiamo:<< Ogni operaio che venga colto a parlare con un altro, a cantare o a fischiare, incorre nella multa di 6 pence>>.

Il lavoro degli operai era reso ancora più duro dalle condizioni in cui si svolgeva. Capannoni dai soffitti bassi, dalle finestre strette e quasi sempre chiuse. Nelle filande di cotone la borra aleggiava come una nube e penetrava nei polmoni causando col tempo gravi scompensi. Nelle filande di lino, dove si praticava la filatura ad umido, il vapore acqueo saturava l’atmosfera e inzuppava gli abiti. L’ammassarsi di numerose persone in ambienti chiusi provocava una febbre contagiosa.

Frequenti erano anche gli infortuni come l’asportazione di una falange del dito, a volte del dito intero, della metà della mano o della mano intera, stritolati dagli ingranaggi delle macchine.

Nelle fabbriche inglesi, erano assunti di preferenza donne e bambini che potevano essere pagati con salari inferiori e che possedevano quella manualità necessaria al lavoro nei telai meccanici.

Entravano dai cancelli delle filande alle cinque del mattino e ne uscivano verso le otto di sera, compreso il sabato. Tutto questo tempo stavano rinchiusi con una temperatura variante dai 26 ai 30 gradi.

I pasti venivano consumati nell’unica sosta di mezz’ora per la prima colazione e di un’ora per il pranzo. Ogni mancanza o ritardo veniva punita con feroci battiture.

Le denunce di questo brutale trattamento e le indagini condotte da alcune commissioni statali portarono all’approvazione di leggi che limitavano il lavoro infantile a solo 8 ore per i ragazzi di età inferiore a 13 anni e a dodici ore per i ragazzi al di sotto dei 18 anni. In particolare il Factory Act del 1833 vietò il lavoro notturno e ridusse le ore lavorative per consentire ai ragazzi dagli 8 ai 13 anni di frequentare la scuola.

Il successo della meccanizzazione in campo tessile spinse altre industrie ad adottare nuove macchine e a cercare di applicare ad esse il motore a vapore. Quest’ultimo doveva essere alimentato con carbone, mentre la costruzione delle macchine richiedeva l’impiego del ferro. Il primo effetto della rivoluzione industriale fu dunque lo sviluppo delle miniere di carbone e di ferro.

Le miniere di carbone potevano essere sempre più profonde, ma si rendeva necessario garantire l’areazione. Si cercava di fare in modo che l’aria entrasse da un pozzo e uscisse da un altro. Per regolarne il flusso si dividevano le gallerie con tramezze di legno. Spesso un bambino era addetto ad aprire e chiudere la porta al passaggio dei minatori.

La ventilazione era necessaria anche per evitare all’interno della miniera la formazione di gas, insidia mortale per i minatori.

Se nelle gallerie più superficiali si formava il << gas asfissiante >>, nelle zone più profonde poteva formarsi la miscela esplosiva di metano e aria detta grisù. Le frequenti esplosioni provocavano decine o anche centinaia di morti.

Poiché l’esplosione era spesso causata dalla fiamma della lampada dei minatori, nel 1815 fu inventata una lampada di sicurezza.

 

 

Per trasportare poi i prodotti sempre più rapidamente si ricercarono e inventarono nuovi mezzi di trasporto. L’invenzione della locomotiva (Stephenson, 1814) portò alla nascita della ferrovia. In una decina di anni circa, tutte le principali città inglesi furono collegate da una rete ferroviaria. Lo sviluppo ferroviario non trasformò solo i trasporti, ma aumentò enormemente la richiesta di minerali, poiché per costruire un solo chilometro di ferrovia erano necessarie circa 200 tonnellate di ferro.

Nella seconda metà dell’Ottocento l’industria si diffuse in quasi tutta l’Europa e questo sviluppo fu reso possibile da un gran numero di invenzioni e dal rinnovamento delle tecniche per cui si parla di una seconda rivoluzione industriale.

 

 

 

 

 

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