Giovanni Verga (1840 - 1922)
LA VITA |
1840-1865 Si iscrive alla facoltà di legge ma non termina gli studi, tutto preso dalle vicende storico-politiche (dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia). Di questa educazione testimoniano le prime prove narrative: l'inedito Amore e patria,ispirato alla rivoluzione americana e scritto a 17 anni, I carbonari della montagna pubblicato nel 1861 a spese dell'autore il quale vi impegnò la somma destinata al proseguimento degli studi di giurisprudenza che infatti interruppe. Nello stesso anno si arruola nella guardia nazionale di Catania e svolse un’intensa attività di giornalista (fu tra i fondatori e i redattori di tre giornali, il primo dal titolo assai significativo, «Roma degli Italiani», che ebbero tutti una breve durata). Nel 1863 il periodico fiorentino "Nuova Europa" pubblica a puntate il romanzo Sulle lagune. Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871) 1865-1872 1872-1894
1894-1922
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L'ATTIVITÀ LETTERARIA |
L'attività letteraria di Verga può essere divisa in
tre fasi: In Sicilia ebbe una formazione letteraria provinciale, come si nota leggendo i suoi tre romanzi giovanili. In particolare, I carbonari della montagna (1861) è un romanzo storico (un genere che stava ormai passando di moda) che Verga dedicò ai suoi modelli di allora, Francesco Domenico Guerrazzi e Alexandre Dumas. Fondamentale nel suo cambiamento di interessi fu l'abbandono dell'isola nel 1869, quando Verga partì per Firenze. Introdotto dal poeta Francesco Dall'Ongaro nella buona società cittadina, si dedicò allo studio della vita borghese che aveva davanti agli occhi, con un particolare interesse per le figure femminili e le vicende sentimentali, come si può capire dai titoli dei romanzi che scrisse in questo secondo periodo "mondano": Una peccatrice (1866), Eva (1873), Eros (1875). Grande successo riscosse in particolare Storia di una capinera (1871), il racconto della monacazione forzata della protagonista che, innamorata del marito della sorella, muore in preda alla disperazione. Se il romanzo Il marito di Elena (1882) continuò lungo questa linea di ricerca espressiva, la produzione successiva a quella fiorentina prese un'altra strada. Nel 1872, quando si trasferì a Milano, capitale dell'editoria, frequentò gli scapigliati Arrigo Boigo e Giuseppe Giacosa, grazie anche all'appoggio di Salvatore Farina, uno scrittore allora molto celebre. Qui fu raggiunto dall'amico Luigi Capuana, scrittore e critico letterario teorico del verismo. La svolta letteraria si può datare al 1874, l'anno in cui fu pubblicata una novella intitolata Nedda, definita dall'autore un "bozzetto siciliano". L'ambiente non è più urbano ma rurale; la storia non è più ambientata al Nord ma in Sicilia; i protagonisti sono umili contadini. Anche qui protagonista della vicenda è una donna, ma la sua situazione è tragica e concreta, non astratta e sentimentale. Da quel momento in poi la Sicilia contadina con la sua antica cultura fu al centro del lavoro dello scrittore catanese, sia nelle novelle, sia nei romanzi. I due volumi di racconti Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1883) contengono alcuni dei capolavori verghiani, testi divenuti celebri come La lupa, La roba (storia di Mazzarò, un contadino diventato proprietario terriero ma rimasto vecchio e solo, ridotto alle soglie della pazzia), Rosso Malpelo (un ragazzo destinato a lavorare e a morire in miniera, ricalcando il tragico destino del padre), Cavalleria rusticana (racconto di un duello mortale scatenato dalla gelosia). |
I ROMANZI DELLA MATURITÀ |
I
Malavoglia (1881) racconta la storia di una famiglia di
pescatori che vive e lavora ad Aci Trezza, un piccolo paese vicino a
Catania. Protagonista del romanzo è tutto il paese, fatto di personaggi
uniti da una stessa cultura ma divisi da antiche rivalità. Mastro-don
Gesualdo (1889), invece, mette in risalto la storia del
protagonista che dà il titolo al romanzo. Di origini modeste, Gesualdo
riesce a vincere il suo destino di miseria e diventa ricco. Il
matrimonio con la nobile Bianca Trao non cancella la sua modesta
estrazione sociale: persino la figlia Isabella si vergogna del padre.
