Santo Sgroi |
Era tempo di guerra e si
conobbero durante uno dei soliti allarmi aerei. Nel correre verso il più
vicino rifugio, ad Elsa, spinta dalla folla, saltarono addirittura le
scarpine. Guido, che le stava dietro, se ne accorse subito insieme al
disagio di lei nel camminare scalza sul selciato sconnesso della via.
Allora, senza tanti indugi, la prese sulle braccia e la portò così fino al
rifugio, come una sposa novella. Ad Elsa, signorina romantica, quel gesto
piacque molto e molto le piacque anche quel bel giovanotto tanto gentile.
Così seduti uno accanto all’altra, mentre fuori l’antiaerea faceva un gran
fracasso, parlarono a lungo del più e del meno, con giovanile incoscienza,
anche perché si sapeva che il nemico sganciava le sue bombe solo su
obiettivi militari.
Al segnale del cessato allarme, uscirono fuori con gli altri e, ridendo,
recuperarono le scarpine di Elsa ancora sul selciato. Naturalmente si
rividero molte altre volte, simpatizzando sempre più al punto che Elsa lo
presentò ai suoi.
Poi... poi vi fu per lui la chiamata alle armi e conseguente partenza per il
fronte. Succedeva quasi giornalmente per tanti giovani, in quei tempi, ma
per loro due fu quasi una tragedia. Tuttavia Elsa lo accompagnò alla
stazione con lacrime e speranze.
Speranze che si accrebbero, nelle settimane seguenti, alle quasi regolari
notizie di lui. Poi, improvvisamente, più niente. Elsa paventava quello che
poteva essere successo. Perciò, istintivamente, tardò a rivolgersi alle
autorità militari. Ma ad un certo punto non poté più farlo e la risposta
ufficiale fu proprio quel che aveva temuto. Guido risultava disperso. Il che
equivaleva quasi ad una sentenza di morte. Passarono così tristissimi mesi.
Poi un maledetto mattino il nemico non si contentò più di bombardare solo
gli obiettivi militari. La città fu duramente colpita e specialmente il
quartiere di Elsa, addirittura la sua casa. Mentre correva coi suoi verso il
rifugio, questi furono entrambi mitragliati sotto i suoi occhi atterriti.
Rimase loro accanto come inebetita, incapace di emettere un grido, di fare
un gesto qualsiasi.
- Purtroppo non c’è niente da fare – disse ad un tratto una voce alle sue
spalle.
Allora Elsa si scosse, si voltò di scatto e vide dietro di lei l’avvocato
Lucio Fanti, suo padrone di casa e amico di famiglia insieme alla madre.
- Lo so... ma non è giusto! Dovevo morire anch’io! - ribatté, piangendo,
finalmente.
I due si sprecarono nel farle coraggio e forzandola di raggiungere il
rifugio. Poi a suo tempo, dopo la sepoltura dei suoi cari, le proposero
addirittura di seguirli in una loro villa in campagna dove avevano deciso di
sfollare.
Elsa accettò come un automa, distrutta dal dolore e da febbre nervosa che
durò a lungo. Quando finalmente ne guarì, Lucio e la madre raddoppiarono in
premure nei suoi riguardi. Al punto che un giorno Elsa, aiutando in cucina
la signora a fare un dolce, si rammaricò di dover presto lasciare quella
casa ospitale.
- E chi te lo impone? – obiettò la signora.
- Ma la buona creanza. Ho approfittato fin troppo della vostra gentilezza,
della vostra ospitalità quasi da parenti.
- Nessuno ti impedisce di farci diventare davvero tali – le fu ribattuto.
Allora Elsa aveva capito tutto. Possibile che si fosse arrivati a quel grado
di intimità? Ne chiese conferma, anche se non ce n’era bisogno. E, avutala,
non nutrendo più speranze sulla sorte di Guido, non rifiutò la richiesta
ufficiale di Lucio, dato che anche lei gli si era affezionata, trovandolo un
bel giovane, sistemato, davvero un buon partito.
Seguì il fidanzamento, un periodo felice e finalmente la fine della guerra.
E si era a poche settimane dalle nozze, quando avvenne quell’incontro
inaspettato...
La città, quella sera, naufragava nella nebbia. Un mare denso, cinereo,
appiccicoso, di cui riuscivano ad avere in qualche modo ragione solo le
insegne al neon dei locali e i lampioni delle strade.
Ma era una vittoria così stenta, che ad una cantonata Elsa che era uscita
per fare delle compere, che poi non aveva fatto, cozzò contro qualcuno.
Si giustificarono a vicenda quasi contemporaneamente. E si sarebbero
lasciati dopo quelle poche banali parole, se le loro voci non li avessero
addirittura scioccati.
- Guido!
- Elsa!
E per un istante il silenzio, tutt’intorno, fu quasi tangibile mentre i
ricordi tumultuavano in loro. Poi si ripresero. Istintivamente lui accennò
al suo calvario di guerra, in ospedale prima, poi addirittura in un campo di
concentramento. Lei alla tragedia dei suoi, alla bontà del Fanti, al suo
fidanzamento.
- Ma adesso... - Elsa interruppe il suo racconto per cercare nella nebbia la
mano di Guido. La trovò e la strinse. – Ma adesso che ci siamo ritrovati –
riprese – sento di non essere molto cambiata da quel giorno che ti
accompagnai alla stazione. Se vuoi... tutto fra noi può riprendere al punto
dove l’abbiamo lasciato.
- Non è che non voglia, cara - Guido ritirò la sua mano da quella di lei. -
È che non possiamo. Tu per riconoscenza verso quel galantuomo, io perché
sono sposato. Sì, hai sentito bene. Non avendo più notizie, appena tornato
dalla prigionia, ho conosciuto una degna ragazza a cui mi sono unito. E
aspettiamo presto una creatura nostra...
- In tal caso… - visto fallire e non per colpa sua il suo primo amore, Elsa
ripiegava istintivamente nel secondo che si era già dimostrato così efficace
in passato. - In tal caso... – ripeté – è proprio meglio per tutti e due che
non ci si veda più.
È quello che credo anch’io, cara. Ci faremmo solo del male comportandoci
diversamente. E soprattutto lo faremmo a due persone che non lo meritano
perché ci sono care.
La voce di lui non aveva mai avuto la minima esitazione. Era venuta dalla
nebbia, senza contorni, e lei poteva sempre far finta di avere tutto
sognato.
- Addio dunque e auguri per tuo figlio, Guido.
- Altrettanti a te per le nozze, Elsa. Addio...
Fu solo quando sentì il picchiettio dei tacchi di lei perdersi nella
lontananza, che Guido si toccò con la punta di una mano l’orribile sfregio,
refrattario a qualsiasi plastica, che gli deformava il viso insieme alla
malattia inguaribile che gli deformava i polmoni.
Il marchio di un sadico aguzzino il primo e una conseguenza della lunga
prigionia la seconda. Condizione che lo aveva ridotto in breve una larva
d’uomo, coi nervi distrutti, che lo forzava ad uscire poco e solo col buio
per non destare la pietà di nessuno.
E soprattutto che gli aveva suggerito la bugia del suo matrimonio per
allontanare per sempre dalla sua vita di minorato l’unica donna al mondo che
aveva e avrebbe appassionatamente amato. Quella bugia era stata il suo
povero e insieme sontuoso regalo di nozze. E non importava proprio che si
fosse portato dietro il residuo della sua scarsa volontà di vivere – pensò
scomparendo nella nebbia.
L’importante era che almeno uno di loro due fosse riuscito ad essere felice,
nonostante tutto.
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