Il Convivio L’amore via d’accesso all’estasi in Quasi la notte di un tempo di Eliana Montebello (Quattroventi)  
Eliana Montebello

La poesia di Eliana Montebello in “Quasi la notte di un tempo”, pubblicato nel 2001, può essere indubbiamente collocata nel genere amoroso. Non si vuole, però, con questo schematizzarla, costringerla nello spazio angusto di un recinto, tarpandole per così dire le ali. Tutt’altro, s’intende partire dall’amore per approfondire l’amore. Già Eugenio De Signoribus, in uno dei testi critici che aprono la silloge, individua un iter sia biografico, quando ci rivela la vocazione primaria (la musica) dell’Autrice mutata «dopo la rielaborazione della perdita» in scrittura, sia artistico nel processo creativo della Montebello. «È l’attesa di un compiersi – sostiene – dalla nostalgia del nido al desiderio di un respiro armonioso, che tutti e tutto comprenda...». È il cammino, ripreso anche da Pietro Diletti nel suo intervento, verso il superamento dell’incomunicabilità per mezzo dell’amore, l’amore che «secondo il filosofo francese Marcel è l’unica via di accesso all’essere» che, per Heidegger, viene raggiunto con la comprensione dell’autenticità, nel suo costituirsi, del linguaggio poetico, «cioè l’altro si rivolge a me con una parola-comando etico che suscita la responsabilità rendendomi non più soggetto accentrato in me, ma decentrato verso l’altro», afferma Diletti citando anche Levinas. Viaggio, dunque, esplorazione dell’originaria, affascinante, misteriosa terra dell’amore per un’auspicata, speranzosa simbiosi. «Distillerò la mia vita, / ogni giorno, nella tua. / L’immenso potrà urlare che ti amo… / Vivremo in due / nel corpo e nell’anima / di un unico albero» canta la Poetessa in “Riflessi dell’altro”. Il “canto sommerso” della sua poesia che «buca l’anima / e anticipa l’essere... / ma sempre... sempre... / in punta di piedi». Con lo sguardo su «l’amaca sospesa tra sogno e memoria», sulla sua «amatissima... dolcissima Urbino» che sembra placare l’ansia di conoscenza (cfr. il testo di A. Ginesi). Ma il viaggio non finisce, nemmeno con quelle «piccole stelle di un cielo nero» che “parlano” nella lirica eponima che chiude e riapre la raccolta.

Sandro Angelucci