Il Convivio Una passeggiata  
Italo Gianquinto

Il vecchio stava camminando tra gli alberi, in un bosco verde nuovo. Stava pensando che Cristo si era battuto per la giustizia dell’oppresso.
Neppure lui poteva sapere come gli era venuta in mente quell’idea. Forse gli era nata pensando a quel giorno quando era andato, con degli amici, alla foce del fiume inquinato.
- Anche la terra è inquinata - aveva detto agli amici, - come l’aria e l’acqua.
- Sì, sì - aveva risposto distrattamente uno di loro, - ma questa è una vecchia storia.
E il discorso sull’inquinamento era finito lì.
- Terra, acqua, aria - si era domandato quella volta, - il necessario per vivere, sono diventate una vecchia storia? Mah.
Tornando al Cristo, stava pensando che era stato il primo a predicare che la terra non è per i latifondisti, ma per chi la lavora e che un pugno di grano e un paio di sacchi di fagioli non compensano una stagione di sudore. A parte il sangue versato nelle lotte per acquisire il diritto di coltivare quella terra.
- Cristo era un partigiano - aveva detto una mezza voce, - che poi certi seguaci hanno fatto figurare come alleato dei possidenti e dei loro accoliti. E la sua dottrina l’hanno fatta valere solo per gli indigenti. Non diceva forse che le forze del male, anche se più potenti di quelle degli avviliti, possono e devono essere vinte? E che una volta debellate, bisogna saper preservare quello che si è raggiunto per non farle rinascere dalle loro ceneri, come l’araba fenice?
Dopo aver vagabondato in un labirinto di colori contrastanti ma, allo stesso tempo, armonioso, si era fermato a contemplare il panorama che, improvvisamente, gli era apparso davanti. Tutta quella camminata in salita veniva così giustificata. Poteva vedere un contado che si stava risvegliando. E, poi, fino al mare.
«Le cose viste dall’alto sembrano più belle, più pulite» aveva pensato.
La lussureggiante campagna, punteggiata dalle macchioline bianche di greggi e mandrie, si stendeva ai piedi del paesaggio ondulato delle colline e boschi e anche dei frutteti in fiore.
Di tanto in tanto poteva vedere i piccoli centri abitati e riconoscere quelli più rappresentativi. Tutti arroccati, naturalmente, con il loro speroni di tufo, difesa naturale che li aveva resi inespugnabili. Le vallate si insinuavano tra le alture e tutto l’insieme offriva contrasti suggestivi. Quello che si poteva provare, di fronte a quel quadro così perfetto, era la realizzazione di quanta generosità sia dotata la terra. E non solo verso chi la rispetta, ma anche, per ora, per chi la ferisce. Guardando quello che gli si presentava davanti, come un regalo inatteso, il vecchio non aveva voluto sciupare quell’istante con parole inadeguate.
Ma stava pensando che se anche si potesse scrivere qualcosa su quello spettacolo, non avrebbe potuto aggiun-gere nulla. Solo lasciare una traccia confusa.
- Anche lo scrivere - aveva pensato, - come la terra, sta morendo.
Lo scrivere dovrebbe essere uno spiraglio di libertà. Ma questo spiraglio sta diventando una vasta caverna colma di sesso e violenza, intesi non come realismo, ma come un modo di vita accettata senza condanna. Che lo scrivere stia morendo è un fatto reale, del resto non è altro che una forma di artigianato.
Il vecchio s’era guardato intorno. Non c’era anima viva. In un certo senso era contento di essere solo con la sua solitudine, per concludere quella giornata con ricordi e pensieri, forse non molto piacevoli e con lo splendore del paesaggio onnipresente.
Dopo un po’ aveva ripreso a camminare e s’era perso tra il verde e, poi, senza guardarlo, aveva seguito un sentiero in discesa, istintivamente, come lo segue l’asino.
Procedendo con quel passo caratteristico, solo suo, cercando di evitare ciottoli e ramoscelli secchi, il vecchio aveva pensato a tutte quelle cose concepite e mai dette e alla tradizione del silenzio che viene mantenuto sul vasto campo dell’esperienza.
- Non è solo una forma di isolamento - aveva pensato. - Segregandosi in un antro impenetrabile, che si difende come l’orso difende la sua tana, si decide di non far entrare nessuno, amici o no, colpevoli o meno di voler ricreare il mondo come un lager ed esaltare caino. Dove ogni senso di colpa viene soffocato dall’affanno di una corsa per mantenersi allo stesso livello sociale degli altri, se non, addirittura, per superarlo.
