Il Convivio Carmine Manzi, profeta della parola e del sentimento in Le ultime del Millennio  
Carmine Manzi

 

Se andiamo alla ricerca di uomini di cultura che possano essere simbolo ed emblema di un mondo artistico vivo, e soprattutto di una profonda passione per l’arte, non possiamo che trovarne uno in Carmine Manzi, il quale fin da giovane (ormai ha superato abbondantemente gli ottant’anni) ha sempre proseguito un fine: incidere nella realtà sociale attraverso la scrittura. Autore di numerosissimi libri di poesia e di saggistica, collaboratore di diverse riviste e quotidiani, ma soprattutto fondatore e direttore di “Fiorisce un cenacolo”, oltre che della prestigiosa Accademia di Paestum, egli è grande e profondo conoscitore dell’animo umano, e pieno di passione e di impeto non smentisce se stesso con l’ultima silloge di poesie dal titolo “Le ultime del Millennio” (Gabrieli, Roma 2002): poesie scritte per lo più negli ultimi tre anni del XX secolo.
La poesia di Carmine Manzi è in genere una poesia profonda e impregnata di spunti lirici e di tematiche umane, sociali ed esistenziali, ma quest’ultima raccolta mi sembra più profonda delle altre, sia forse perché con l’età l’uomo diventa più riflessivo e si abbandona alla memoria e alle considerazioni filosofiche, sia forse per l’impeto profetico di poesie scritte in un momento particolare: la fine di un millennio. In esse si vuol fare quasi un resoconto della propria vita, ma soprattutto della finalità che la vita umana e la società si pongono in un’ottica millenaristica, ma non catastrofica. Il catastrofismo proprio di certe epoche rifugge, infatti, dalla poesia del Manzi. La sua è una meditazione attraverso l’amore e la passione interiore colmi di speranza e di emozioni. «Si tratta di uno scorrere fluente intorno a sé, di immagini, di fatti, apparentemente fermi, invece coinvolti nell’evoluzione di un sempre fresco bagaglio di idee e di sentimenti che fanno la sua storia» scrive Federico Gabrieli, cui fanno eco le profonde riflessioni della prefazione di Alberto Granese: «Lo scenario di una natura inquietante e minacciosa diviene ossessivamente dominante con le sue violente raffiche di vento, che travolgono con furia inarrestabile i teneri germogli e le torride calure, che inaridiscono le zolle e prosciugano le sorgenti, ma soprattutto con le sue inattese scosse, le cui micidiali devastazioni riescono a far finalmente capire alle umane creature la loro fragilità».
La poesia di Carmine Manzi è tutta interiore. L’uomo si pone a confronto con l’eterno, ma non in una rivalsa sterile, bensì in un colloquio amichevole, in cui l’uomo, goccia infinitesimale, sta in atto di preghiera e di contemplazione. Anche la poesia è preghiera ed è significativo il fatto che la silloge si apre con i seguenti versi: «E l’ultimo mio canto / sarà ancora una preghiera». La poesia del Manzi corre spesso, infatti, tra canto e preghiera, ma soprattutto attraverso un calarsi nel mondo contemporaneo tramite un lirismo profondo: il mondo odierno sembra impassibile e perciò non compreso: «Questo mondo di oggi non lo com-prendo / che t’è vicino nell’ora del dolore, / perché facile alla commozione, / poi subito ti lascia con te stesso». Si tratta di una solitudine esistenziale, di un isolamento che pone l’uomo quale monade di fronte all’altro uomo. Quasi, per dirla con il grande poeta latino Plauto, “homo homini lupus”». L’uomo è lupo per l’altro uomo, tanto che «non c’è più pace su la terra degli ulivi / l’acqua ch’era chiara si è inquinata / e non odo stormire le fronde al vento / dove tra gli alberi facevano nido gli uccelli».
Ogni riflessione ed espressione lirica assume però in Manzi un valore universale. Ognuno si riscontra nelle sue sottili riflessioni, quasi a scoprire il mistero dell’eterno, ma anche il mistero di se stessi, attraverso la presenza di Dio che ti invita al mistero, «che ci conduce verso l’Infinito». E allora che cosa siamo noi povere creature umane? «La nostra esistenza / - risponde il poeta - è legata ad un filo / che ti scappa di mano / mentre è teso all’infinito / e ti trascina, quando nemmeno lo pensi, / con sé alla deriva, / che s’innalza al cielo / e intorno semina rovina». In quest’analisi metafisica e riflessiva del presente si intrufola, come se gli toccasse di diritto, il passato. La riflessione scorre spesso, infatti, tra passato e presente attraverso i meandri della memoria. Non si tratta però di due entità in contrapposizione tra loro, ma di due elementi di un tutto. Il passato si integra al presente e il presente non è altro che conseguenza del passato. In questa conseguenzialità nasce il desiderio di un mondo migliore, di un mondo che può trovare la sua redenzione attraverso la poesia e l’arte, ma soprattutto attraverso l’umanità dei suoi profeti. E Carmine Manzi è profeta della parola, oltre che del sentimento, in queste sue «ultime del millennio».

Angelo Manitta