Il Convivio Luigi Capuana: due sonetti giovanili  
Dario Consoli

Lo spoglio dei periodici conservati nelle Biblioteche comunali riserva talvolta delle piacevoli sorprese: è il caso di due rari sonetti capuaniani di cui, da oltre un secolo, non si conservava più memoria:[1] essi non risultano infatti recensiti né da Gino Raya nella sua ampia bibliografia delle opere di Capuana[2] né, a quanto ho potuto vedere, altrove. Lo scrittore nativo di Mineo li inviò, allegandovi alcune parole di accompagnamento, alla redazione di un foglio ‘radicale’ calatino («La Patria. Organo della Società Democratica in Caltagirone», numero 6, marzo 1863), attestato su nette posizioni antiecclesiastiche. Il periodico si conserva presso la Biblioteca comunale “Emanuele Taranto” di Caltagirone. Devo al dott. Marco Montalto, neolaureato in Lettere dell’Università di Catania, la prima segnalazione della notizia.[3]

È pacifico che la prima formazione letteraria di un autore lasci un’impronta profonda che, spesso, si rivela fondante anche nelle sue opere più mature e originali. Il caso di Capuana non fa eccezione. Il suo iter formativo è stato tracciato in modo breve ma efficace da Ettore Ghidetti, nel Dizionario biografico degli italiani.[4] Iniziato agli studi di grammatica presso la scuola comunale di Mineo, a dodici anni il giovinetto viene ammesso a frequentare il Real colle-gio borbonico di Bronte, da dove ritornerà al paese natale nel 1855, per motivi di salute.

La prima educazione letteraria di Capuana avviene dunque all’insegna della tradizione classicista e cattolica: si rammenti che la prima opera a stampa del giovane, appena quattordicenne, è un sonetto del 1853 Per l’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. E tuttavia Capuana prende presto a guardare oltre i limiti ristretti del collegio borbonico, e comincia a nutrire, per non smarrirlo più, un saldo sentimento patriottico e unitario, infiammandosi alla lettura delle opere di Francesco Domenico Guerrazzi (con cui entra in corrispondenza), e maturando nel clima di rigida restaurazione seguito alla prima, e assai sfortunata, guerra d’indipendenza italiana.

Il trasferimento a Catania nel 1857, per seguire – ma assai di malavoglia – i corsi di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi, lo mette in contatto con vari protagonisti della cultura catanese: fra questi il poeta Giuseppe Macherione di Giarre, di lì a poco stroncato dalla tisi, ma specialmente monsignor Lionardo Vigo di Acireale, il quale intuendo le capacità di Capuana lo coinvolge nella laboriosa opera di raccolta dei Canti popolari siciliani. Ma è da notare come il giovane Capuana, al di là degli interessi letterari, non tralasci l’attività politica: in seguito allo sbarco di Garibaldi in Sicilia infatti (cui dedicherà una «leggenda drammatica» omonima, in tre canti),[5] nel 1860 viene nominato – già vicepresidente del Comitato clandestino insurrezionale di Mineo – cancelliere del nuovo Consiglio civico.

È in questo contesto composito, di partecipazione attiva alla causa unitaria d’Italia e insieme di formazione culturale di tipo tradizionale, che si deve iscrivere anche la produzione dei due sonetti Ad Itala nonché, com’è ovvio, inquadrare la loro lettura.

Il 1863 è un anno nevralgico per il destino personale e per la poetica di Luigi Capuana: egli infatti, insieme con la decisione di spostarsi a Firenze per inserirsi nel centro culturale e politico del neonato Regno d’Italia (e vi resterà fino al 1867), prende anche quella di abbandonare l’attività di poeta lirico. A Firenze - come è noto - Capuana conoscerà Giovanni Verga, e con lui avvierà un duraturo sodalizio e un rinnovamento radicale delle forme narrative nazionali.

Dunque è in questo tempo di crisi profonda della cultura capuaniana che occorre situare i due sonetti inviati dallo scrittore alla redazione de «La Patria» con questa av-vertenza: «Amici Carissimi, Vi mando due poveri sonetti per la innocente Fanciulla cui i Ministri del Cristo niegano il battesimo perché le si vuol dare il nome d’Itala, nome ne-fasto ai nuovi Farisei del Cattolicesimo. Se non vi parranno del tutto cattivi, pubblicateli sul vostro giornale: e Dio mi perdoni il non aver saputo essere moderato ora che i suoi sacerdoti ci danno esempi di così funesta intemperanza. Baciate per me la soave Fanciulla ed amatemi quanto vi amo».[6]

Le memorie dantesche costituiscono senza dubbio l’ordito da cui il giovane poeta muove per intrecciare il suo testo: e ciò a causa - è ovvio - di quanto già detto a proposito della formazione tradizionale di Capuana; ma ancor più perché è proprio il poeta fondatore della nazione italiana ad offrire temi e iuncturae funzionali ad un discorso profetico-apocalittico, di rinnovamento etico (e antiecclesiastico) per la neonata nazione italiana, che è quanto preme al giovane mineolo.

