Enzo Trantino |
Conosco Enzo Trantino dagli
anni del Liceo, quando scriveva per il Giornale di Sicilia, e sono lieta che
egli, nonostante la sua frenetica attività di deputato nazionale da nove
legislature, di avvocato penalista impegnato in processi di grande
rilevanza, di Presidente della Camera penale di Catania per tre mandati
consecutivi, di redattore, direttore e inviato di prestigiose testate, abbia
trovato il tempo per regalarci questo suo splendido “Dialogo con Timoteo” (Ed.
Novecento – Palermo 2002), che rivela una vitalità appassionata e impetuosa,
espressione di quell’energia che ha caratterizzato la sua vita, simbolo e
cifra della sua anima.
Il libro (Premio Capuana 2002), intrigante nei contenuti, armonioso ed
elegante nella forma punteggiata qua e là da una sottile vena ironica,
presenta una galleria di personaggi, che potresti ritrovare nell’inquilino
della porta accanto o nella collega d’ufficio, i quali invece si colorano di
una luce sinistra, inseriti come sono nel beffardo gioco della storia, di
cui non puoi mai intuire la conclusione. Storie di ordinaria quotidianità,
che inesorabilmente scivolano, a sorpresa, in un finale assurdo e
paradossale, spesso tragico-grottesco, come se uno spiritello bizzarro si
fosse divertito a sconvolgere i piani degli uomini.
Chiave di lettura del libro è dunque il paradosso. Lo stesso scrittore,
grande affabulatore, definisce i quindici racconti «un contemporaneo lancio
di coltelli, una intimazione a pensare senza riguardi per la lettura
quieta». “Dialogo con Timoteo”, come già il precedente “Certi del dubbio”
edito nel 2001 a cura della medesima casa editrice Novecento, non è
certamente una lettura quieta; è piuttosto una provocazione a guardarsi
dentro, a riflettere sulla propria impotenza a dominare gli eventi, sempre
sorprendenti e inattesi, dilaceranti come una folgore a ciel sereno. E nasce
quel piccolo capolavoro di sarcasmo (mi si consenta l’ossimoro!) che è il
racconto “Chi esce riesce” (traduzione in lingua di un famoso proverbio
dialettale assai diffuso dalle nostre parti). Protagonista è una preside
sessantaquattrenne, “la più ricca del paese, e forse della provincia”, la
quale, investito tutto il suo patrimonio in pietre preziose e vasi cinesi,
chiusi in una solida cassaforte inaccessibile a chiunque, si ritrova, per un
bizzarro gioco del destino, durante un ferragosto as-solato, anche lei
rinchiusa in quella trappola, insieme con le sue pietre che, nella
disperazione della fine, ingoia una dopo l’altra. E sapete dove finiscono le
pietre? Nelle avide mani di uno “squartatore”, il quale, preparando il
cadavere per l’esame autoptico, ne avverte la presenza, se ne impossessa
vincendo la nausea e fugge via dal paese per godersi altrove l’insperata
fortuna. “Chi esce riesce” dissero i paesani…
E così un rispettabile pensionato, chiamato un tempo “il ragazzo azzurro” va
alla disperata ricerca della sua passata giovinezza, del suo Liceo, del suo
banco, ma in uno squallido magazzino costruito dove un tempo sorgeva la sua
scuola, trova la morte per infarto, durante una festa preparata in suo onore
dagli ex compagni di classe. E poi c’è Urru, il santone del Camerun, il
quale, invocando i suoi spiriti, ritrova in maniera inspiegabile il prezioso
passaporto di una turista, senza il quale la giovane non sarebbe potuta
rientrare in Italia. E fin qui niente di strano. Però Urru, povero africano,
rifiuta il grosso premio che la turista gli aveva promesso, dando una
lezione di perbenismo all’occidente: “Dare un prezzo a tutto è roba da
bianchi”. Potrei continuare nell’analisi dei racconti, ma non voglio
togliere al lettore il piacere della sorpresa, anche perché, al di là e al
di sopra delle apparenze, lo scrittore non si diverte affatto a raccontare
queste storie, ma ne soffre, come Pirandello, perché anche lui fa parte di
questa umanità dolente, costretta ad amari disinganni e trappole mortali.
Ma, se per Pirandello la soluzione era la follia, per Trantino è la
speranza. «Ti auguro la speranza, Timoteo; non ti abbatta la paura,
imbavaglia le certezze, onora i dubbi, innamorati sempre più della vita. È
fatica bellissima». E io vorrei che i giovani d’oggi, sempre più
disorientati e sfiduciati, senza modelli esemplari cui riferirsi, senza
grandi ideali in cui credere, possano almeno, nei momenti di grave
sconforto, fare riferimento a questo nobile messaggio che lo scrittore
siciliano ha voluto porre come corollario alla sua opera.
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