Il Convivio Lumareddi, la poesia dialettale di Enzo Romano (edizioni il Centro Storico, Mistretta 2002)  
Enzo Romano

Trovarsi a recensire un volume di poesie dialettali non sempre è semplice, pur conoscendosene il dialetto. Leggendo “Lumareddi” di Enzo Romano, mi sono trovato in questa difficoltà. Ma per quale motivo? Certamente perché non si è davanti ad un qualsiasi volume di poesia dialettale, scritto così per svago, ma dietro c’è tutta una riflessione linguistica e lessicale, oltre che concettuale. A riprova di ciò ne è la lunga postfazione, in cui l’autore stesso evidenzia i motivi e i criteri seguiti dal punto di vista fonetico-grafico. Ogni dialetto è certo molto più espressivo che la lingua nazionale, appunto per le sfumature e i suoni che riproduce, ma soprattutto per essere espressione viva di una lingua parlata. La lingua nazionale invece è più amorfa e impersonale. Ma leggendo queste poesie ci si trova anche davanti ad un libro dalla profondità psicologica ed espressiva, caratteristica di un popolo, attraverso una ricerca ‘archeologica’ del linguaggio. Parole ormai andate in disuso, parole che tendono a scomparire, parole rare, ma colte nella viva espressione. Enzo Romano ha insegnato nelle scuole elementari per tanti anni, ora risiede a Calolziocorte (in provincia di Lecco) e conduce corsi di aggiornamento per gli insegnanti della scuola dell’obbligo. Ha pure pubblicato opere didattiche per le scuole. Ma quel che c’interessa è la sua poesia: «Un mondo poetico ricco, che sarebbe riduttivo riassumere in poche battute. Sentimento, fatica lavoro, sofferenza, ironia sottile, che a volte raggiunge toni anche caustici, irriverenti, fanno tutt’uno, determinando passaggi di tono e continui cambiamenti di ritmo e di costruzione sintattica» scrive nella prefazione Massimiliano Cannata.
E la sua poesia si può davvero presentare come tutta una serie di quadri o di scene che scandagliano la psicologia popolare, ma pure i propri personali sentimenti, intaccati dal ricordo e soprattutto dalla nostalgia per il distacco di una terra, la Sicilia, che è madre e matrigna da una parte, ma che è frutto di contrasti tra passato e presente dall’altra. Emblematico in questo senso e la lirica “L’èbbichi antichi ell’èbbichi murerni” dove al contrasto generazionale s’intersecano i sentimenti familiari e umani. Non poteva mancare il ricordo della madre: «Era nicuzzu, quannu mi lassasti: tu, ncièlu, ti nni isti; iu, nna lu nfiernu / essulu, arristai, picchì m’abbannunasti…». All’affetto per la madre fanno da con-trappeso il ricordo della casa paterna, l’amicizia e l’amore, attraverso una serie di personaggi che si affacciano alla memoria, con una vivacità descrittiva e soprattutto con una partecipazione emotiva e interiore. Si ricordano a tale proposito le poesie “A Filippieddu” e “A n amicu miu”. Ma è il ricordo del proprio paese a fare da catalizzatore di ogni riflessione, lui che afferma di non essere un poeta, nella poesia “U me paisi”: «S’avissi a fantasia ri lu pueta / e la maestranza c’avi lu pitturi, / mi nn’acchianassi ncapu râ Nivera / e cci facissi n quatru ô me paisi». Nella poesia di Enzo Romano si può anche notare uno spirito religioso, ma soffuso di ironia e di tradizione. Bellissimo in questo senso è l’incipit della poesia “Patrinuòstru”: «Patrinuòstru ca ncièlu stai / appinziratu pi li fatti tui, / picchì cca nterra n ci scinni mai? / picchi anuàuddi nun ci pinzi cchjui?». Infine il volume si conclude con alcune poesie in lingua, in cui evidente è il tono pascoliano. Si tratta quasi di un testamento spirituale, senza però assumerne i modi cocenti dell’oracolo. Poesie queste, però, che sono molto ben lontane dalla genuinità di quelle dialettali.
 

Angelo Manitta