Gli «angioletti» che «fan corona» all’innocente Ita-la ricordano gli angeli splendenti come folgori che appaiono a Dante «di sé far corona» nel canto decimo del Paradiso; il «santo nome» d’Italia «che sì dolce suona» è un evidente rifacimento del dantesco «bel paese [...] dove ’l sì suona». Ma è soprattutto il secondo sonetto, di tono particolarmente acceso, a presentare la Chiesa di Roma quale laida meretrice, proprio come la «puttana sciolta» del Purgatorio di Dante. Riprendendo l’invettiva dantesca contro i papi simoniaci (Inferno, XIX) la cui «avarizia» (cioè avidità) «il mon-do attrista», anche Capuana adopera immagini giovannee, secondo la lezione dell’Apocalisse: la donna che «Il rapito di Patmo Evangelista» (un verso tolto dalla Bassvilliana di Monti per descrivere appunto san Giovanni) «vide dominar sul mare» è la stessa che Dante descrive così: «colei che siede sopra l’acque / puttaneggiar coi regi a lui fu vista».

È evidente la ripresa di forme del linguaggio dantesco: dal forte verbo «puttaneggiare» al latinismo colto di «fragella»; dalle rime “paradisiache” corona / suona a quelle «aspre e chiocce» come quelle in -ista (la rima presente in Inferno, XIX). Ma vi sono pure echi evidenti di autori altrettanto canonici e ben presenti alla memoria del giovane Capuana: la rima petrarchesca cruda / ignuda (RVF, XXIII) e quelle dalle Rime del Tasso colpa antica / nemica e priva / arriva.

Concludo qui, per ora, un primo sondaggio di queste prime prove di un autore troppo spesso liquidato sbrigativamente come “minore”. Con la certezza che un’analisi approfondita delle opere capuaniane coeve e successive (anche dei capolavori posteriori alla prima stagione poetica) potrà mettere sempre più in luce il carattere colto e la fitta trama intertestuale che caratterizzano le scelte linguistiche di un autore tra i più versatili e consapevoli della letteratura ita-liana contemporanea.

 

Ecco i due sonetti:

 

Ad Itala

I.

E tu sorridi ignara, anima bella,

Cogli angioletti che ti fan corona

Mentre l’onda del ciel che rinnovella

Ti niega questa setta di Mammona.

 

Fin contro un vano suon, hai, s’arrovella

L’ira sacerdotal che non perdona!

E ti calpesta, o Italia, e ti fragella

Nel santo nome che sì dolce suona.

 

Sorridi, pargoletta peregrina,

Cristo ti manderà l’angiol più bello

Onde lavarti della colpa antica.

 

E a questa setta d’ogni ben nemica

Che dal suo verbo si fa reo puntello  

L’ora indirà della fatal ruina.

 

II.

Quella che vide dominar sul mare

Il rapito di Patmo Evangelista,

Cerca di gemme e d’or le membra avare,

E la blasfema su la fronte trista;

 

Quella ora sta sul profanato altare

Lasciva e fiera della sua conquista;

E par che possa in tron puttaneggiare,

Non cura se nel ciel fin Dio contrista.

 

Quella, nel nome di Colui che Mite

Da sè chiamossi, fieramente cruda

Dalla battesimale onda ti priva.

 

Lagrime della madre al ciel salite,

E sulla fronte di rossore ignuda

Chiamate il folgor che sì tardo arriva.

 

Mineo, 24 Febbraio


[1] L. Capuana, Ad Itala, «La Patria. Organo della Società Democratica in Caltagirone», numero 6, marzo 1863.[2] Cfr. G. Raya, Bibliografia di Luigi Capuana (1839-1968), Roma, Ciranna, 1969.[3] Cfr. M. Montalto, Riviste e letterati a Caltagirone: 1848-1963, Catania, tesi di laurea in Lettere moderne, Università degli Studi, A.A. 2001/02.[4] Cfr. E. Ghidetti, Luigi Capuana, in Dizionario biografico degli italiani, XIX, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1976, pp. 247-253.[5] L. Capuana, Garibaldi, Catania, Galatola, 1861.[6] L. Capuana, Ad Itala, cit., p. 23.