Dove il tempo per pensare viene a mancare e l’”Io” diventa un altro Dio. Siamo forse tornati ad un’era primordiale, con le sue necessità basilari, sì, ma accresciute dall’avidità, dove quel che conta sono solo i beni posseduti? Uno contro l’altro, uomini contro uomini, uomo contro donna e donna contro uomo, alla caccia del Klondike. Dove la vita non ha più valore, dove il rispetto del diritto, ma anche quello del dovere, sono morti. E dove ci si ammazza come conigli per il possesso di un miserabile piccolo territorio da sfruttare.
C’erano fiori, teneri fiori primaverili, fiori di campo, lungo il sentiero. Nel vederli il vecchio aveva riacquisito fiducia.
- Anche noi dobbiamo superare il nostro inverno quando le speranze sfioriscono per poi, col passar del tempo, rifiorire. Non solo da giovani, ma perfino alla mia età, siamo spesso terribilmente delusi, avidi di conoscere, di scoprire nuove strade, anche se a casaccio e di tentare di capire la ragione delle cose. Ma lo facciamo veramente per migliorarle? O siamo irrimediabilmente ghermiti nel vortice di una danza macabra?
Il vecchio s’era fermato un momento per guardare un masso piantato saldamente sul bordo del sentiero. Aveva avuto l’impressione di trovarsi di fronte ad una scultura mostruosa scolpita da piogge e venti secolari.
- Ecco qui - aveva detto, - un altro gioco della natura. Una figura che entra nella mente per poi creare immagini multiformi che si adeguano all’umore del momento. Forse come i sogni. Quante volte ci svegliamo improvvisamente da un lungo sonno, carico di sogni chiari e concreti, che poi fanno “pop” e si dileguano come bolle di sapone.
Il vecchio aveva ripreso a camminare, un po’ confuso. Non era certo di quali sogni stesse rimuginando. Ma l’umore del momento l’aveva portato a credere che stesse parlando di quelli che sono fatti tramontare da una minoranza di rapinatori di beni e violentatori del mondo culturale, ma anche dall’incapacità di resistenza della maggioranza avvilita.
- Ma i sogni sono solo poesia. Quindi siamo tutti poeti - aveva pensato. - L’interpretazione della poesia, come quella di un quadro o della musica, è solo personale. Guarda Gluck, per esempio. Lui diceva di cercare di ridurre la musica alla sua vera funzione, quella di accompagnare la poesia, per rafforzare l’espressione dei sentimenti e l’interesse delle situazioni. Mozart, invece, dichiarava che la poesia deve essere figlia ubbidiente della musica. Un quadro può rappresentare qualcosa di diverso per ognuno di noi. Si tiene conto di molte cose. Per me, per esempio, quello che più conta è il perché di quella creazione, e l’umore dell’artista che l’ha dipinto, in sostanza, lo stato psicologico del momento. Se, invece, è un quadro della natura, lo devo accettare così com’è, perché con un dio non si discute, ci si può, al massimo, accordare.
Il vecchio si era fermato nuovamente, calcolando quanto gli rimaneva da camminare per arrivare al paese. Per un momento aveva anche sentito che le lacrime gli stavano salendo agli occhi. Ma solo per un momento.
- È la stanchezza - aveva detto.
Ma il perché non lo sapeva veramente. Allora si era ricordato di un giorno, quando un giovane amico lo aveva sorpreso con le lacrime che gli scorrevano sulle guance.
- Cosa fai, vecchio, piangi?
- No, sto solo ricordando.
- Ma quelle lacrime che scorrono sono reali.
- Non esistono lacrime reali, sono solo private.
Dopo una buona ora, il vecchio era arrivato al paese. Era un paese domenicale, con turisti che erano venuti dalla città, anche. Guardandoli, non aveva trovato nessuna affinità con loro, anche se si rendeva conto che ci dovrebbe essere analogia tra esseri umani. Se non altro, originata dalla comune indigenza spirituale.
Si era avventurato per i vicoli stretti e ciottolosi, qualche volta seguito da occhi bigotti che lo osservavano. E questo essere scrutato lo faceva sentire diverso, in sostanza, non imparentato con loro.
- Ogni paesetto, in fondo, è un mondo a sé - aveva pensato. - Ma anche in questi posti ci sono le giornate che vengono e vanno, che rivengono e rivanno con un’imperdonabile e crudele imprecisione. Ogni paesetto è un fantasma - aveva poi aggiunto con un sospiro, - che appare, a volte, dalla nebbia del tempo. Come noi vecchi che, col passare degli anni, diventiamo spettri che raccontano storie che nessuno vuol stare a sentire. E che piantano roseti di cui non vedranno più la fioritura, che poi sono roseti personali, spine comprese.
 

Adam Vaccaro