Rimasto solo, Gesualdo muore nel palazzo ducale di Palermo, abbandonato
dai suoi e ignorato dalla servitù che si prende gioco di lui. Fu un insuccesso inatteso e Verga, amareggiato, si ritirò a Catania abbandonando la scrittura. Il progettato "ciclo dei vinti", cioè coloro che nella lotta per l'esistenza sono destinati ad essere sconfitti, che prevedeva altri tre romanzi ambientati a un livello sociale progressivamente superiore (La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni e L'uomo di lusso), restò così incompiuto. Il successo arrivò a Verga per altre vie. |
COME SCRIVE VERGA |
Per riprodurre la società nel modo più "vero", Verga la osserva scrupolosamente, studiando l'ambiente fisico ed il dialetto, documentandosi sui mestieri e sulle tradizioni; inoltre usa uno stile impersonale in modo che il lettore si trovi - come dice lui stesso - «faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo fra le linee del libro attraverso la lente dello scrittore». Così sembra che i personaggi e le vicende si presentino da sé, e chi legge ha l'impressione di essere messo a diretto confronto con la realtà di cui si parla. Per ottenere l'impersonalità Verga adotta il punto di vista della gente, di chi fa parte dell'ambiente che sta descrivendo, evita cioè di esprimere il suo personale giudizio e i suoi sentimenti. E per rendere ancora più vera e impersonale la rappresentazione, lo scrittore costruisce una lingua nuova: è la lingua nazionale (non usa il dialetto siciliano perché vuole che le sue opere siano lette in tutta l'Italia) arricchita di termini di origine dialettale, di modi di dire e proverbi, di una sintassi modellata sul ritmo della lingua parlata dal popolo. |
I MALAVOGLIA |
E' il primo romanzo del "Ciclo dei vinti" rimasto incompiuto, in cui lo scrittore manifesta la sua visione amara della vita. Il romanzo narra le disavventure di una famiglia umile di pescatori di Acitrezza (Catania) che cerca di migliorare le sue condizioni economiche. «I Malavoglia» raccontano la storia amara di una sconfitta nella quale si esprime il pessimismo radicale di Verga. Non c’è speranza di cambiamento per gli oppressi, soggetti ad una legge di natura, quella della vittoria del più forte e della selezione naturale, che essi non possono controllare. E questa condizione degli umili diventa emblematica di quella dell’intera umanità. L’unico valore positivo che si afferma nel mondo verghiano è quello della dignità umile ed eroica con cui l’uomo sopporta il proprio destino, rinunciando a inutili ribellioni.
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Il centro di tutto è una barca da pesca: la tartana
dei Malavoglia chiamata "Provvidenza". La
"Provvidenza" è la barca più vecchia del villaggio, ma aveva
il nome di buon augurio. Era anche essa una persona nella famiglia
esemplare dei Malavoglia, la più onesta e compatta del paese. Dopo quella triplice sciagura, tutto sembra accanirsi
contro i Toscano-Malavoglia: Luca, il secondo dei nipoti, muore nella
battaglia di Lissa; Maruzza, la nuora, muore nel colera del '67. Il
debito dei lupini si mangia la casa, la cara «casa del nespolo» che
era l'orgoglio, la ragione di vita del vecchio; e già il debito aveva
impedito le nozze della nipote, la Mena, creatura di silenzio e
sacrificio. Non è finita: un nuovo naufragio della
"Provvidenza" rattoppata lascia Padron 'Ntoni inabile al
lavoro. Il primogenito 'Ntoni, che da quando ha fatto servizio militare
in continente non si rassegna alla miseria dei pescatori, si dà al
contrabbando e finisce in galera dopo aver ferito un doganiere. Lia, la
sorella minore, abbandona il paese e non torna più. Mena dovrà
rinunciare a sposarsi con compare Alfio e rimarrà in casa ad accudire i
figli di Alessi, il minore dei fratelli, che continuando a fare il
pescatore, ricostruirà la famiglia e potrà ricomprare la «casa del
nespolo» che era stata venduta. Gli Elementi e i Temi: |
ALTRE OPERE più SIGNIFICATIVE |
Mastro-don Gesualdo: è il secondo romanzo del "Ciclo dei Vinti", che doveva comporsi di cinque romanzi; in realtà l’autore si limitò ai primi due pensando di aver già dimostrato in essi la tesi che si era proposto: l’uomo, qualunque sia la sua posizione nella vita, è un vinto della vita stessa e deve sottomettersi al destino. Ne è un esempio Mastro-don Gesualdo, un manovale che è diventato ricco e rispettato a forza di duro lavoro e di sacrifici. Si innalza anche socialmente, sposando la nobile Bianca Trao che lo sposa per riparare ad uno sbaglio, ma non lo ama. Nasce Isabella che non è figlia di Gesualdo, ma egli considera la bimba come sua e la fa educare nei collegi più aristocratici. Morta Bianca, che a poco a poco si era affezionata al marito, Isabella si mostra ostile al padre sebbene egli sia disposto a soddisfare tutti i suoi capricci, anche quello di sposare un duca squattrinato che dissipa il patrimonio di Gesualdo, accumulato in tutta la vita. Quando Gesualdo si ammala, Isabella lo relega in una stanzetta del suo palazzo dove muore solo, sognando la sua casa e i suoi poderi, e rimpiangendo quella roba destinata a persone che non lo amano, come suo genero, il duca Leyra. Le Novelle Rusticane: è una raccolta di novelle che descrivono con precisione la gente e gli ambienti siciliani. Vita dei Campi (1880): è una raccolta di novelle, in cui, con stile asciutto e colorito, Verga ritrae la vita rude della sua gente di Sicilia.
Nedda La lupa Cavalleria rusticana Rosso Malpelo La roba Libertà I Malavoglia (testo integrale) |