Il Convivio Rosario Contarino, ricercatezza retoria in Declive sgorgar di ritentiva (tip. Etna, Fiumefreddo di S. 2002)  
Rosario Contarino

Rosario Contarino, nativo di Riposto, approda alla poesia solo in età avanzata, quando, cessato l’impegno di lavoro, può finalmente dare sfogo al suo desiderio segreto. Pubblica quindi alcune sillogi di poesie, in lingua e in dia-letto, senza alcuna velleità letteraria, al solo scopo, come egli stesso dichiara, di farne gentile omaggio agli amici. È in quest’ottica che bisogna collocare l’ultima sua fatica “Declive sgorgar di ritentiva” che, nonostante la ricercatezza retorica del titolo e la scelta di taluni termini desueti che qua e là appesantiscono la strofa (marezzato, valsente, conquiso, mùrcide, aduggia, rubizza, demolcenti, opratore, ecc.) accoglie una serie di poesie dal chiaro assunto contenutistico, accessibile a tutti. I temi sono quelli di sempre: il valore dell’amicizia, che “come un delicato fiore” va coltivata giorno dopo giorno perché non s’inaridisca; la precarietà della vita che «non è altro / che un soffio di vento / che tutto via trascina / con impeto cruento»; il rimpianto della giovinezza: «Oh gioventù / mia gioventù lontana / tu sei fuggita / come una saetta»; lo scorrere ineluttabile del tempo, che travolge i sogni e le attese, uccidendo talora anche la speranza; il gioco delle illusioni «ciottoli sparsi / a intralciar la via»; il dramma della solitudine, che tuttavia può essere una condizione positiva, quando abbiamo bisogno di fermarci a mediare: «Sol nel deserto / con il suon represso / godrai la pace / e…troverai te stesso». Un discorso a parte meritano le poesie dialettali, molto più armoniose nella forma. Una delle più belle è “Sceccu di travagghiu”, in cui un povero asinello «va ppi na trazzera / storta e strittulidda / e arranca, mischineddu/ ccu duluri». L’animale non può parlare al suo padrone, ma i suoi occhi implorano pietà «u pisu mi trascina / versu arreri / e ccu sti petri / pozzu attruppicari». Ma l’uomo non cede alla preghiera; anzi lo esorta a continuare, con la promessa di un pugno di fieno. La chiusa, che fa dell’ani-male il simbolo di tanta umanità angariata e violentata dai potenti, è un grido che inneggia alla libertà: «Non haju fami…/ strogghimi di ccà / cchiù ca mangiari …/ vogghiu ‘a libertà!». Chiude la raccolta la poesia “Non mi svigghiati…” che, con il suo disperato desiderio di un mondo migliore, invoca il sonno come panacea ad ogni male.

Alfonsina Campisano Cancemi